A cosa servono le petizioni online?

Change.org 2 milioni

In questi giorni Change.org sta festeggiando i 2 milioni di utenti registrati in Italia: persone che ogni settimana ricevono via mail la notizia di una nuova campagna e che si mobilitano quando lo ritengono opportuno. È una comunità che ha lanciato in un anno e mezzo oltre 15.000 petizioni, e ce ne rendiamo conto tutti: da quando, nel luglio 2012, Change.org ha aperto la sede italiana (ma non c’è solo Change, naturalmente), le richieste di firmare petizioni online ci arrivano quasi tutti i giorni (a me a volte ne arrivano tre o quattro al giorno). Che lo strumento delle petizioni online sia inflazionato è indubbio, e questo purtroppo spesso danneggia le petizioni più sensate e interessanti: se dopo aver lanciato o firmato una petizione, comincio a ricevere tre richieste alla settimana di firmarne un’altra, chiaro che smetterò presto di aprire la mail o il messaggio su Facebook. Si chiama overload informativo, e sappiamo tutti quanto sia insopportabile.

In realtà la moltiplicazione di petizioni ha un senso ben preciso, dal punto di vista di chi le promuove e gestisce: più ne promuovi, più aumenta la probabilità che qualcuna abbia successo, sia nel senso che ottenga molte, moltissime firme (decine di migliaia, centinaia di migliaia, o addirittura milioni), sia nel senso che raggiunga l’obiettivo di cambiamento (change!) che si era prefisso. E i numeri lo confermano: da luglio 2012, quando Change.org Italia è nato, sono 170 le petizioni che hanno avuto successo. Molte? Secondo me sì. Poche, in relazione al numero di petizioni lanciate? Forse. Resta vero che il fastidio verso il numero eccessivo di petizioni online è molto sentito in rete e contribuisce ad alimentare il pregiudizio sulla loro “inutilità” e sulla vacuità del cosiddetto “click activism“, che è il presunto attivismo di chi si limita a fare clic su qualche pagina o social network per sentirsi una persona civilmente impegnata e partecipe.

Con questo video Change.org Italia sta festeggiando i 2 milioni di utenti registrati, evidenziando – come sempre accade in Italia – soprattutto le petizioni promosse da testimonial celebri. Se superi l’incipit generico (non si capisce di cosa si tratti) e l’atmosfera complessiva da campagna per donazioni (sembra che da un momento all’altro ti chiedano soldi), in realtà impari qualcosa: che non è vero che le petizioni online non servano a niente. Alcune servono, eccome.

Questo articolo è uscito oggi anche sul Fatto Quotidiano.

16 risposte a “A cosa servono le petizioni online?

  1. Non vorrei farei il guastafeste, ma siamo all’1% di efficienza (170/15000). Mi sembra un po’ pochino…

  2. (ah! ecco dove era andata la “i” che non trovavo!)

  3. @Ilcomizietto
    Ah, 170 su 15000: l’1,13%. Percentuale di gran lunga inferiore alla media degli errori giudiziati (pro o contro). Il che significa che firmare una petizione serve a saturare l’attenzione su casi che si sarebbero risolti comunque da sé in quanto penalmente rilevanti (razzismo di Borghezio, monumento al criminale Graziani) o penalmente irrilevanti (offensività di Guzzanti, non cittadinanza di Christian) e in cui il numero di firme e testimonials non serviva comunque a nulla, tanto meno a rendere più effettiva o efficace la denuncia. Al contrario, firmare petizioni a tutto spiano sottrae l’attenzione verso quei casi che maggiormente la meriterebbero, di gran lunga i maggiori per numero ovvero quelli che non implicano il normale svolgimento dell’azione penale, che è già obbligatoria.
    Più in generale la pet(izi)omania diseduca perché vizia la percezione comune della giustizia abituando individui e operatori all’idea che si proceda sul principio della muscolarità del numero e del rumore. Il che è perfetto per il metodo dei media che di quel chiasso campano ma non della riuscita delle cause la cui attenzione dedicata è inversamente proporzionale al loro numero.E infatti l’1,13% non è da salutare come successo ma come definizione di inutilità.
    Grande argomentazione. Chapeau.

