La donna in scatola

Che la comunicazione di massa denudi e plastifichi il corpo delle donne, rappresentandolo nelle situazioni e pose più degradate e degradanti, è cosa abituale purtroppo. Fra l’altro, le immagini che identificano esplicitamente la donna con una bambola, un manichino, un giocattolo vanno particolarmente di moda negli ultimi quattro o cinque anni, in tutti i settori merceologici e persino della comunicazione sociale.

Su segnalazione di Manuele, ecco cosa propone a Bologna il Cosmoprof di quest’anno: donne fatte a pezzi (una testa tagliata), impacchettate, imbustate, a cui la headline chiede beffarda: «Where are you going, beauty?». Dove credi di andare, bellezza? (In quelle condizioni, proprio da nessuna parte.)

Non ho la forza di aggiungere altro. (clic per ingrandire.)

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18 risposte a “La donna in scatola

  1. con queste immagini abbiamo avuto ancora una volta la conferma di quanto detto nel corso di semiotica dei consumi! mi sembra cosi deprimente associare la bellezza – quella femminile poi – al concetto di plastica, di inanimato, di vuoto… che tristezza!

  2. bellezza artificiale, perconfezionata, sterotipata…
    io la leggo così…con infinita tristezza nel cuore…
    si eliminano quei particolari che donanano bellezza, quante donne conosciamo che hanno imperfezioni che le rendono affascinanti e belle…
    e quante volte ci è capitato di conoscere una persona che apparentemente non era una gran bellezza ma con una conoscenza un po’ meno superficiale ai nostri occhi è diventata bellissima…
    …ecco in questi giorni la mia vita è dominata da una riflessione che trovo estremamente pertinente, e ringrazio chi ha lasciato questo segno, siamo abituati a patire dal punto d’arrivo di qualsiasi cosa si tratti, bellezza, sesso, e ci dimentichiamo che non è la partenza, ma l’arrivo, è la cigliegina sulla torta, l’arredamento di una casa…se non si considera che sotto ci dev’essere qualcosa di solido tutto perde cosistenza…come un pupazzo di neve che si scioglie al calore del sole…

  3. Sto aspettando di vedere per strada manifesti del genere:
    http://www.gennarocarotenuto.it/6438-quando-rsf-gioca-con-la-dignit-delle-donne/

    Ormai non c’è campagna pubblicitaria o sociale che in qualche modo non ci tiri in ballo in modo umiliante ed è impossibile che il messaggio di sfondo non sia mai voluto.

  4. Francamente non capisco per quale motivo si chieda al marketing di essere diverso da ciò che è. L’esibizione della donna nuda/degradata funziona e vende? Starà al consumatore o alla consumatrice di turno punire l’oggetto o il servizio associato a questo tipo di campagne pubblicitarie, evitandone accuratamente l’acquisto. Volete insegnare al diavolo ad essere buono?
    Mi ricorda la questione delle quote rosa, argomento davvero ridicolo se si considera che gli sconsolanti resoconti sul voto femminile riportano sempre nette preferenze per gli uomini. Se la donna è la prima a tirarsi la zappa sui piedi, vittima dei cliché che dovrebbe evitare, è difficile che l’emancipazione passi per la via della réclame.
    la trovata francede del link di Donatella non mi pare così offensiva nei confronti della donna, anzi, mi sembra ben riuscita – anche perché la donna non c’entra un fico e non basta una statua simbolo per vederci un attacco maschilista. Si rischia di finire come la Democrazia Cristiana di un tempo che faceva comprire la gambe dei tavoli perché qualcuno avrebbe potuto pensare male e vederci una donna degradata.
    Voglio esprimere una mia perplessità: se questo tipo di marketing muliebre è efficace, e lo è, altrimenti non sarebbe il cardine di tutta la pubblicità contemporanea, o si cambia mestiere o si accetta questa regola coltivando il cinismo di chi ha pelo sullo stomaco. Vale l’efficacia? Vale la circonvenzione? Vuoi far venire sete a chi ha appena bevuto? E’ la pubblicità bellezza, e tu non puoi farci proprio niente . Niente!

  5. 1) esistono parole come etica, morale, professionalità e responsabilità; quando si deve produrre un messaggio vanno e devono essere tenute in seria cosiderazione per la responsabilità che si assume davanti a chi non è in grado di difendersi
    2) è anche attraverso queste forme di comunicazione che si forma il pensiero e la cultura, quindi quando critichiamo ciò che succede nella nostra società attenzione ai messaggi e valori che vengono veicolati da questi messaggi
    3) all’affermazione “è la pubblicità bellezza, e tu non puoi farci proprio niente. Niente!” IO DICO NO!!! NON E’ VERO! le onde provocate da un sasso in uno stagno arrivano sempre a riva, anche se non si vedono.

