Disoccupazione in Italia: oggi come ieri? Il mio racconto personale

Alcuni giorni fa è uscita l’ennesima rilevazione Istat sulla disoccupazione in Italia: nel complesso è salita ancora, passando dal 12,3% di agosto al 12,6% di settembre, ma gli addetti ai lavori vedono comunque segnali di ripresa. Bah. Ogni volta che sento questi numeri non posso fare a meno di ricordare che in Italia percentuali di disoccupazione a due cifre c’erano anche negli anni Ottanta e Novanta. Per essere più precisa, la percentuale passò a due cifre nel 1985 e vi rimase fino al 2000, come spiega Alberto Bagnai, da cui riprendo questa tabella:

La disoccupazione in Italia

Non sono un’economista, per cui non so spiegare le differenze né le somiglianze fra il contesto attuale e quello degli anni Ottanta e Novanta. Ricordo però cosa voleva dire per me, appena laureata, quella percentuale di disoccupazione: una miriade di lavori e lavoretti che allora non si chiamavano precari ma questo erano. Non solo: poiché mi mantenni da sola agli studi universitari – mio padre all’epoca aveva detto: “O così o Pomì”, come si diceva allora – la sfilza di lavori precari per me era già cominciata ben prima della laurea, fin dal primo anno di università.

Non so dire se la disoccupazione fosse più grave allora di oggi, né se i ventenni di allora avessero più o meno speranze di quelli di oggi. So solo che sono rimasta “precaria” fino a 38 anni, quando entrai come ricercatrice all’Università di Bologna, dove tuttora insegno. Eppure ho sempre lavorato. Molto. Moltissimo. A parziale consolazione – mal comune non è mai mezzo gaudio – degli studenti, delle studentesse e dei neolaureati di oggi ho deciso di fare coming out, elencando tutti i lavori che ho fatto quando studiavo e subito dopo. Se ce l’ho fatta io, a lavorare studiando, possono farcela tutti. Mentre studiavo all’università, ho fatto:

  • la maschera in un cinema/teatro;
  • la rilevatrice in un censimento;
  • la dimostratrice di liquore Chartreuse nei ristoranti;
  • l’animatrice nei villaggi turistici durante l’estate;
  • la cameriera ai tavoli in un ristorante vegetariano, prima, e in una celebre osteria bolognese del centro storico, poi.

Inoltre, durante gli anni universitari ho dato centinaia di ore di lezioni private ai ragazzini delle medie inferiori e superiori: inglese, matematica, italiano, latino, storia… Per non parlare dei capitoli di tesi scritti – a pagamento – per laureandi/e di legge, economia, storia, che pagando me si risparmiavano un bel po’ di lavoro.

Dopo la laurea, poi, ho venduto polizze assicurative per una delle più grosse compagnie assicurative italiane. L’ho fatto per ben sei anni. Lavoravo a provvigione (= senza uno stipendio fisso), vendendo polizze vita, polizze sanitarie e polizze infortuni; con la percentuale che mi spettava su ogni polizza venduta riuscivo a comporre uno stipendio mensile con cui integravo la borsa di studio di dottorato, prima, e post dottorato, poi, che nel frattempo avevo vinto. Perché diciamo le cose come stanno: se i genitori non ti aiutano e se non hai la casa di proprietà, in Italia con una borsa di studio di dottorato e post dottorato non paghi l’affitto, le bollette e il resto in una città costosa come Bologna. Non ce la fai oggi come non ce la facevi allora.

Smisi di vendere polizze quando, con alcuni ex compagni di studi, avviamo una piccola impresa che produceva software e contenuti per i media digitali e l’appena nato Web. Era quella che oggi si chiama una start up, ma noi non la chiamavamo così, anche se facevamo già la stramaledetta fatica che si fa oggi per lottare tutti i giorni contro la burocrazia, le tasse già troppo alte, il mercato sempre drogato da finte gare, finti bandi, finti affidamenti al finto grido di “vinca il migliore”. Nel frattempo continuavo pure a studiare – mi è sempre piaciuto studiare, scrivere, fare ricerca – e alla fine vinsi il posto da ricercatrice all’Università di Bologna. Al che, dopo sette anni, abbandonai la mia vita da piccola imprenditrice ed eccomi qua. Un posto fisso, sì, anche se non l’ho mai considerato tale, nel senso che mai mi ci sono seduta né mai lo farò: oggi ci sono, domani chissà e nel frattempo do il massimo.

