“Fertility Day: andiamo oltre i capri espiatori”, di Massimo Guastini

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Ritengo utile pubblicare l’articolo che Massimo Guastini – direttore creativo e partner di CookiesAdv, Presidente dell’Art Directors Club Italiano dalla fine del 2010 al febbraio 2016, ha scritto sul sito della sua agenzia. Utile per tutti/e i/le giovani che intraprendono percorsi di studi umanistici, in particolare nell’area della comunicazione, perché offre elementi concreti sul mercato del lavoro che li attende, con un’attenzione particolare per i compensi (bassissimi), i costi complessivi delle campagne di comunicazione (altissimi, in rapporto a quelli di chi ne crea i contenuti) e la complicità – aggiungo io – con cui tutti, in Italia, accettiamo che le professioni che implicano cultura umanistica (la più vasta, la più complessa, la più difficile da ottenere seriamente, e sottolineo seriamente) siano sottopagate. Siamo tutti complici, tutti: dalla ministra Lorenzin che va in tv chiedendo ai professionisti della comunicazione un contributo “a titolo gratuito”, ai docenti di materie umanistiche che, sotto sotto, si sentono sempre di “serie B” rispetto ai colleghi “scienziati”, fino ai/alle neolaureati/e che accettano proposte di lavoro indecenti e stipendi da fame perché tanto, se non lo fanno, ci sarà sempre qualcuno/a che lo fa al posto loro. Vogliamo uscire, una buona volta, da questo cicolo vizioso? Leggi cosa racconta Massimo Guastini (i grassetti sono miei):

È troppo facile prendersela oggi con l’Avvocata Daniela Rodorigo per l’ultima (spero) puntata della campagna #FertilityDay.

Mi chiedo quanti, tra le persone che conosco, avrebbero rifiutato 236.000 euro annui lordi per un’ineffabile job description: Direttore generale della Comunicazione e dei Rapporti Europei ed Internazionali. Quanti si sarebbero chiesti: “ho le competenze per un lavoro del genere?”

La comunicazione è sempre un gioco di squadra, scaricare le colpe su una persona sola è per lo meno ingeneroso. Anche se riceve un compenso generoso.

Il tema è in realtà molto più ampio e ne accennai anche nell’introduzione al penultimo Annual cartaceo dell’Art Directors Club Italiano, quello pubblicato da Skira.

Content is the King, ci ripetono da circa un decennio i principali player (Google, Facebook e Twitter). Eppure, malgrado infinite evidenze continuino a dimostrarci quanto siano importanti i contenuti, nonché la capacità di raccontare delle storie, i creatori di storie e di contenuti non sono mai stati pagati così poco come oggi.

Lasciate perdere il capro espiatorio del FertilityDay e concentratevi, senza invidia, sulla retribuzione: duecento trentasei mila euro lordi all’anno. Sono circa 130 euro (lordi) all’ora.

Quanto prendono oggi all’ora i creatori di contenuti? Mi rivolgo anche agli autori di lavori italiani eccellenti premiati dall’Art Directors Club Italiano, da Cannes Lions, dal Clio. Mi raccomando, non dividete il lordo per otto ore al giorno, perché ne trascorrete molte di più in agenzia. Quattro anni fa scrivevo: “…In Italia l’80% dei creativi tra i 22 e i 35 anni guadagna tra gli 80 centesimi e i 5,41 euro netti all’ora. Non chiamiamola gavetta, non più: il 90% dei creativi è fuori dalle grandi agenzie prima dei quarant’anni

Oggi questi dati sono peggiorati.  “…Il denaro che il business pubblicitario è ancora in grado di generare alimenta circuiti relazionali anziché i produttori di idee. Questo fa forse spostare i budget, da un ‘agenzia all’altra, ma non porta alla produzione di idee capaci di spostare verso l’alto il grafico delle vendite.  La pubblicità tradizionale non funziona più e quella digital non funzionerà mai (salvo le immancabili, miracolose eccezioni), se non cambieremo”.

Il lavoro svolto per il #FertilityDay può, per inferenza, farci dubitare delle competenze specifiche dell’Avvocata Daniela Rodorigo. Ma chi l’ha selezionata che competenze aveva? Nutro qualche dubbio sull’opportunità di un #FertilityDay. Anche questo l’ha deciso l’Avvocata Daniela Rodorigo? Se chi commissiona (e dovrebbe controllare) i content non è competente, difficilmente sceglierà professionisti qualificati. Ma qualora, per un miracolo, dovesse anche imbattersi casualmente in creatori di contenuti abili, è verosimile che li porterebbe fuori strada. Come se a me affidassero una vettura di formula uno.

Non date la colpa al corrotto mondo politico. Il processo è adulterato anche nel privato. Ipotizziamo un budget da 10 milioni di euro. Quanto pensate prenda mediamente la struttura che provvederà alla creazione dei contenuti? A me risulta tra il 2 e il 3%. Se va bene. Mentre chi tratta l’acquisto degli spazi media potrebbe vedersi riconosciuto, non ufficialmente ma in forma di diritti di negoziazione – non sono illegali ma non sono nemmeno del tutto noti alle aziende clienti – un fee anche 10 volte superiore.

