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«Spegniamo l’odio». Un video contro l’omofobia che convince i già convinti

Spegniamo l'odio

A fine dicembre è partita la campagna «Spegniamo l’odio» di Arcigay, con un video realizzato da Lattecreative, che mette assieme frasi pesantemente omofobe pronunciate da personaggi pubblici (da Vittorio Sgarbi a Donatella Santanchè, dal prosindaco Gentilini di Treviso a Alessandra Mussolini), ma anche da Continua a leggere

Lo spot contro l’omofobia della Presidenza del consiglio

Il 9 novembre è stata presentata a Roma la campagna contro l’omofobia promossa dal Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del consiglio, e curata dall’agenzia Young & Rubicam Italia.

L’iniziativa – sulla quale sono stati investiti 2 milioni di euro – comprende per ora uno spot (che ho visto) e migliaia di opuscoli informativi (che non ho visto) da inviare alle scuole, ed è stata condivisa anche dalla deputata del Pd Paola Concia e da diverse associazioni LGBT (fra cui Arcigay, Agedo e altre).

In rete però infuria la polemica.

Fra le tante cose che ho letto, condivido buona parte dell’analisi dello spot che Gatto Nero ha fatto su www.gaycampitalia.org (segnalatami da Andrea). La riporto quasi per intero, salvo piccolissimi interventi di editing (i grassetti sono miei):

«Questo spot è mal concepito. Per molte ragioni, che si intrecciano fra loro in un pericoloso effetto domino:

  1. L’ambientazione – La prima cosa che viene da pensare, guardando il video, è: “Che lugubre!”. L’ambulanza, la notte, il suono della sirena all’inizio dello spot; i corridoi (vuoti) dell’ospedale e il rumore della barella, poi; e, per finire, la sala operatoria: buia, buissima. Tutto dà una sensazione di urgenza, claustrofobia, mancanza di alternative.
  2. Gli attori – Ci sono due gruppi distinti di personaggi: i potenziali omofobi (la ragazza malata e il suo partner, a cui potrebbe o non potrebbe “importare” la sessualità di chi la cura) e i potenziali omosessuali. Il casting, in questo caso, mi pare quanto meno bizzarro: i primi sono di bell’aspetto, sia il ragazzo (di cui si coglie solo il profilo) che – soprattutto – la ragazza che ha un bel viso sereno, luminoso; i secondi, invece, sono cupi, nervosi, tesi. In un’escalation: se l’autista ha ancora bei lineamenti, pur nella tensione del ruolo, i personaggi successivi diventano più maturi d’età e dai lineamenti più duri. A questo aspetto si unisce la prossemica: l’infermiera si gira e indossa i guanti; il dottore si gira e fa altrettanto. L’impressione generale, anziché di fiducia, è paradossale: sembrano minacciosi.
  3. Le immagini – Una cosa balza all’occhio: l’omosessualità non viene mai mostrata. È una scelta coerente col messaggio complessivo dello spot, ovvio, che ruota attorno al concetto di “dubbio”. Ma in uno spot che vuole lottare contro l’omofobia si rischia l’incoerenza, trasmettendo indirettamente un messaggio pericoloso: l’omosessualità è qualcosa da nascondere.
  4. Il messaggio che si vuole trasmettere – Che, per inciso, è diverso dal messaggio che lo spettatore percepisce: “Non importa che una persona sia omosessuale o eterosessuale”. Che è diverso dal dire “È sbagliato discriminare gli omosessuali”. Non c’è un giudizio etico che condanni l’omofobia: viene detto, semplicemente, che non importa/è superfluo conoscere la sessualità di una persona quando usufruisci delle sue capacità o funzioni. È un messaggio che si ricollega all’ambientazione ospedaliera, all’urgenza.
  5. Le parole usate per trasmettere il messaggio – La scelta delle parole pronunciate nello spot è  quanto meno superficiale. Del “Non importa”, e della sua mancanza di valutazioni etiche positive/negative, abbiamo già detto. Lo stesso slogan, “Nella vita certe differenze non possono contare”, soffre dello stesso bias. Aggiungendo un altro aspetto, quello del buon viso a cattivo gioco: “nella vita” certe differenze non contano: “puoi anche non pensarla così ma non ti conviene” ricorda, come frase, certe massime disincantate dei vecchi del paese, che consigliano di abbandonare i bei sogni dell’infanzia perché “nella vita non funziona così”. Paradossalmente, di nuovo, sembra che si strizzi l’occhio all’omofobo: hai ragione, per carità, ma nella vita non puoi permetterti di rendere esplicite le tue idee. Un significato rinforzato dalla ripetizione ossessiva della frase “Ti interessa”, durante lo spot.
  6. Il claim – L’errore più grosso, nella scelta delle parole, sta nello slogan “Rifiuta l’omofobia, non essere tu quello diverso”. Il tentativo del pubblicitario è quello di prendere un concetto tipico dell’omofobia (“il diverso”) e rivoltarlo contro l’omofobo. Tentativo non riuscito, perché – e qui si sfiora l’assurdo – usando la frase “non essere tu quello diverso” si conferma la diversità dell’altro. “Non essere TU quello diverso” implica: TU sei quello NORMALE. Anziché neutralizzare il messaggio della diversità, lo si è rafforzato

(«Gli errori comunicativi dello spot governativo contro l’omofobia», di Gatto Nero, 10 novembre 2009)