E oggi? È peggio oggi? Per quel che riguarda l’università rispondo subito io: sì, è molto peggio, se vuoi fare carriera accademica in Italia, scordatelo, perché è tutto chiuso, non ci sono soldi, la ricerca è scoraggiata. E per quel che riguarda altri lavori, altre carriere e professioni? A te la risposta.

26 risposte a “Disoccupazione in Italia: oggi come ieri? Il mio racconto personale

  1. Una mia amica ha appena commentato che la pagavano più a 16 anni a fare volantinaggio che ora a fare la copywriter per il web.
    La mia personale opinione è che la capacità di spendere degli imprenditori si sia ulteriormente ridotta rispetto agli anni 1985-2000 e quindi i lavori si trovano ma pagano meno e richiedono di più.
    La differenza fondamentale però è l’indice che hai usato: la disoccupazione generale. Come strillano troppo pochi quotidiani ogni qualche mese, il dato importante per la tua demografia di riferimento è la disoccupazione giovanile, misurata come “quanti giovani tra quelli che cercano lavoro non lo trovano”… e come presumo saprai passa il 40%. mentre nel 2004 era il 26% http://www.istat.it/…/year/y/flashfc/width/800/height/640 (non ho trovato dati più vecchi purtroppo)

  2. GRANDE questo coming out della prof Cosenza precaria fino a 38 anni con la miriade di lavori e lavoretti fatti ! Sono arrivato nell’attività lavorativa qualche decennio prima della Prof ma la situazione non era diversa : la disoccupazione era sempre a due cifre e il ” O così o Pomì” te lo dicevi tu stesso. Ricordo quando , lavoratore stagionale ad una catena di montaggio , chiesi 3 ore di permesso per un esame in università oppure di passare al turno di notte per poter dare l’esame al mattino . Mi fu rifiutato . . Andai ugualmente all’esame . Al rientro in fabbrica il mio cartellino da timbrare non c’era più : licenziato . Il ’68 doveva ancora arrivare .. A volte , quando sento molti lamentarsi ( e come unica iniziativa presa quella di spedire a caso centinaia di CV ) penso a quella travolgente poesia di Spoon River in cui Lucinda Matlock , 96 anni , conclude in entusiasmo e bellezza :
    ” Cos’è questo che sento di dolori e stanchezza,
    e ira e scontento e speranze fallite ?
    Figli e figlie degeneri,
    la Vita è troppo forte per voi.
    Ci vuole Vita per amare la vita !”

  3. Ok, quindi va tutto bene, tutto nella norma. Evviva il Jobs Act, evviva la precarietà fino a 40 anni (ché tanto fa solo bene, ci si fa le spalle larghe e il pelo nello stomaco cresce rigoglioso). Evviva la miriade di contratti e contrattini usati a sproposito introdotti dalle varie riforme nel corso degli ultimi quindici anni (Co.Co.Pro. e allegra compagnia), evviva gli accorti legislatori e i fini statisti che stanno prospettando un così roseo futuro – pieno di infinite opportunità per farsi le ossa – per schiere di giovani che altrimenti, chi lo sa, si darebbero alla nullafacenza, all’alcool, alle droghe. Intoniamo tutti insieme – rigorosamente stretti mano per mano in cerchio – un sentito peana ai vari Treu, Biagi, Sacconi e consoliamoci che tanto, nell’universo sconfinato e rizomaticamente connesso della Semiosi Illimitata, ci sarà sempre qualcuno che ci ricorderà, a suon di narrative consolatorio/edificanti, che in fondo siamo tanto, tanto fortunati… amen.

  4. Ricordo che anch’io ho dato molte lezioni private (quelle di storia no, perché non erano molto richieste) e ho fatto vari lavoretti, tra cui addirittura la pittrice. Ma purtroppo ciò non mi ha garantì alcuna reale indipendenza economica: con quello che guadagnavo, non avrei mai potuto mantenermi completamente da sola, ancor meno avrei potuto trasferirmi a vivere in un’altra città. E mi dispiacque molto, ma purtroppo fui costretta a restarmene in famiglia.
    I lavoretti possono essere molto gratificanti anche sul piano psicologico, ma spesso non garantiscono piena e totale autonomia.