  4. Condivido le osservazioni di ilcomizietto e Ugo.

    Per verificare l’efficienza si dovrebbe vedere, delle 170 petizioni che avrebbero raggiunto il loro obiettivo, per quante di queste le conseguenze del successo risultano poi congruenti con l’obiettivo (il caso contrario nelle cose sociali è molto frequente), per quante l’obiettivo sarebbe stato raggiunto facilmente anche senza la petizione, e quante invece sono successi genuini.
    Successi genuini a prescindere dalla bontà dell’obiettivo perseguito — il fatto che tanti vogliano qualcosa non dà garanzie sulla bontà della cosa. Specialmente, ripeto, sulla bontà delle conseguenze.

    L’aspetto più interessante mi sembra questo: in tempi in cui il potere democratico dei semplici cittadini è estremamente limitato (non per cattiveria di qualcuno, ma per solide ragioni, fra cui la crescente globalizzazione), le petizioni e altre forme di apparente democrazia diretta possono dare a molti la sensazione di poter contare qualcosa.
    (Una maggiore democrazia diretta è efficace e utile su scala locale, in presenza di un federalismo forte e capillare, di senso civico e competenza dei cittadini, come nella Confederazione svizzera.)

  5. @Ben
    Di sicuro giovano alla visibilità di chi le fa e ci (ri)mette la faccia.
    Propongo di adottare il seguente criterio, un aggiornamento moderno del cui prodest: domandarsi sempre se chi parla ci guadagna qualcosa. Ah, naturalmente la visibilità è il più prezioso dei beni e il primo da sanzionare.
    Passi che chi è in cerca di visibilità faccia guadagnare anche il suo lettore ma in caso in cui non vi sia alcun guadagno, bensì perdita, nell’eventualità in cui l’apporto alla conoscenza (e quindi alla verità) sia nullo se non negativo, censurare immediatamente l’operazione.

    ps
    Pour parler: il mio commento critico era sparito e poi è ricomparso, google cache alla mano. Non sia mai dovuto al fatto che tu l’avessi letto e commentato alle 4.09 e che questo abbia indotto qualcuno a farlo ricomparire per non rimetterci la faccia.

  6. @Ugo: bentornato.
    @Giovanna: Per rispondere alla domanda del post, le petizioni online sono diseducative anche perche`: 1)non viene fornita sufficiente informazione per capire il problema; 2)I decisori possono legittimamente fregarsene di un sondaggio non certificato e che non verifica l`identita`del firmatario.

  7. @Ugo
    Sulle petizioni: scommetterei che hanno qualche effetto, per quanto scarso, solo quando sono usate come uno strumento da organizzazioni e movimenti già abbastanza forti, uno strumento in più fra i vari utilizzabili. Come sempre, spero di essere confutato con dati empirici.

    Sul “cui prodest”. Nonostante ultimamente mi trovi raramente d’accordo coi post di Giovanna, partecipo a questo blog perché ancora “mihi prodest”, o così mi sembra: un po’ mi diverto e un po’ spero di dire ogni tanto qualcosa di utile per chi legge. Non penso nulla riguardo alle motivazioni di Giovanna troppo facile, quando si è in disaccordo, buttarla sulla disonestà intellettuale interessata — tipo “il rinnegato Kautski”. Mi limito a pensare, e qualche volte a suggerirle fra le righe ;-), che dice cazzate, come capita a tutti, spesso perfino a me. 🙂
    Resto grato a Giovanna di offrire quasi ogni giorno post interessanti e uno spazio di discussione talvolta interessante — specie se c’è Ugo. 🙂

  8. Scusa Ben, magari la prossima volta evita di usare su questo blog il termine “cazzate”, visto che io non l’ho mai usato nei tuoi confronti. Non ho niente contro il turpiloquio, come ho spiegato proprio qualche giorno fa persino a una bambina. Ma dipende dal contesto e dai modi: in questo caso il contesto non mi pare adatto.

    Vero è che riferisci le “cazzate” anche a te stesso, con tanto di smiley, ma non vorrei che i commentatori di questo blog cominciassero a somigliare un po’ troppo a quelli del Fatto Quotidiano o del blog di Grillo, incluse paranoie su presunte “censure” (che puntualmente i commentatori si fanno proprio negli ambienti di rete in cui nessuno si sogna di applicare censure).

