Archivi tag: 2008

3×3

Come antidoto all’invasione del Be Stupid, un paio di giorni fa Cristina – laureanda in Scienze della Comunicazione – mi ha segnalato il cortometraggio «3×3» del portoghese Nuno Rocha, che a fine 2008 vinse il Gran Premio «ZON Criatividade em Multimédia».

Ha quasi due anni, ma non lo conoscevo.

Un modo intelligente e spiritoso per mostrare come la creatività nasca dallo studio e dall’applicazione costante.

L’arte del commento

Diverse amiche e amici blogger si complimentano spesso con me per la qualità e pacatezza dei commenti di questo blog: «Ma che lettori educati…», «Intelligenti!», «Ma sono tutti così, i tuoi studenti?», «Non ti è mai capitato nessun matto? Nessun flaming?». Ebbene, una fiammata l’ho avuta anch’io; una sola in 14 mesi, però. Poco e niente, mi assicurano. Fortunata? Bah.

Non lo dico per lusingare chi commenta questo blog. Lo dico perché ho appena letto un articolo di David Randall su Internazionale (pescato grazie a Donatella). Randall è senior editor del settimanale londinese Independent on Sunday – e ho avuto, fra l’altro, occasione di ascoltarlo in uno splendido intervento durante il Festival di Internazionale a Ferrara nell’ottobre 2008.

Penso che ciò che lui dice sui lettori delle grandi testate giornalistiche possa essere riferito, in piccolo, anche alla blogosfera. E credo che la «qualità e pacatezza» dei commenti di questo blog possa essere compresa, in molti casi, proprio nei termini di Randall: chi passa di qui aggiunge spesso – per mia fortuna e felicità – nuove informazioni.

Grazie. 😀

————

PARLARE CON I LETTORI, di David Randall

Chiediamo ai lettori di mandare informazioni e non di esprimere opinioni

Internazionale 784, 26 febbraio 2009

La Nieman Foundation per il giornalismo dell’Università di Harvard pubblica una rivista trimestrale. Nell’ultimo numero ci sono una serie di appassionati articoli su quello che la stampa può fare per entrare nel futuro digitale. Un’idea sembra aver contagiato tutti: che il giornalismo debba diventare un dialogo, che i quotidiani del futuro debbano essere una conversazione tra giornalisti e lettori, grazie alle reazioni immediate permesse dalla rete.

È una proposta affascinante, ma temo sia frutto di un malinteso. Sia sulla carta stampata sia su internet, i commenti dei lettori sono di due tipi: o sono diretti ai giornalisti o sono scritti per essere pubblicati. Poche persone telefonano in redazione, ma un numero sorprendente di lettori scrive, di solito per raccontare esperienze personali o per criticare.

A me capita anche di ricevere due o tre lettere al mese da persone che avrebbero bisogno di essere curate o rinchiuse. Di solito la busta è coperta di nastro adesivo, l’indirizzo è scritto tutto in maiuscole, e il mittente è convinto di essere spiato dalla Cia. Oppure arrivano cose inquietanti come la foto di una sedia vuota, che mi hanno spedito varie volte l’anno scorso.

La maggior parte delle email che ricevo vengono da aziende che cercano di ricavare dei vantaggi da una notizia di cronaca. La proposta più sfacciata l’ho ricevuta l’anno scorso dopo aver scritto un articolo su Josef Fritzl, l’austriaco che aveva tenuto la figlia segregata in cantina per anni. L’ufficio stampa di un’impresa mi ha suggerito di continuare a occuparmi dell’argomento con un articolo sui loro prodotti per la sicurezza personale. Ho cortesemente rifiutato.

Tra le lettere e le email che vengono scritte per essere pubblicate, il 70 per cento è intelligente e ben argomentato, il 20 è poco originale e il restante 10 per cento contiene informazioni sbagliate o è scritto male. Ma la caratteristica che le accomuna, dato che sono firmate, è che sono quasi tutte garbate e civili. Non si può dire la stessa cosa dei commenti scritti nei siti dei giornali e delle riviste. Internet consente alle persone di scrivere in modo aggressivo e irrazionale, ma soprattutto, anonimo.

Qualche tempo fa abbiamo pubblicato un articolo sulla proposta di limitare la vendita dei televisori al plasma perché consumano troppa energia. Splendido, ho pensato. È una buona occasione per dedicare un paio di pagine alle reazioni dei lettori. E poi ho cominciato a leggerle. Non c’erano più di sei commenti utilizzabili: gli altri erano scambi di insulti tra persone che negavano il problema del riscaldamento globale ed ecologisti altrettanto maleducati.

Ho chiesto ai nostri tecnici di scoprire da dove provenivano. Arrivavano quasi tutte dall’Australia e dall’America e, a quanto pare, non cercavano un forum di discussione ma un’arena in cui i monomaniaci di tutto il mondo potevano insultarsi. Suppongo che anche questa sia democrazia, ma una democrazia da idioti. E non è un caso isolato. Nessun giornale inglese, e neanche la Bbc, solleciterebbe mai dei commenti sugli articoli che parlano di Israele: non perché vogliano soffocare il dibattito, ma perché argomenti come questo attirano soprattutto le persone che passano buona parte della loro vita a cercare un posto dove esprimere le loro idee faziose.