  5. Sono l’amica citata da Roberto Maurizzi più sopra. Rispondo alla Professoressa Cosenza, spero, con cognizione di causa, visto che ho cominciato a fare lavoretti a 16 anni e ora, che ne ho 30 e avrei in teoria una professionalità (quella di copywriter e traduttrice), la mia paga oraria a volte è inferiore a quella che ricevevo da ragazzina volantinatrice.
    Sì, il mondo del lavoro è molto peggio rispetto all’epoca che lei descrive. Enormemente peggio. Se guardo alle persone che ho attorno, sono pochissime quelle che hanno un posto che permette loro di mantenersi (figuriamoci di mantenersi facendo in più qualcos’altro, come ad esempio studiare all’università). La maggior parte dei miei amici – coetanei ma anche più vecchi – svolge più lavori contemporaneamente, a volte tre o quattro, incastrando microredditi super precari, spesso in nero o a progetto, senza alcun riconoscimento né alcuna tutela. Per i 30/40enni di mia conoscenza – tutti laureati e con esperienze lavorative qualificanti alle spalle – mettere insieme un reddito totale di 700 euro ogni mese è già un risultato. Una cifra che si riesce a raggranellare lavorando senza orari, senza giorni liberi, senza ferie, senza malattia e spesso senza alcun riconoscimento contrattuale.
    Il mio coming out è questo. Da quando mi sono laureata:
    – le mie candidature per lavori di barista, commessa, cameriera sono state rifiutate perché già a 26 anni ero troppo vecchia (figuriamoci ora che ne ho 30)
    – ho lavorato come cassiera per 3.50 euro all’ora in nero
    – ho lavorato qualche volta come maschera, lavoro durato pochissimo perché ero fuori dal giro delle maschere dei teatri bolognesi.
    – ho lavorato e lavoro come traduttrice e scrittrice di contenuti per il web, all’interno di quel folle sistema che oggi, a vent’anni – immagino – dalla sua start up, impone prezzi bassissimi, carichi di lavoro micidiali, e quando si parla di datori di lavoro italiani impone anche quantità enormi di lavoro gratuito (cosa che per fortuna non accade con i datori di lavoro stranieri, motivo per cui cerco di rivolgermi solo a loro e di evitare gli italiani).
    – ho lavorato e lavoro nella cucina di un ristorante, l’unico lavoro che abbia mai avuto con un vero contratto, ferie e malattia. Ovviamente tutto questo risulta vanificato dal fatto che per gli altri lavori che svolgo questi concetti non esistono, e quindi mi ritrovo a lavorare anche quando in teoria sono in ferie.
    Tutti i dati dicono che il mondo del lavoro è peggiorato. I dati sulla disoccupazione giovanile, ma anche quelli sulla percentuale di contratti precari, sul lavoro (falsamente) autonomo e così via. Ma basta anche solo guardare i dati sulla povertà, per farsi un’idea del paese in cui viviamo. Possiamo anche non essere disoccupati, ma siamo poveri, enormemente più poveri di 20 o 10 anni fa. Dal 2012 al 2013 il numero delle persone che si trovano in condizioni di povertà assoluta in Italia è cresciuto di 1,2 milioni di unità. Lei che lavora in università dovrebbe saperlo: l’università di Bologna ha visto calare notevolmente i suoi iscritti. E questo non perché gli studenti non hanno voglia di mantenersi agli studi, ma perché non possono mantenersi agli studi, è impossibile. Lei ce l’ha fatta? Erano altri anni, anni diversissimi. Ripeto, basta guardare i dati.

  6. la cosa curiosa del grafico in alto è che sembra proprio vero che la disoccupazione”nominale” sia andata a ridursi dopo l’introduzione del pacchetto Treu/riforma biagi:si peccato che i posti sono numericamente aumentati ma qualitativamente peggiorati:niente piu contratti indeterminati,se non in casi rari quindi meno mutui per comprare casa,di conseguenza ferma l’edilizia, di conseguenza tutta l’economia che segna il passo

    rimane che nella 2a metà degli anni 90,ricordati come un periodo fulgido del pil,la disoccupazione quantitativa nominale fosserelativamente alta