  9. change.org mi ha fatto venire voglia di non firmare più petizioni on-line, neanche quelle che considero importanti. Come hai detto tu, basta che ne firmi una poi te ne arrivano tante, spesso inutili. Manca solo che qualcuno chieda più formaggino nelle minestrine dei bambini! Sapessi la fatica che ho fatto per fargli capire che non ne volevo più ricevere! Ti cancelli ma loro continuano a mandartene con una debole scusa! Sembra che ti stanno promuovendo l’acquisto di un prodotto. Mi piacerebbe poter firmare solo le petizioni che voglio io, senza l’obbligo d’iscrizione.

  10. ok Giovanna, volevo essere franco, come si usa felicemente in altri contesti. Ma hai ragione, sei tu la padrona di casa, e mi atterrò alle tue regole.

  11. …regole che sono pure assai sensate, per la ragione che dici.

  12. Arrivo tardi ma arrivo. 🙂 Lo spot è fatto molto bene, fa sapere che quei 170 successi sono importanti e fa dimenticare gli altri 14.830. Da questo punto di vista, complimenti.

  13. Avrei giurato che qualcuno avrebbe citato la petizione lanciata negli USA per far rievocare la green card di Justin Bieber 😀 ( QUESTA QUI >> https://petitions.whitehouse.gov/petition/deport-justin-bieber-and-revoke-his-green-card/ST1yqHJL)

    Ora, mi pare ovvio che non si tratta di un esempio di petizione che punti ad abbattere un terribile male dell’umanità. Però ha superato le 200.000 firme in meno di un mese, e la Casa Bianca è ora legalmente obbligata a dare una risposta ed un commento al riguardo.

    Io per prima non sono la fan numero 1 delle petizioni online, soprattutto per l’invasività che possono raggiungere, come già citato egregiamente, e per il costante dubbio che possano venire strumentalizzate, anche su un livello economico e commerciale, come quasi tutto oggigiorno.

    Voglio ancora credere, nonostante tutto, che possano essere un buon mezzo per esprimere un’opinione comune.

  14. Visto il tema del post, vi ricordo ancora una volta di firmare la petizione per l’attivazione della classe di concorso in Teoria e Tecnica della Comunicazione. Se dovesse passare questa petizione centinaia di comunicatori avrebbero la possibilità di trovare nel breve periodo un posto di lavoro. Prima di giungere a conclusioni errate, vi invito a leggere per intero il testo della petizione. Va ricordato, inoltre, che questa petizione non è appoggiata da nessun partito, da nessun sindacato e da nessuna associazione e questo è un altro buon motivo per firmarla. http://www.change.org/petitions/ministro-dell-istruzione-dell-universit%C3%A0-e-della-ricerca-maria-chiara-carrozza-attivare-la-classe-di-concorso-in-teoria-e-tecnica-della-comunicazione-a-58

  15. Comizietto e chi condivide il suo esercizio matematico non conosce @mail marketing. Il successo di una proposta è in media lo 0,25%. Può darsi che alcune delle 140 petizioni andata buon fine sia stata inutile, ma sono una enormità per chi conosce i numeri delle petizioni raccolte con il banchetto. Abbiate pazienza, aprite le mail, ci vogliono circa 3 secondi per capire se l’argomento vi interessa, 100 mail al giorno 300″ 5′, almeno la prima volta cercate di capire chi vi vuole coinvolgere, se è uno con le credenziali di Change.org, o Don Ciotti, meglio una firma a vuoto che il silenzio.

  16. Le petizioni online e la democrazia partecipata servono eccome.. se servono…se non ci fossero state le petizioni online e la mobilitazione di blog e forum…noi oggi avremmo ACTA SOPA PIPA … e le leggi in stile cinese sfornati dai soliti politici censori…. Onestamente io non conoscevo Change.org ma conosco avaaz.org che lavora su scala mondiale e riesce a raccogliere un milione di firme in poche ore ( ma le petizioni vengono selezionate e votate dalla comunity…ecco quindi che prevalgono spessissimo quelle relative alla libertà di espressione e di opinione)…

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