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Un regalo per un Natale più creativo

Se quando scrivi ti vengono sempre le solite parole, spente e inadeguate.
Se il lavoro ti ha ingrippato il cervello, per cui pensi e ripensi sempre le stesse cose.
Se la routine ti ha ammazzato la fantasia.
Se persino quando dormi ti annoi, perché fai sempre gli stessi sogni.
Se conosci qualcuno in questa spiacevole condizione…
Be’, questo è il regalo che fa al caso tuo: Continua a leggere

La trama lucente

Così si intitola il libro che Annamaria Testa ha dedicato alla creatività (sottotitolo: «Che cos’è la creatività, perché ci appartiene, come funziona»), uscito da un mese per Rizzoli, che oggi pomeriggio alle 18.30 ho la fortuna e il piacere di presentare, assieme all’autrice, alla Libreria Coop Ambasciatori, in via Orefici 19, Bologna.

Poiché Annamaria Testa lavora nella comunicazione da oltre trent’anni, la prima cosa che tutti pensano è che il libro parli di pubblicità. Sbagliato.

Cover La trama lucente

«La trama lucente» è un lavoro ponderoso (475 pagine) che parla di psiche, inconscio, magia, destino, intelligenza, talento, linguaggio, e lo fa dal punto di vista di varie scuole e correnti psicologiche (dalla Gestalt alla psicoanalisi), della storia della filosofia, della scienza e della letteratura, dei più recenti risultati della medicina, delle scienze cognitive, della biologia, della neurofisiologia, finanche dell’etologia.

Ma si preoccupa anche di capire che differenza c’è – se c’è – fra la creatività maschile e femminile; se, come e quando insegnanti, genitori, mentori, tutori incidono sulle possibilità creative dei bambini; se conta l’eredità genetica, se un ambiente ostile favorisce o uccide la creatività; se la creatività si può strategicamente coltivare, incanalare, gestire.

Infine collega il tutto a determinanti storiche, economiche e sociali, proponendo riflessioni lucidissime e mai scontate sul ruolo della creatività nel mondo contemporaneo, con diversi affondi sulla realtà italiana.

Insomma, «La trama lucente» è una sorta di enciclopedia della creatività. Un reference book che potresti leggere a spizzichi e bocconi, o consultare a seconda del tema che vuoi approfondire.

Se non fosse che, quando cominci a leggere, non riesci più a smettere. Perché la scrittura di Annamaria è sempre leggera e combina in modo personalissimo i registri linguistici più disparati: dal giornalismo alla favola per bambini, dal gergo colloquiale alla biografia, dall’argomentazione logica alla narrativa. E si permette di condire il tutto con assaggi di prosa poetica.

Perciò finisci per leggere il malloppo tutto d’un fiato, come un romanzo. Un’enciclopedia che non annoia? Proprio così, anche se pare impossibile. D’altra parte, erano queste le intenzioni dell’autrice:

«Cerco di raccontare rispettando la complessità dell’argomento, ma senza essere troppo noiosa perché sbadigliare leggendo di creatività è come deprimersi leggendo un testo sullo humour: mica bello» (p. 12).

E ci è perfettamente riuscita.

Calvino e l’immaginazione al potere

Grazie a Nuovo e Utile ho appena scoperto questa intervista a Italo Calvino, tratta dall’Archivio RAI Teche (Tg2, novembre 1983).

Una sola parola per commentarla: profetico.

Questo è il testo:

Nel prossimo millennio, l’umanità sarà ancora capace di fantasia?

Qualche anno fa si diceva: “L’immaginazione al potere”, che sembrava uno slogan molto bello. Poi ripensandoci, il segreto è che l’immaginazione non prenda mai il potere: cioè non diventi parola d’ordine, programma obbligatorio. L’immaginazione, la fantasia, la creatività – di cui tanto si parla – devono contrapporsi a un elemento di routine, di limitatezza, di prevedibilità, che rende la vita vivibile. Guai se c’è solo il prevedibile, ma se tutto è fantasia non si tocca niente, non si realizza niente.
Probabilmente, se abbiamo intorno uno scenario di grigi parallelepipidi, possiamo addobbarlo con bandierine, festoni e ali di farfalle. Se invece abbiamo intorno uno scenario solo di ali di farfalle, non viene fuori niente. Per questo sono un po’ diffidente sul fatto della creatività dato come fine dell’educazione, come principio primo: “Ogni lavoro deve essere creativo!”. No, il lavoro deve essere esatto, metodico, fatto secondo certe regole. E poi è su quello che può nascere la creatività. Altrimenti è una specie di marmellata che non ha sostanza.