  7. Seriamente, prof.ssa Cosenza, perché ha sentito un così urgente bisogno di fare questo “coming out”? Per dimostrare cosa, esattamente?
    Me lo chiedo perché, per quanto mi sforzi, non riesco a trovare intorno a me alcun indizio che suggerisca che i quindici/vent’anni che penso ci separino anagraficamente abbiano inciso chissà quanto sul concetto di “necessità”… al punto per cui oggi non ci sarebbe più gente che si trova ad affrontare le difficoltà di cui lei parla come si faceva un tempo. In realtà ce n’è molta – e, mi permetto di dire, più che non dieci/quindici anni fa.
    Poi non tutte queste persone hanno la possibilità di fare “coming out” come è dato a lei, ossia in un blog abbastanza seguito e autorevole (visto che chi lo scrive insegna in un’Università e ha comunque un profilo pubblico). Per cui, di fatto, chi ha la possibilità di raccontarsi attraverso uno strumento del genere ha la possibilità – e la responsabilità che ne consegue – di dare un contributo effettivo ad una qualche narrativa su un dato fenomeno.
    Ora, la narrativa alla quale lei contribuisce con questo articolo è, per dirla onestamente, pessima. Potranno intervenire nei commenti anche mille persone a rettificare il frame da lei introdotto, con i loro rispettivi “coming out” – che dimostrerebbero senza timore di smentita quanto siano davvero peggiorate le condizioni. Eppure, il frame dominante rimarrebbe comunque quello da lei suggerito con questo intervento: ossia che le cose sono sempre andate così e che, eccetto per quanto riguarda la carriera universitaria per la quale non ci sono sbocchi di sorta, bisogna mettersi il cuore in pace e lavorare sodo per ottenere qualcosa nella vita – quando questo “qualcosa” ariverà, magari superati i quaranta.
    Grazie per il prezioso insight, davvero! Non fosse stato per lei non ci saremmo mai accorti che il mondo funziona così. E – chi lo sa – se non fosse stato per lei avremmo persino continuato a pensare che ci sia qualcosina di sbagliato in tutto questo – o, soprattutto (perché è questo il punto) nel fatto che tutto ciò abbia superato negli ultimi anni la soglia della tollerabilità.
    L’invito in conclusione di articolo serve a ben poco. Il frame rimane quello del “suvvia, rimboccatevi le maniche, non lagnatevi più di tanto che le cose in fondo sono sempre state difficili”.
    Non voglio fare polemica, le chiedo solo di pensarci un attimo. “Da grandi poteri…” (si parva licet…).

  8. La situazione dei giovani è drasticamente peggiore oggi rispetto agli anni 80′, ’90 e primi anni 2000, come indicato da Maurizzi con riferimento alla disoccupazione giovanile.
    Ma, come dice Maurizzi, anche il reddito conta, e i dati dei redditi per fasce d’età sono impressionanti. Vedi fig. 5, pag. 12 di una recente eccellente ricerca della Banca d’Italia: http://www.bancaditalia.it/statistiche/indcamp/bilfait/boll_stat/suppl_05_14.pdf
    Dai dati riassunti in quella figura risulta che fra il 1991 e il 2012 il reddito reale è aumentato notevolmente
    – per gli/le anziani/e over-64 (da 94 a 114)
    – e per la fascia d’età 55-64 (da 104 a 122).
    E’ diminuito in modo significativo, ma abbastanza contenuto
    – per la fascia d’età 45-54 (da 108 a 102).
    E’ invece calato severamente
    – per la fascia d’età 35-44 (da 107 a 94)
    – e ancora peggio per la fascia d’età 19-34 (da 104 a 88).

    In sintesi, negli ultimi vent’anni il reddito è cresciuto del 20% per la popolazione sopra i 55 anni ed è calato del 20% per la popolazione sotto i 45 anni. A me sembra, in un periodo così breve, un cambiamento terribile.

    Naturalmente non è effetto del destino. Sono state le scelte di politica economica dei vari governi, senza differenze apprezzabili al riguardo fra destra e sinistra, a privilegiare gli anziani a scapito dei giovani.
    (E se popolazione e governi continueranno a voler aumentare il debito pubblico, il peggio per i giovani, che alla fine in un modo o nell’altro il debito dovranno pagarlo, deve ancora venire.)