Un mese fa l’Independent on Sunday ha pubblicato un articolo del nostro corrispondente da Roma sulla decisione di Benedetto xvi di revocare la scomunica al vescovo inglese che nega l’Olocausto. Appena l’articolo è uscito sul sito, sono arrivati centinaia di messaggi di persone convinte che le camere a gas non siano mai esistite e che sia in corso un complotto sionista per tenere nascosta questa “verità”. E gli altri messaggi accusavano il papa di essere l’Anticristo.

Che fare? L’Independent on Sunday sta sperimentando un sistema in cui i lettori si devono registrare prima di mandare un commento. Sembrava una buona soluzione, e invece abbiamo scoperto che molti di quelli che si sono registrati non sono nostri lettori, ma esaltati che passano la vita a scrivere ai giornali.

Le cose sono andate molto meglio quando abbiamo chiesto ai lettori di mandarci informazioni invece di opinioni. L’anno scorso ho pubblicato due lunghi servizi. Uno era il contrappunto alle squallide liste di persone ricche e famose che spesso ci capita di leggere ed elencava invece cento persone che si sono distinte per il loro altruismo.

L’altra era la lista dei cento segreti meglio custoditi della campagna inglese. In entrambi i casi ho chiesto ai lettori di mandarmi altri suggerimenti, e il risultato è stato diverso dal solito. Abbiamo ricevuto centinaia di proposte intelligenti e originali, e molte sono state usate come base per articoli pubblicati sul giornale nelle settimane successive.

Questo, secondo me, è il modo ideale per usare internet: chiedere ai lettori di contribuire al lavoro dei giornalisti, invece di criticarlo. È un’impresa difficile, ma è meglio che sollecitare semplici commenti. Non è un dialogo con i lettori, ma una collaborazione: e questo secondo me è uno dei segreti per usare bene la rete.

(Internazionale 784, 26 febbraio 2009).

Povero Gandhi

Ti ricordi lo spot di Telecom Italia nel 2004, quello diretto da Spike Lee con Mahatma Gandhi? Lo spot faceva riferimento a un discorso che Gandhi tenne a New Delhi il 2 aprile 1947, e metteva in scena questa fantasia: immagina che nel 1947 Gandhi avesse a disposizione le tecnologie della comunicazione odierne, dal cellulare alla videoconferenza, e chiediti: «Se avesse potuto comunicare così, oggi che mondo sarebbe?».

Bello l’esperimento mentale, bravo Spike Lee. E lo spot vinse un premio.

8 agosto 2008: Telecom riprende quello spot, accompagnandolo con questo annuncio: «Proprio in questi giorni è stato ritrovato l’audio completo di questo discorso di Gandhi: un omaggio alla riflessione di tutti. L’appuntamento con il testo, commentato per voi da Tara Gandhi, è per il 15 agosto sui maggiori quotidiani e su avoicomunicare.it». E mentre appaiono in sovraimpressione la scritta «One world» e il marchio Telecom, lo speaker ripete: «A voi comunicare».

11 settembre 2008: va in onda un secondo spot che, sulle stesse immagini di agosto, recita: «In questo discorso, oggi recuperato nella sua interezza, Gandhi parla delle differenze tra i popoli e di come superarle. Questa è l’occasione per conoscerlo. Oggi più che mai è un omaggio alla riflessione di tutti.» Stessa chiusura: «A voi comunicare».

Della campagna 2008 si è parlato molto in rete, perché Il Disinformatico ha diffuso la notizia che il recupero millantato da Telecom non è affatto recente: il discorso stava già da quattro anni sul sito della GandhiServe Foundation, a questa pagina, completo di audio.

Dal mio punto di vista, concentrarsi su questa menzogna va bene. Fino a un certo punto, però: invenzioni come questa sono frequenti nei lanci pubblicitari, e chi le progetta mette spesso in conto che possano essere scoperte. Tanto, se non ledono gli interessi di qualche potentato, cosa mai può succedere? Nel caso di questo spot, il trucchetto ha aumentato l’attenzione sulla campagna.

Ma ci ha distratti da un altro problema, purtroppo.

Il problema è che nel 1947 le parole di Gandhi avevano un senso, che però oggi è ribaltato. Lui diceva di sognare «One world», un mondo unico in cui la spiritualità dell’Oriente potesse «conquistare l’Occidente», e per questo l’Occidente sarebbe diventato più felice.

Ma oggi il «mondo unico» è tutta un’altra cosa. È un mondo in cui l’economia e lo stile di vita occidentali stanno «conquistando» non solo l’Oriente ma moltissimi altri paesi, e nessuno è felice per questo. Un mondo globale, si dice.

E il marchio Telecom, quali conquiste rappresenta? Quelle della spiritualità orientale, o quelle delle multinazionali occidentali?

È per questo che Gandhi testimonial per Telecom non è credibile. Non solo per il malriuscito trucchetto sul ritrovamento. Né per colpa di Gandhi, naturalmente.

Lo spot del 2004:

Lo spot dell’8 agosto 2008:

Lo spot dell’11 settembre 2008:

QUI il discorso di Gandhi, tradotto in italiano da Tara Gandhi (per avoicomunicare.it).