La Sindone, fra luogo e non luogo, sacro e profano

Sindone

La settimana scorsa ho partecipato, durante una visita di gruppo a margine di un incontro di lavoro, all’ostensione della Santa Sindone che si tiene in questo periodo a Torino. Mi hanno colpita alcuni aspetti che sono – anche – di comunicazione, per cui ne parlo in questo spazio. La Sindone è, oggi più di ieri, un “luogo sensibile”, dunque all’ingresso devi sottoporti a tutti i controlli del caso: tunnel a raggi X per l’ispezione dei bagagli e camminata sotto al metal detector, come negli aeroporti. Non solo: dagli altoparlanti una voce ripete “è severamene vietato portare armi da fuoco, coltelli o lame di tipo non consentito, aste o bastoni, esclusi i presidi sanitari e gli ombrelli, bottiglie di vetro, lattine, sostanze infiammabili, esplodenti o corrosive, bombolette spray” e così via. Inevitabile, dato il terrorismo internazionale.

Passati i controlli di sicurezza, tocca alla gestione del pubblico di massa che, nel caso dell’ostensione 2015, si traduce in un lungo percorso di avvicinamento al Duomo attraverso i Giardini Reali, per cui ti ritrovi in fila con decine di altri visitatori per quasi un chilometro (leggo sul sito che sono 850 metri, ma mi erano sembrati molti di più). Per un tempo che non finisce mai, le transenne ti obbligano a camminare lentamente a zigzag, avanti e indietro (passi più volte dallo stesso posto), sotto teloni di plastica bianchi e fra pannelli, anch’essi bianchi, con immagini di santi e testi che ne illustrano la vita, pannelli fra cui intravedi il verde scompigliato dei Giardini Reali.

Se non fosse per le immagini dei santi, ti senti un po’ come quando fai la fila in una sagra di paese, per ordinare birra, caciotta, o che ne so, altre specialità del luogo. Ma potrebbe anche essere una fiera, che sia di ceramiche, libri o vino, non importa. Disorientata, annichilita, svuotata, ecco come ti senti alla fine di quegli interminabili 850 metri. Finché di colpo, senza preavviso, entri in una sala buia e, con gli occhi ancora non abituati all’oscurità, assisti per qualche minuto a uno slideshow in cui ti spiegano (in diverse lingue) come leggere le impronte sulla Sindone. Là nel buio, fra le sagome nere di tanti come te, vedi la Sindone ritagliata, zoomata, ingigantita più volte: ora un pezzo, ora un altro, poi un dettaglio, un altro ancora. Tanto che, quando finalmente entri nel Duomo, la Sindone reale ti pare troppo piccola e lontana, il tempo a disposizione troppo breve, la voce dagli altoparlanti che autorizza a “fare fotografie senza flash” troppo invadente, per poter, non dico capirci qualcosa, ma vivere quel luogo come dovrebbe essere, che tu sia credente o meno, praticante o meno, non importa: intimo, raccolto, in una parola, sacro. E non basta che la voce dagli altoparlanti, dopo le spiegazioni del caso, finisca persino per recitare una preghiera: tu la concentrazione là dentro, per quanto la cerchi, non la trovi, e finisci per fotografarla anche tu come tutti, la Sindone, non tanto e non solo perché ti hanno autorizzata a farlo e perché oggi tutti fotografano tutto, ma perché speri di ritrovare più tardi, da sola, davanti al display del tuo smartphone, quel raccoglimento che qui non ti hanno concesso.

L’ostensione poteva essere organizzata diversamente? Non credo, o almeno, non lo so: cosa si può fare oggi, di tanto diverso, per garantire la sicurezza di un “luogo sensibile” e per gestire al meglio la visita di migliaia, decine di migliaia di persone? Non è una critica, la mia, solo una constatazione. A questo sono ridotti, oggi, i simboli sacri che attraggono le masse: non luoghi. Come gli aeroporti, le fiere, gli ipermercati.

5 risposte a “La Sindone, fra luogo e non luogo, sacro e profano

  1. Considerazioni davvero stimolanti e condivisibili. Se posso, annoto la prima volta che ho fatto caso a questo fenomeno, vale a dire i funerali di Giovanni Paolo II. In quella occasione, persone arrivate da tutta Italia si sottoposero a una lunga fila lungo tutta via della Conciliazione per molte ore per arrivare a salutare la salma del pontefice. Stremati, con pochi minuti a disposizione, le persone fotografarono (con i primi telefoni cellulare… nulla di sofisticato come adesso), guardandolo attraverso lo schermo. Oltre a quanto detto da Giovanna Cosenza sulla Sindone (che comunque condivido) mi pare sia eco dell’idea che ci sono stato solo se ho un segno di questo evento. Non è più sufficiente la narrazione (e dunque l’ascolto) ma serve la raffigurazione (e dunque la vista). Interessanti spunti per l’analisi dello spostamento sensoriale causato dai mezzi di comunicazione.

  2. Forse, azzardo, i non-luoghi sono le non-dislocazioni di non-uomini che non-sanno di essere morti.
    No, lo dico, nel senso che anche a me capita che “l’esperienza” di un fatto, la visita ad una mostra, diciamo così, o ad un concerto, o ad un evento, spesso, troppo spesso sfugge via come sabbia fra le dita.
    Poca concentrazione, o troppo battage pubblicitario accumulato che nel mentre si dilegua, il concerto è bell’e finito?
    E poi.
    Il concerto, o la partita, o la mostra… un pò di megaschermi, pannelli, monitor, cartelli… e cosa resta dell’evento vero?
    Ma, in fondo, l’evento vero, qual’è?
    Quello che svolge lì, sul palco, o sul campo, o nella sala, oppure quest’altro che dovrebbe svolgersi qui, nella mia testa, coinvolgendomi il cuore e lo spirito?
    E, ancora di più, cos’è?
    L’esperienza che si consuma mentre accade oppure il ricordo che mi rimane fisso?
    E se sbiadisce a poco a poco?
    Ecco, lo sai, sono vecchio.
    Queste domande depongono male.
    Ci vorrebbero istintivi e rapaci.
    E invece rimaniamo come un tempo, contemplativi e razionali.
    Siamo nati vecchi.
    (Il plurale, ovviamente è un pluralia maiestatis).
    Un caro saluto (bel post, Giovanna. Spero di non averlo rovinato troppo).
    Pierperrone

  3. C’è più sicurezza presso l’ostensione della sindone che negli aeroporti e nei tribunali!

  4. Pingback: alcuni aneddoti dal futuro degli altri | 06.06.15 | alcuni aneddoti dal mio futuro

  5. Cara Giovanna Cosenza, grazie per questo tuo post. Ho provato a dire la mia su Avvenire di oggi, nella mia rubrica WikiChiesa: http://tinyurl.com/Wiki91Chiesa

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