    In altri paesi, nello stesso periodo, l’andamento è molto molto diverso: http://noisefromamerika.org/articolo/anatomia-disoccupazione-giovanile-italia

  9. @ tino ferrari, nello stesso periodo del cartellino sparito esisteva una impresa che dava per intero lo stipendio ai suoi dipendenti che, entrati nel mondo del lavoro, avevano poi deciso di continuare gli studi. Molti di loro si sono laureati in materie come filosofia o antropologia, molto distanti dagli interessi dell’azienda metalmeccanica e neo-elettronica. Sia l’azienda che la società tutta ci hanno guadagnato.
    Certo che, con la morte di Adriano Olivetti, il suo volano ha continuato per qualche tempo a funzionare, poi la sconfitta, ad opera di altri imprenditori senza visioni, per primo Valletta e l’alta finanza nazionale.
    Lodovico Quaroni, prima cattedra di urbanistica in Italia, aveva affermato che con la morte Adriano Olivetti l’urbanistica nel nostro Paese aveva subìto un arresto per almeno un ventennio.
    Voglio dire che, indipendentemente dalle condizioni economiche più o meno favorevoli, è la qualità degli imprenditori a fare la differenza fra nuove visioni e nuove consapevolezze, e la furbizia della vebleniana classe agiata.
    Anche oggi, in condizione di rendimenti decrescenti, ci sono aziende che guadagnano proporzionalmente come la Olivetti dei tempi d’oro, ma preferiscono pagare le case vista colosseo o le vacanze ai formigoni…
    Il nostro furby presidente del consiglio continua a ripeterci che occorre fare in modo che gli stranieri vengano ad investire in Italia, quindi dall’alto delle sue alte visoni procede con cazzate marginali.
    Chissà perché “gli stranieri” dovrebbero farlo, visto che i ricchi (e ce ne sono, forse meno numericamente ma molto più ricchi singolarmente) Italiani vanno ad investire nei paradisi fiscali, a Singapore e in altri luoghi ameni, o più banalmente in Svizzera, invece di guardare alle potenzialità nostrane.
    Con le conseguenze che sappiamo sull’occupazione e sul progresso.
    A parte il “coming out”, che ci sarà pure un cavolo di modo di dirlo nella nostra lingua – che di ggiobbacti ne abbiamo piene le tasche e non c’è un giornalista che sappia come si pronuncia–, complimenti a Giovanna per la perseveranza e gli indubbi notevoli e sudati risultati.

  10. Correggo: è cresciuto del 20%, leggi: è cresciuto fino a punte del 20%;
    è calato del 20%, leggi: è calato fino a punte del 20%

  11. Nonostante il divario di reddito fra anziani e giovani a vantaggio degli anziani sia enormemente aumentato fra il 1991 e il 2012 (e presumibilmente ancora di più fra il 2012 e il 2014), questo non comporta automaticamente un eguale divario nel tenore di vita.
    In Italia, infatti, grazie ai forti legami di famiglia, gli anziani sussidiano largamente i giovani in vari modi.
    Questo spiega perché tanti giovani difendano gli interessi dei loro genitori e nonni: si sentono economicamente protetti da loro.
    Ma il dramma è proprio questo: la scarsa indipendenza economica delle giovani donne e dei giovani uomini in Italia.

  12. anch’io come la prof ho fatto una miriade di lavori. Mi “mantengo” autonomamente da quando avevo 16 anni, da quando ho iniziato a consegnare le pizze. Attualmente, dopo aver vinto un concorso pubblico, e con un posto stabile seppur a tempo parziale, continuo a studiare e ad informarmi. Credo che raccontando le nostre storie, riusciremo a trasmettere la possibilità di farcela anche a tanti altri “cervelli” che stanno pensando di andare via. Non possiamo lasciare questo bellissimo Paese agli amici degli amici, ai nipoti/figli di qualcuno, ai raccomandati, agli incapaci. Le nostre capacità possono metterci più tempo per emergere, ma alla fine, il lavoro e l’impegno, pagano sempre. ED abbiamo ancora tanto credito da riscuotere…

  13. Una volta se facevi la cameriera ti pagavano a prescindere dal numero di clienti che affollavano il locale, oggi rischi di andare a lavorare senza prendere un euro se non fai contratti, ecco la differenza. Oggi il problema non è il precariato, un miraggio per certi versi, ma lo sfruttamento e a sfruttare non sono solo l multinazionali, ma, paradossalmente anche le onlus, legga qui per farsi un’idea http://laveritasostanzialedeifatti.blogspot.it/2014/10/save-children-e-sfrutta-i-lavoratori.html