  6. In proposito vi segnalo da aggiungere all’elenco di campagne di comunicazione che utilizzano immagini offensive nei confronti della figura della donna anche la campagna pubblicitaria primavera-estate 2009 di Relish, società milanese di abbigliamento e moda femminile (http://napoli.repubblica.it/multimedia/home/4581166 per vedere la fotogallery e leggere l’articolo). Si tratta di una campagna che ha suscitato forti polemiche internazionali.
    Il cartellone in questione è stato oggetto di polemica in diverse città. Ad esempio a Napoli è stato messo al bando dal sindaco Rosa Russo Iervolino; a Rio de Janeiro il sindacato della polizia carioca ha chiesto alle autorità locali di intervenire per ritirare le foto.
    Dal canto suo Relish si giustifica sostenendo che quel linguaggio di comunicazione è stato scelto perché in linea con il target del brand (http://www.relish.it/relish/RELISH09SS/index.html – vedi comunicati stampa in home page o la sezione press and news).
    Che tristezza!!!

  7. A parte la professionalità, Silvia, non capisco proprio dove alberghino etica, morale e responsabilità nel marketing. Lo scopo è vendere il prodotto, magnificandolo rispetto alla sua referenzialità. Se ne deduce che il marketing racconta sempre qualcosa di più e di diverso. E’ un mestiere molto duro anche perché occorre davvero estraniarsi dalla mediocrità del prodotto che si va esaltando volendo mantenere una certa salubrità mentale. Ma l’etica dove sta a venderti un detersivo che inquina mari e monti e non lava manco più bianco? La morale nell’aumentare il costo di tutti i prodotti pubblicizzati e proprio per subirne la funzione? Dov’è la responsabilità nell’infarcire un giornale femminile per il 90% di visuals, headlines, in cui modelle flessuose rese ancor più irraggiungibili dai photoshop di turno si propongono nella loro sadica promessa di felicità? E’ la cultura che può tentare di difenderci dal marketing; il marketing non è cultura, è la gramigna.
    Secondo me non è possibile salvare una cosa e il suo opposto. Se tu sei chiamata a realizzare una headline, un visual che funzioni, dovrai prostituirti a seguire i valori dominanti del tuo target, quindi è indispensabile che i tuoi valori finiscano immediatamente nel cesso. Se poi vuoi stampare per la gloria e a tue spese manifesti illuminati che tappezzino la città con intelligenti trovate per l’emanicipazione femminile, mi iscrivo subito. Ma non è questo il mondo in cui viviamo. E di sicuro non è questa il metodo con cui il marketing sbarca il proprio lunario.

  8. Salve a tutti. Concordo per buona parte con Zinn. L’altro giorno ho letto un articolo di Giovanni Valentini, valente giornalista di Repubblica che cura una rubrica sul diritto dell’informazione televisiva e non.
    Vi giro l’articolo: http://www.libertaegiustizia.it/rassegna/rs_leggi_articolo.php?id_articolo=3669

    Il sillogismo proposto ha come sue premesse che la pubblicità è l’anima dell’informazione e l’informazione è l’anima della democrazia. La conclusione segue. Non ho parole per la prima premessa.
    Come donna non mi sento degradata da queste immagini che uso più come specchio per comprendere i valori dominanti. E’ vero che rappresentano un penoso circolo vizioso, un feedback positivo, che andrebbe spezzato (le comunicazioni di massa reiterano quei valori, i valori producono altre immagini della stessa natura). Ma la cura secondo me non passa da lì, sempre che non si voglia stravolgere il sistema di promozione economica tipica del capitalismo.

  9. MA IL POTERE DI CAMBIARE IL MONDO STA NELLE NOSTRE MANI basta un po di buona volontà!!! comodo e facile rifugio il resto…sono le piccole azioni che portano i grandi cambiamenti…

  10. “Voglio esprimere una mia perplessità: se questo tipo di marketing muliebre è efficace, e lo è, altrimenti non sarebbe il cardine di tutta la pubblicità contemporanea, o si cambia mestiere o si accetta questa regola coltivando il cinismo di chi ha pelo sullo stomaco.”

