I bambini e le bambine precocemente adulte dei marchi di moda

leggendaria

Sull’ultimo numero di Leggendaria è uscita una mia riflessione sul modo in cui sono spesso rappresentati i bambini e le bambine nella comunicazione commerciale e nei servizi fotografici dei marchi di moda da vent’anni a questa parte. E sul modo in cui queste immagini condizionano la comunicazione – e la nostra vita – ben al di là dei fashion brands. Ecco l’articolo:

Da almeno un paio di decenni, ormai, in Italia e nel mondo le multinazionali della moda rivolta agli under 14 propongono bambine e bambini ipersessualizzati, provocanti, conturbanti, con volti palesemente truccati secondo la tendenza al momento più in voga: labbra accese e lucide, sopracciglia a coda di rondine, ciglia esagerate, zigomi sfumati per apparire più sporgenti o, secondo altre tendenze, pallore innaturale, occhi cerchiati di scuro, sopracciglia inesistenti, e così via. Fra l’altro, anche quando le immagini non alludono a situazioni sessualizzate, le ragazzine e i ragazzini sono spesso ritratti come troppo seri, corrucciati, e a volte appaiono addirittura tristi o impauriti. Va notato, inoltre, che negli ultimi anni quest’abitudine dei fashion brands si è fatta ancora più forte e insistente, con un gioco al rialzo che punta spesso a creare scalpore per attirare attenzione sul marchio.

Un esempio per tutti. Nel 2011 Vogue Francia scandalizzò il mondo con un servizio fotografico in cui la modella francese Thylane Blondeau, definita “la nuova Kate Moss” dagli addetti ai lavori, a soli dieci anni appariva con tacchi a spillo, abiti succinti, maculati, dorati, trucco pesante e pose provocanti, da donna non solo adulta ma abile seduttrice. Tre anni dopo, nell’aprile del 2014, il sito ufficiale di Thylane invitava tutti a mandarle messaggi di auguri per il suo tredicesimo compleanno, precisando – con ipocrisia evidente – di fare attenzione a che i contenuti fossero adatti a una ragazzina di 13 anni: “Please make sure your message is suitable for a 13 year old”. Come se tutto ciò che circondava (e circonda) Thylane fosse adatto a una ragazzina di 13 anni (oggi 15). Come se fosse normale la vita sotto i riflettori a cui la madre Véronika Loubry, una starlette televisiva, e il padre Patrick Blondeau, un ex giocatore di calcio, l’hanno costretta fin dalla più tenera età, visto che la fecero posare per Jean Paul Gaultier già quando aveva 4 anni. D’altra parte, l’eccezionale bellezza e la fotogenia di Thylane sono state la fortuna dei suoi genitori, e gli scandali hanno aumentato nel tempo le sue quotazioni sul mercato.

L’esempio è eclatante, ma non eccezionale, perché di casi analoghi, pur con meno clamore, la moda internazionale ne annovera decine. E ora domandiamoci: c’è un nesso fra l’adultizzazione e la sessualizzazione precoce che i marchi di moda propongono con insistenza agli under 14 e l’adultizzazione e la sessualizzazione precoce che molte bambine e molti bambini vivono nella realtà di tutti i giorni? Certo che c’è, e molto forte. Queste immagini, infatti, non appaiono solo sulle riviste di moda, che i ragazzini e le ragazzine oggi non leggono, o leggono molto meno di una volta, ma pullulano su Internet, che dai bambini e dalle bambine è sempre più frequentato in età sempre più precoci. Non solo: più in generale e in modo più subdolamente pervasivo, queste immagini ispirano l’estetica main stream della comunicazione di massa, per cui ritroviamo la stessa adultizzazione e sessualizzazione precoce nei bambini che appaiono in molti programmi televisivi, in pubblicità, al cinema, nei videogiochi, come la ritroviamo nei giocattoli, nei cartoni animati e in molte storie destinate all’infanzia. Si pensi al successo internazionale delle Winx, che nel volto e nel corpo combinano tratti adulti, ipersessualizzati e nel contempo infantili: occhioni truccati e ammiccanti, seni grandi, vitino di vespa, fianchi pronunciati, tutte parti del corpo che sono puntualmente zoomate durante ogni Enchantix, che è la fase di transizione in cui le Winx acquisiscono poteri magici.

La ripetizione – come molti studi psicologici mostrano da decenni – è un mezzo fondamentale, oltre che per rendere più efficace un messaggio, anche per costruire il gusto, lo stile, la tendenza dominante di una certa società in un certo periodo: prendi un colore, una forma, un motivo musicale che all’inizio non ti piaceva, se lo stesso colore, la stessa forma, lo stesso motivo musicale ti vengono ripetuti dieci, cento, mille volte, alla fine non solo ti ci abitui, ma finisci per considerarli attraenti, desiderabili. Dopo un numero considerevole di ripetizioni, insomma, può piacerti anche ciò che all’inizio proprio non sopportavi. È per questo che le immagini di bambine e bambini sessualizzati e adultizzati attirano, piacciono, fungono da ispirazione, sono considerati modelli non solo di bellezza, ma di abbigliamento, di postura, di comportamento e atteggiamento complessivo. E questo funziona per tutti, adulti e piccini. Si può fermare tutto ciò? Qualche strumento di fatto c’è.