  14. Mi accodo al commento di Stefano Radaelli, chiedendomi cosa sta cercando di dimostrare questo post.
    Perché se il punto è che bisogna, in ogni caso, rimboccarsi le maniche e non lamentarsi troppo, siamo d’accordo.
    Se il punto è che dobbiamo abbandonare il mito del posto fisso, siamo ancora d’accordo.
    Se il punto è che lo stato del mondo del lavoro italiano è rimasto immutato dagli anni Ottanta a oggi, però, non siamo affatto d’accordo.
    Oltretutto, non vedo proprio come l’esperienza riportata nel post possa rispecchiare le condizioni attuali di un giovane precario: una serie di lavoretti temporanei necessari a mantenersi durante una laurea, un dottorato, un post doc e un incarico da ricercatore che alla fine hanno comunque portato a un posto da professore associato, e due lavori più “stabili”, diciamo, durati rispettivamente sei e sette anni (senza contare che nell’articolo si tralasciano questioni come i costi di una casa e la possibilità di farsi una famiglia) – mi sembra un quadro ben più roseo di quello che si prospetta a qualsiasi laureato precario nel 2014, anche i più motivati e volenterosi.

  15. Non voglio fare il comino out anche se come tutti ho fatto molti lavoretti nella vita, pur con la fortuna di trovare il posto fisso al momento giusto nella vita.
    Non credo che Giovanna intenda inviarci a questo, a noi “vecchi”.
    E per i giovani mi stupirei che il senso di questa “confessione” fosse di dire “è sempre stato così” (anche se la precarietà c’è sempre stata, comunque, non l’hanno inventata i padroni di oggi, n’è quelli nati dalla riforma Treu o da quella Biagi).

    Vorrei sottolineare, invece, la grande differenza che c’è oggi da quei tempi di allora.
    E questa differenza si chiama Globalizzazione.
    Intendo racchiudere in questo termine i grandi cambiamenti del mondo che stiamo vivendo oggi: niente più comunismo, è finita la divisione del mondo fra primo, secondo e terzo… oggi, c’è il capitalismo finanziario che mette tutti sullo stesso piano, cinesi, russi, indiani, americano, europei… chi ha il liquido ha il potere, anche il petrolio sta perdendo importanza… poi c’è la rete, che sconvolge le dimensioni del tempo e dello spazio che erano le basi della democrazia economica del mercato, almeno secondo gli economisti classici.
    E ci sono molti altri fattori, ma in sostanza, è il contesto generale, oggi, ad essere totalmente diverso.
    Questo comporta molte conseguenze, secondo me. Anche quella che gli stessi dati (tasso di disoccupazione, crescita economica, o il suo contrario, ecc.) possono avere significati differenti, come certi sintomi uguali possono indicare malattie differenti.
    La storia dell’Unione europea è un segno: è una necessità a cui non ci si può sottrarre, a pena di essere emarginati dal mondo economico, ma che ha un costo molto salato.
    E’ quella una delle aree in cui portare la politica, là sono già arrivati i mercati/capitali e non di può rimuovere il problema parlando di referendum per uscire dall’euro. Troppo ingenuo e troppo costoso.
    Oggi viviamo il tempo della complessità, il mondo di tutti e la vita di ognuno, giovani e meno giovani, s’è fatto interconnesso, nel quale ciascuno ha mille informazioni mentre ieri ce n’erano solo dieci, o forse cento, e quella che chiamavamo Verità, parola singolare che non ammetteva un plurale, oggi, per la facilità con cui si domina il processo della comunicazione, è diventata una parola che si declina solo al plurale e non ammette più singolare…
    Tutti questi sono problemi economici, anche se non lo sembrano sempre.
    Mi dispiace, ma secondo me non basta prendersela con qualcuno soltanto: il governo ladro, l’euro, Berlusconi, Renzo…. eccetera.
    E invece, quali sono le ricette che sentiamo agitare in giro? Solo risposte semplicistiche, populiste, superficiali….
    Il mondo è in piena rivoluzione, oggi, in tempesta, come un immenso oceano.
    Molti sono smarriti.
    Gli italiani lo sono più di altri perché da noi scuola e istruzione sono ritenute da tanti come un inutile complicazione superflua: basta l’istinto per comprare. La ragione può solo suggerire una più proficua tattica d’attesa. Ma questo non crea posti di lavoro, segni + nei flussi del PIL….