Se non mi credete, andate a leggere i bilanci delle agenzie creative e comparateli con quelli dei centri media facenti parte della stessa Holding.

In sintesi: commercianti e mezzani guadagnano molto di più dei creatori di contenuti. Tra l’altro questi soldi non vanno nemmeno a pagare professionalità italiane. Per lo più finiscono (legalmente) oltre confine agli azionisti.  Proseguendo su questa china, il nostro settore non sarà più in grado di intercettare, come in passato, i migliori giovani e i migliori talenti. Sta già succedendo. Non dite “chissenefrega”.

La progressiva scomparsa dell’etica nelle dinamiche professionali del settore pubblicitario, nelle remunerazioni, nei rapporti con i dipendenti, ha da troppo tempo inevitabili ripercussioni sulla qualità dei contenuti che mettiamo on air e online. Il fertility day è solo la puntata più recente.

Ecco allora che un “sistema pubblicità” privo di etica diventa un problema di rilevanza sociale. Ecco che un lavoro delicato, per le responsabilità morali e sociali che implica, rischia di non essere più né un mestiere né un insieme di tecniche e competenze. Ma solo l’improvvisazione di chi vive improvvisandosi. Solo un’innegabile forma d’inquinamento cognitivo. Il pessimo nutrimento dell’immaginario collettivo.

Credo che chi commissiona i progetti di comunicazione oggi, i nostri Clienti, dovrebbe iniziare a preoccuparsi maggiormente di dove finiscano i soldi che investe. Anche nel suo interesse.

Content is the king. Ma le remunerazioni medie di chi dovrebbe crearli sono inferiori a quelle di una colf. Forse anche per questo molti creativi italiani si sono incazzati. Se fossimo pagati 130 euro (lordi) all’ora creeremmo anche nuove vite.

6 risposte a ““Fertility Day: andiamo oltre i capri espiatori”, di Massimo Guastini

  1. Commenti ampiamente condivisibili. Vorrei aggiungere che la comunicazione ministeriale (di qualsiasi colore politico) è su livelli decisamente bassi. Ho finito da poco la redazione di un libro sulle campagne contro l’Aids e, dopo averne viste più di 500, posso tranquillamente affermare che quelle del ministero della Salute sono tra le peggiori (in qualche caso le peggiori in assoluto). Lo stesso si può dire anche di altre tematiche, non solo di questo ministero, ma anche di altri (come non ricordare il pessimo spot che aveva come testimonial Berlusconi che affermava che “l’Italia è il paese che ha regalato al mondo il 50% dei beni tutelati dall’Unesco”, quando invece sono il 5%? O la triste storia del logo Italia? Gli esempi sono tanti e dimostrano la scarsa professionalità di chi decide a chi affidare le campagne di comunicazione e che le approva.

  2. Pingback: Il “Fertility Day” e la qualità del lavoro | Ilcomizietto

  3. Dire ora che “siamo tutti complici” è retorica pura, prima di dare colpa allo studente che accetta lavori sottopagati, pur consapevole di sbagliare, sia la classe dirigente e intellettuale che ha guidato la formazione dei comunicatori a prendersi le proprie responsabilità. Avrebbe dovuto essere più lungimirante e prevenire che la disciplina si inflazionasse ancor prima di crescere. Sennò lei si mette al pari della Lorenzin che colpevolizza coloro che non fan figli e sono invece la prima vittima di una società che non lo consente. Saluti.

  4. Cara Lucia, il detto Italiano dice “chi pecora si fa / il lupo se lo* mangia” ; quello – mi dicono – Cinese, dice “la prima volta che mi colpisci è colpa tua, la seconda è colpa mia”. E più o meno dicono la stessa cosa. Qui la pecora si fa complice del lupo. Accetta tutto. Chiunque abbia un figlio (ma io non ne ho e osservo lo stesso, come non ho un utero ma so che partorire non è esente da dolore) sa che ad un certo punto ti prende le misure: ti sfida. Se non fai qualcosa, ha capito che può osare di più.

    E questo succede col lupo. Il lupo ci prova. E tu ci stai? Allora la prossima volta mangerà di più.
    So simple.

    *(e non “se LA mangia”)

  5. Carissima, ti invito a leggere anche quanto scrive Smargiassi su Fotocrazia, in merito a questo, e anche i commenti: interessante.

    http://smargiassi-michele.blogautore.repubblica.it/2016/09/23/lideologia-razzistibile-delle-foto-passepartout/

  6. L’ha ribloggato su Arte&Culturae ha commentato:
    Un ottimo articolo sulla’analisi dei ruoli nella comunicazione contemporanea. Rilancio.
    A presto

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