In che cosa stiamo sbagliando di più oggi, rispetto al domani?

Nel non valutare quello che è irreversibile e quello che è immodificabile: credo ad esempio che sia difficile pensare che possiamo fare a meno di enormi quantità di energia. Quindi il problema energetico va affrontato realisticamente.
Non dobbiamo farci un mito della natura, che oggi possiamo godere solo perché abbiamo alle spalle una civiltà tecnologica che ci garantisce di tante cose. Quindi la natura che noi oggi godiamo come natura, non l’avremmo goduta come tale se invece fosse stata il nemico con cui batterci, come per i nostri padri, i nostri antenati.

Italo Calvino: tre chiavi, tre talismani per il 2000.

Imparare molte poesie a memoria: da bambini, da giovani, anche da vecchi. Perché fanno compagnia: uno se le ripete mentalmente. Inoltre, lo sviluppo della memoria è molto importante. Anche fare dei calcoli a mano: delle divisioni, delle estrazioni di radici quadrate, delle cose molto complicate.
Combattere l’astrattezza del linguaggio che ci viene imposto, con delle cose molto precise. Sapere che tutto quello che abbiamo ci può essere tolto da un momento all’altro. Certo, goderlo: non dico mica di rinunciare a nulla, anzi. Però sapendo che da un momento all’altro tutto quello che abbiamo può sparire in una nuvola di fumo.

Qui sotto c’è il video. Trovi altre apparizioni di Calvino in televisione QUI.

Vuoi fare esperienza in Fabrica?

Elena, che si è laureata in Discipline Semotiche un anno e mezzo fa, oggi lavora presso Fabrica, il Benetton Group Communications Research Center (no per favore, non è l’agenzia di Oliviero Toscani), che si propone come:

«an applied creativity laboratory, a talent incubator, a studio of sorts in which young, modern artists come from all over the world to develop innovative projects and explore new directions in myriad avenues of communication, from design, music and film to photography, publishing and the Internet» (dalla loro Mission).

Mi segnala che Fabrica sta cercando giovani sotto i 25 anni che parlino bene inglese, per inserirli (con contratto/borsa di studio) come collaboratori del magazine Colors, ma anche – più ampiamente – in diverse aree cosiddette “creative”.

Trovi tutti i dettagli per concorrere, inclusa la mail di Elena (anche per consigli e conforto, se le dici che vieni da questo blog), QUI.

Last but not least: Fabrica si trova in provincia di Treviso e ha sede a Villa Pastega Manera, una splendida villa del XVII secolo, restaurata e ampliata dall’architetto giapponese Tadao Ando. Questa.

villa-pastega-manera

Creativo sarà lei!

Credo che chiamare “creativi” i pubblicitari che svolgono quel certo ruolo sia presuntuoso, antipatico o ridicolo a seconda dei casi – e in generale fuorviante. Grazie a Nuovo e Utile ho trovato un brillante articolo di Pasquale Barbella, art director, che spiega perché gli stessi creativi dovrebbero ribellarsi a questa etichetta.

Copio e incollo la prima parte:

DIO CI SALVI DALLA CREATIVITÀ

«Art director e copywriter di tutto il mondo, ribellatevi. È giunto il momento di respingere una volta per tutte l’orrendo epiteto di Creativi. È un’etichetta importuna e indecente, satura di equivoci e volgarità: causa tra le piú tenaci di molti peccati che si commettono contro la comunicazione.