    Pierperrone

  16. “la cameriera ai tavoli in un ristorante vegetariano, prima, e in una celebre osteria bolognese del centro storico, poi.” qui c’è stato un bel miglioramento!

  17. Mi ha molto colpito la tua esperienza e le tue riflessioni e voglio raccontare anche la mia. Spero di non annoiarvi. Ho terminato gli studi a 19 anni e tuttora, a 37 anni, non ho voglia di laurearmi. Sono stata disoccupata fino all’età di 29 anni e mezzo, quando ho avuto un colpo di fortuna e ho trovato un lavoro a tempo indeterminato nelle categorie protette. E dire che non volevo che mamma mi iscrivesse perché mi vergognavo! Vivendo la vita alla giornata, non mi sono mai preoccupata di cercare seriamente un lavoro. Quando ho iniziato a farlo seriamente, ho solo provato rabbia e scoraggiamento.

  18. L’Italia un paese bellissimo? Sì, lo è, soprattutto per la cucina, la storia e il paesaggio, ma molti italiani hanno con l’amata/vituperata patria un rapporto di amore e odio come si può averlo con una madre onnipresente e apprensiva, che però cucina benissimo. In Italia ci sono nata e sono stata cresciuta, ma ho capito, parlando con chi l’ha lasciata, viaggiando, incontrando stranieri, che non è il solo bel paese al mondo e che, se non mi dà le opportunità che cerco, posso lasciarla. Posso andarmene senza sentirmi un figlio che rinnega sua madre e posso anche elencarne i difetti e le mancanze. Posso evitare il martirio delle mie ambizioni per un attaccamento senza se e senza ma a un paese.
    Leggo e sento una grande miopia fra i miei connazionali so cosa c’è fuori dall’Italia, come se solo qui ci fossero bellezza, cultura, calore umano. Non è così, compatrioti miei. La nostra mamma cucina bene, ma non è la sola. Non dico che tutti dobbiamo scapparcene, bisognerebbe che ciascuno valutasse pro e contro con un po’ meno melodramma e molto più buon senso. Ma il melodramma è nostro, il common sense un po’ meno.

  19. Nina Trema, permettimi, penso che il mondo sia bellissimo e che per costruirsi la vita un giovane può, anzi, forse, deve, sentirsi cosmopolita.
    Io resto uno di quelli che vede nella patria e nella mamma valori pieni di vuota retorica.
    Ciò nulla toglie alla bellezza unica della nostra Italia (e ovviamente all’affetto insostituibile per la mamma).
    A mio figlio questo cerco di insegnare.
    Pierperrome

  20. Stimo la prof Cosenza perchè è un esempio di coraggio, caparbietà e volontà. Mi ha lasciato i migliori insegnamenti durante gli anni universitari e anche quando oggi mi chiedono di pensare a un leader che mi ha ispirato negli anni non posso non nominarla. Sono in disaccordo sull’accettazione del precariato a 40 anni. Ok, se pensi di restare precario perchè ne vale davvero la pena e vuoi raggiungere quel posto/lavoro/sogno in cui hai speso sudore, fatica e notti in bianco passate a studiare o lavorare, ok, ci sta. Ma io penso che a 40 anni una persona non ha le stesse energie di una a 20, e che abbia il diritto di stare tranquilla economicamente. Finito il master a 26 anni, ho iniziato il mio viaggio nel mondo della precarietà. Per quasi 2 anni contratti a progetto in prestigiose agezie di comunicazione italiane, con prospettive future simili. Rinnovo e poi rinnovo, precarietà su precarietà. Ho detto no al sistema. Ho voluto dare valore ai miei studi e alla mia testa che mi ha sempre portato avanti. Senza alcun aggancio io ora vivo all’estero e sono entrata in una grossa azienda con contratto indeterminato. Dopo un paio di mesi di difficoltà per motivi immaginabili (trasferimento, lingua, ecc…) ho capito che genere di fortuna avessi tra le mani. In Italia ci torno spesso, mi manca, ma adesso finalmente sono libera. Ragazzi piú giovani di me, a quasi 23/24 anni hanno la loro indipendenza. Questo in Italia non è possibile, o almeno, io l’ho cercato, non l’ho trovato.
    Per favore (e mi rivolgo a chi è giovane per farlo e a chi ha la volontà di farlo): viaggiate,studiate fuori dall’Italia e magari quando avrete 40 anni sarete già tornati nel vostro Paese e lo vivrete con una prospettiva molto diversa. Io non sono la sapientona del momento, nè un genio che in Italia è stato incompreso. Uscite fuori da questo sistema che ci fa credere che va bene essere precari fino a 40 anni perchè non va bene affatto, mi spiace.