    Non sono d’accordo. Io penso che si possa fare una scelta diversa, che ci si possa sentire responsabili di ciò che succede ogni giorno e che si possa scegliere di fare un marketing e una pubblicità diversa: solo che è la scelta più difficile, meno ovvia.
    Non esiste un unico modo per vendere un prodotto; io ci credo nel senso di responsabilità.
    E non solo io: ci sono persone che lavorano nel campo della comunicazione e del marketing che si interrogano e cercano di capire che effetti avrà il loro lavoro sulla società. Non c’è solo il bianco o il nero 😀

  11. Donatella P.scrive: “Non c’è solo il bianco o il nero”.
    Non ho mai compreso cosa voglia dire questa frase; forse tutte le persone che in buona fede la pronunciano pensano di esercitare una serafica saggezza, un senso della misura e della complessità. Di solito a questa locuzione si fa seguire: “esistono sfumature di grigio”, espressione che lascia soddisfatto l’enunciatore ma interdetto lo sfortunato interlocutore. Il problema è che qualsiasi giudizo ricade di nuovo nella necessità di stabilire se il grigio di turno sia più vicino al nero o al bianco pena la non intelligibilità. Se il mio ruolo è vendere un bene o un servizio sarò giudicato e pagato in funzione di un risultato quantitativo e non qualitativo. Se non vendo perdo il potere della mia funzione persuasiva nel marketing e sono out. Quindi è assolutamente inevitabile e non opinabile che la ricerca del profitto quantitativo non possa avere né intenti etici né resposabilità. L’unico vincolo può essere quello giuridico, un ente esterno che ponga paletti alla mia libertà di profittare della credulità altrui. Ma qualunque o chiunque sia l’interprete di questo ruolo attanziale egli è sempre fuori dal marketing. E’ un elemento esogeno con funzione repressiva.
    Naturalmente sto parlando di marketing e non di comunicazione in generale, le cui tecniche possono essere prestate a fini nobili ma sempre quando non c’è di mezzo il profitto.
    Perciò non è logicamente possibile tenere assieme marketing è etica a meno che il pubblicitario non viva schizofenicamente la sua settimana vendendo le mine nei giorni feriali e le barelle nei festivi.
    Il corpo della donna è un cliché creativamente semplice all’uso ed efficace. E’ banale solo per chi intraveda nella pubblicità un discorso estetico. Ma è un’inevitabile attrazione biologica anche per il più colto dei maschi e solo una ferrea autodisciplina può esimere l’uomo dal distogliere lo sguardo da un bel paio di natiche o da un seno armonicamente ben fatto. Per un uomo, anche avvertito, percepire il maschilismo che deriva da questo comportamento è antibiologico, controistintuale, in ogni epoca e luogo. Vorrei che non fosse così ma lo è; la cultura può e deve frenare la violenza insita nella biologia maschile ma il risultato sarà sempre un difficile compromesso. Non siamo tabula rasa, siamo la dialettica tra le ancestrali ragioni individualistiche ed egoistiche, finanche violente della nostra biologia, e una cultura intesa come faticosa assimilazione di freni e regole di convivenza.

  12. per bilanciare guardatevi anche questi
    http://www.askmen.com/top_10/entertainment_300/327_top_10_list.html
    è il markeitng bellezza! e non guarda in faccia a nessuno.

  13. “Non c’è solo il bianco o il nero” è un modo come un altro per dire: non esiste un unico modo per vendere o promuovere un prodotto.
    Si può scegliere tra modi diversi.
    E’ la risposta a te che dicevi “0 si accetta la regola o si cambia mestiere”.
    Per fortuna chi lavora nel marketing o nella pubblicità non è così “legato” e può decidere di operare anche seguendo il proprio senso di responsabilità.
    E i risultati, quando c’è talento e intelligenza, arrivano anche senza usare il solito e abusato corpo femminile.

  14. Donatella, mi auguro di potermi ricredere e che tu abbia ragione.

  15. ..vedi Zinn e non rispondo a tutto quello che hai scritto, ma noto con piacere che non sono l’unica a lanciare sassi nello stagno, è fondamentale il pensiero positivo e non arrendersi mai a logiche scontate. concordo pienamente con quello che dice Donatella, dire che il marketing e così e basta ti fa partire perdente…nulla è immutabile e tutto è un divenire, chi si ferma è perduto…bisogna buttare non solo lo sguardo oltre questi ostacoli ma anche il cuore, siamo in un momento di grandi cambiamenti saperli cogliere oggi ti fa vincente domani, anche se il termine vincente è inappropriato…il contesto sia economico che politico e la sua crisi deve farci riflettere e cambiare prospettiva…

  16. Scusate, ma se invece di pensiero positivo si rispondesse con un’organizzazione di coscienza femminile che boicotti i prodotti pubblicizzati in questo modo non sarebbe meglio?
    Si inizi col non andare al Cosmoprof (la quale, tra l’altro, non è certo la fiera delle pari opportunità, e paradossalmente la sua campagna mi sembra quasi onesta, visto ciò che reclamizza).

    Non sarà che richiedere etica al produttore risulta molto più comodo che formarsi un’etica da consumatore?

  17. Silvia, più che sassi nello stagno sono sassi nell’oceano…

  18. invece di lamentarvi…..
    lanciate…. lanciate….

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