La definizione di Creativi, applicata a coloro che hanno la funzione di progettare ed elaborare messaggi commerciali, va rifiutata per più d’un motivo:

1. Sottende un’ombra di razzismo verso il resto dell’umanità. È come definire gli Intelligenti o i Geniali una circoscritta categoria professionale.

2. Inibisce e impigrisce i compagni d’avventura – committenti e colleghi – e li disimpegna dalle proprie responsabilità, inducendoli ad aspettarsi interventi miracolistici dai soli mattacchioni dello zoo “creativo”. Creativi devono essere anche gli addetti alla gestione, all’organizzazione, al marketing, alla ricerca, alla pianificazione, alla direzione del personale, alle segreterie, al centralino.

3. È una definizione oscillante tra il serio e il goliardico; lusinghiera ai limiti dell’adulazione, ma anche fragile per overdosedi promessa. I famigerati Creativi sono ora idolatrati a mo’ di semidei, ora tollerati con imbarazzo e sospetto, alla stregua di imbonitori o di giovani marmotte mal cresciute. Potenti senza potere, bizzarri inventori di fiabe dal suggestivo quanto instabile congegno, essi inscenano architetture da ammirare e smontare con dirompenti manovre della ragione.

4. È un appellativo che contiene in sé i germi opposti della deferenza e dell’insulto, specie in un paese dove i raffinati usano eufemismi come Intellettuale, Geniale, Artista per darti del matto o dello scemo. Molto tempo prima di convertirmi al copywriting, quand’ero lo sbarbato magazziniere di un’officina di Potenza, il simpatico titolare della ditta dava indifferentemente dello Stronzo o del Poeta al malcapitato che incorresse nel suo disprezzo.

5. È un titolo palesemente selettivo, che ti colloca in modo automatico all’opposizione. La presenza di Creativi in un dato organismo presuppone la convivenza con un’ampia e imprecisata classe di Non-Creativi. Disponete Creativi e Non intorno a un tavolo di lavoro e vi accorgerete di quanto labile sia il confine fra l’incontro e lo scontro, la cooperazione e il boicottaggio, la cordialità e l’ironia, l’ironia e il sarcasmo, il costruire e il distruggere. (Si pensi all’annosa criminalizzazione degli Account Executive – Dio mio, anche questi dovrebbero un giorno mobilitarsi per un cambio di titolo! – da parte dei Creativi, e viceversa).

6. È una denominazione semplicemente e completamente sbagliata. Quest’ultimo punto è ovviamente il piú rilevante, e merita un capitolo a sé…»

… che puoi leggere QUI.

Trance creativa

Mi ha colpita questa descrizione di Stephen King dello stato di semipnosi creativa che uno scrittore raggiunge nei momenti più produttivi (e felici) del suo lavoro:

«Quella semipnosi è una condizione che si coltiva fino a quando si è capaci di accenderla e spegnerla a piacere… almeno quando le cose vanno bene.

Quando cominci a lavorare la parte intuitiva della mente si disancora e sale a un’altezza di un paio di metri (anche tre nei giorni buoni). Arrivata lassù, se ne sta sospesa a irradiare messaggi di magia nera e immagini brillanti. Per il resto della giornata quella parte è impastoiata al macchinario della quotidianità e viene in larga misura dimenticata… sennonché in certe occasioni si libera da sola e ti fa scivolare in una trance imprevista.

Allora la tua mente concepisce associazioni che non hanno niente a che vedere con il pensiero razionale e si illumina di immagini inaspettate. Per certi versi questo è l’aspetto più singolare del processo creativo. Le muse sono fantasmi e certe volte si presentano senza essere invitati.»

(Stephen King, Bag of bones, 1998, trad. it. Mucchio d’ossa, Sperling & Kupfer, 1999, VIII edizione Paperbacks, p. 359.)

In questo periodo mi è capitata una cosa del genere. Spero che duri.

Carmen sulla creatività

In attesa di ricevere il video professionale, ho trovato su YouTube alcune riprese amatoriali dell’evento di martedì scorso con Carmen Consoli alla Scuola Superiore di Catania.

Ecco come Carmen ha risposto alla mia prima domanda. Buona domenica!

🙂