In Italia dal 1966 esiste l’Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria (Iap), un organo di autoregolamentazione che oggi associa, da un lato, le più importanti agenzie di comunicazione e di pubblicità italiane, dall’altro, le più grandi imprese che investono in pubblicità e comunicazione, e infine anche i principali organi di informazione e comunicazione (radio, televisioni, editori della carta stampata). Ebbene, l’articolo 11 del Codice di autoregolamentazione dello Iap, dedicato ai “bambini e adolescenti”, si chiude in questo modo: “L’impiego di bambini e adolescenti nella comunicazione deve evitare ogni abuso dei naturali sentimenti degli adulti per i più giovani. Sono vietate rappresentazioni di comportamenti o di atteggiamenti improntati alla sessualizzazione dei bambini, o dei soggetti che appaiano tali”. Per fermare la diffusione delle immagini qui vietate, basta dunque inviare su Internet una segnalazione allo Iap, compilando un modulo reperibile con facilità sul sito web dell’istituto (www.iap.it/le-attivita/per-i-cittadini/inviare-una-segnalazione/). Lo Iap prende in considerazione ogni singola denuncia (ne basta una, ma se sono molte si esercita una maggiore pressione) e interviene in tempi rapidi (poche settimane, al massimo un mese), imponendo il ritiro delle affissioni, degli annunci stampa e degli spot della campagna segnalata. Ciò infligge all’azienda che ha pagato la campagna un notevole danno economico (specie perché ogni campagna prevede più fasi). Il che vuol dire che, la volta successiva, l’azienda potrebbe pensarci due volte prima di scegliere (o far scegliere a un’agenzia pubblicitaria) la provocazione e lo scandalo come strategia di comunicazione.

In effetti, negli ultimi anni la conoscenza e l’uso di questo strumento, assai semplice ed efficace, si sono diffusi molto in rete e sono andati di pari passo con la richiesta crescente di immagini pubblicitarie che rispettino, in generale, la dignità della persona e in particolare quella delle donne. Il cosiddetto movimento neo-femminista o post-femminista, nato in Italia negli ultimi anni, infatti, ha combinato spesso l’attenzione per le questioni di genere a quella per il rispetto delle bambine e dei bambini sui media e nella comunicazione. Molte iniziative sono nate su questo tema, sia amatoriali, sia gestite da professionisti/e della comunicazione e dell’informazione: associazioni, siti web, gruppi Facebook, blog. Faccio un solo esempio.

Nel novembre 2012, l’organizzazione no profit Terre des Hommes Italia, in collaborazione con un gruppo di comunicatori e comunicatrici, di agenzie pubblicitarie, di docenti universitari/e, insegnanti e professionisti/e – gruppo a cui io stessa ho dato un contributo – ha pubblicato la Carta di Milano (http://www.cartadimilano.org/), che riassume in dieci punti tutto ciò che i media e gli operatori della comunicazione dovrebbero fare “Per il rispetto delle bambine e dei bambini nella comunicazione”. Il punto 3, in particolare, dice: “La comunicazione deve tenere conto delle differenti età dei bambini e delle bambine coinvolti rispettandone la naturale evoluzione. Non bisogna rappresentarli in comportamenti, atteggiamenti e pose inadeguati alla loro età e comunque non corrispondenti al loro sviluppo psichico, fisico ed emotivo. Ogni precoce erotizzazione dei bambini e delle bambine va bandita dalla comunicazione”. Il punto 5 riguarda invece le facce cupe di cui dicevo all’inizio: “I bambini e le bambine non devono essere rappresentati attraverso la raffigurazione adultizzata di stati d’animo negativi quali noia, depressione, rabbia, paura, o insoddisfazione che mirano solo a una loro strumentalizzazione a fini commerciali. Quando questi sentimenti negativi vengono rappresentati, lo devono essere secondo una modalità coerente, autenticamente corrispondente al significato che essi hanno per i bambini”.

È sufficiente, tutto ciò, a contrastare l’adultizzazione e la sessualizzazione dei bambini e delle bambine messa in scena ogni giorno dalla comunicazione di massa? Se gli strumenti ci sono, se l’attivismo – in rete e fuori – è cresciuto, perché il fenomeno non sembra diminuire? Il timore è un po’ quello che si cerchi di svuotare il mare con un cucchiaino: cosa possono fare tante piccolissime iniziative, per quanto numerose, contro gli interessi economici di gigantesche multinazionali? L’impresa potrebbe sembrare vana, insomma, ma non c’è altra strada che insistere. Per contrastare la ripetizione di certi modelli, infatti, non si può far altro che ripetere (e ripetere) azioni di contrasto, e ripetere (ripetere) modelli alternativi. In ogni paese, giorno per giorno, usando i mezzi che la normativa di quel paese mette a disposizione. Se Davide, da solo, sconfisse Golia, tanti piccoli Davide possono a maggior ragione farcela.

9 risposte a “I bambini e le bambine precocemente adulte dei marchi di moda

  1. nella moda certamente sì ma dove sono i bambini precocemente sessualizzati nel cinema?

  2. Mirtilla Malcontenta?

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  6. Barbie aveva il vitino e le tettone anche 30 anni fa. Non noto grosse differenze se non una esagerazione più ampia.

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