Com’era Umberto Eco a lezione, nelle aule universitarie, con gli studenti?

L'Espresso 26 febbraio

Sul numero dell’Espresso oggi in edicola, la copertina e molte pagine sono dedicate a Umberto Eco. Questo è il mio contributo:

Com’era Eco a lezione, nelle aule universitarie, con gli studenti? È stato il mio docente di riferimento in tutto – laurea, dottorato, post-dottorato – ed è per me difficile, oggi, condensare un’esperienza che è stata lunga, ricca, abbondante, addirittura strabordante (proprio com’era lui, in aula e fuori). Ci provo con tre parole: chiaro, divertente, graffiante.

Chiaro. Eco aveva la capacità straordinaria di tradurre sempre in parole semplici e concrete i concetti più difficili, i nessi logici più astratti, le riflessioni filosofiche più importanti. Una capacità che era già grande quando lo conobbi – erano gli anni ’80 – e che nel tempo riuscì perfino a migliorare e raffinare, combinando la chiarezza didattica alla grande divulgazione scientifica.

Divertente. A lezione, come in quasi ogni ambito, Eco mescolava sempre il registro alto con quello basso, il lessico forbito con le parole colloquiali (e a volte le parolacce), le argomentazioni più complesse con le barzellette. Il risultato era che puntualmente, a cadenze regolari, gli studenti scoppiavano a ridere. Lunghi silenzi e fragorose risate. Silenzio, silenzio, risata: questo sentivi mentre faceva lezione. In questo modo, gli studenti non solo si divertivano, ma imparavano e ricordavano. Nulla è più efficace, per favorire l’apprendimento, che collegare i concetti a qualche emozione, soprattutto piacevole. Lui lo faceva.

Graffiante. Con i giovani era sempre diretto, immediato, nel senso che diceva sempre ciò che pensava nel momento in cui lo pensava (o almeno così dava l’impressione di fare). Perciò metteva soggezione, no, di più, in molti casi faceva proprio paura, perché da un momento all’altro poteva selezionarti nell’aula più affollata (le sue aule erano sempre stipate) per farti una domanda, poteva fermarti in corridoio con quel libro che gli avevi chiesto ma avevi già scordato, poteva fare ironia su qualcosa che non sapevi. In realtà la sua ironia era sempre benevola, e negli esami Eco era, come dicono gli studenti, “buono”. Però faceva paura, tanta. Perché lui sapeva molto e tu pochissimo, no, peggio: lui sapeva tutto e tu niente.

Sbaglia chi pensa che Umberto Eco se ne sia andato. Il professore è vivo, è ancora con noi. Non solo perché vive nei testi che ha prodotto e sono sparsi in tutto il mondo. Ma perché vive nelle decine di migliaia di suoi ex studenti e studentesse, che hanno avuto la fortuna di accalcarsi nelle aule in cui faceva lezione, e l’hanno fatto per mesi, a volte per anni. Ognuno di noi, anche il più distratto, anche la più svagata, ricorda almeno una frase, un concetto, un guizzo, un’alzata di sopracciglio che gli/le abbia lasciato un insegnamento, fatto venire un’idea, addirittura cambiato la prospettiva e in certi casi la vita. Un professore non muore mai, e questo vale per quasi tutti i professori. Un grande genio resta nella storia. E questo vale solo per lui.

3 risposte a “Com’era Umberto Eco a lezione, nelle aule universitarie, con gli studenti?

  1. Straordinario. Perlomeno, adesso sa cosa c’è di Là. Non credo sia del tutto miscredente (visti i funerali laici), a parte la sua educazione cattolica. Ne ho le prove, leggasi:
    – alcune parti conclusive di Dall’albero al labirinto. Milano, Bompiani, 2007
    – senza contare il dibattito nel In cosa crede chi non crede? (con Carlo Maria Martini), Liberal, 1996.

  2. Bellissima analisi. Personalmente ho avuto la fortuna di avere un’insegnante di filosofia che ripeteva sempre i concetti più importanti e in modo semplice. Grazie a lei non abbiamo mai trovato questa materia difficile. Era molto pacata e seriosa ma a me andava bene così. Insegnava anche la lingua italiana.

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