  21. A me pare che, di nuovo e come al solito, si faccia un po’ di confusione.
    Cos’è il lavoro e cosa dovrebbe dare? Probabilmente un reddito che consenta di vivere, di poter fare dei programmi circa la famiglia, la casa, ecc. e nel contempo consentirci di esprimere la personalità mettendo a disposizione della società le nostre capacità e le nostre ambizioni in funzione di un progresso comune.
    Nel nostro Paese meno che in altri le due aspirazioni non sono sinergiche e conseguenti. Capacità e ambizioni non sono riconosciute, al massimo sono sfruttate, e in quanto al reddito…
    Vogliamo semplicemente arricchire o solo avere la possibilità dispiegare i nostri saperi in pratiche quotidiane? Se pensiamo che i due aspetti viaggino insieme, beh, sbagliamo. Se è vero che una qualunque forma di società non può fondarsi sulle eccellenze ma sulla mediocrità o sulla medietà, in Italia più che altrove è la medietà che gestisce il potere e si assegna il reddito, sottraendolo con una distribuzione totalmente squilibrata. E, quando le condizioni divengono più critiche, puoi avere tutte le capacità potenziali per contribuire al progresso del Belpaese, i mediocri che detengono il potere si arroccano ancor più nei loro privilegi, che, non si sa mai, la festa potrebbe anche finire. Allora non basta lamentarsi e continuare a sostenere che le cose così non vanno, e nel contempo delegare a personaggi sempre più mediocri, ciarlatani, faziosi, miserabili ladri e delinquenti, considerandoli tutt’al più come vecchie sovrastrutture da ignorare. Se pensate di vivere in società è necessario che vi impegniate socialmente, non solo nei social e nelle condivisioni del nulla. Il potere e il reddito e il dispiegamento delle proprie ali ambiziose e la messa alla prova delle presunte capacità –per fare cosa, solo per produrre un reddito che ci permetta di essere acritici consumatori, o per migliorarlo questo nostro unico mondo?– occorre conquistarseli. Diversamente sono solo piagnistei di bambini un po’ viziati dai genitori, che non riescono ancora a capacitarsi che babbo natale non esiste.

  22. Il brutto è che non è cambiato nulla in trent’anni!

  23. @giovanna cosenza
    C’è, nel tuo dichiararti e uscire allo scoperto una cosa che proprio non mi è piaciuta, data di passaggio, come del tutto normale: “Per non parlare dei capitoli di tesi scritti – a pagamento – per laureandi/e di legge, economia, storia, che pagando me si risparmiavano un bel po’ di lavoro”. Non solo i furbastri si risparmiavano lavoro ma si appropriavano di competenze non proprie che poi qualcuno ratificava con un bel 110 (Non credo tu possa fare meno 😉 ). Dando una mano al classico sistema italiota. Se scrivere tesi conto terzi ti ha portato un reddito allora forse indispensabile (che s’ha da fa’ pe’ campà!), credo abbia anche rafforzato nei tuoi men che mediocri clienti l’idea che tutto si può comperare e che la furbizia paga (quella del tunnel del bosone è diventata ministra, quello della ruota della fortuna è diventato quel che sappiamo, ecc.). Spero che molti dei tuoi allievi riescano a fregarti allo stesso modo, per perpetuare un metodo così vincente. Oppure tu sei così furba da accorgertene al primo sguardo?
    Ma dai, si scherza!

  24. Io ti stimo e ti seguo sempre con interesse. Colgo anche l’intento di questo post, certo positivo. Tuttavia, non posso fare a meno di notare un accento simil-reazionario. Ho sentito dire le stesse cose a Jole Santelli o Roberto Castelli. Forse il discorso sulle condizioni di lavoro in Italia, per giovani e meno giovani, meriterebbe altra chiave di lettura.

  25. Pingback: Giovani e lavoro… | Pietroalviti's Weblog

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