Grillo, il turpiloquio e il linguaggio politically correct

Grillo

Mi sono trovata spesso a difendere il turpiloquio di Grillo dagli schizzinosi che lo attaccano per perbenismo linguistico, della serie non-si-dicono-le-parolacce-gnè-gnè-gnè: le parolacce si dicono, eccome, le diciamo tutti e, nel contesto giusto e con i toni giusti, possono avere una funzione liberatoria e a volte persino innovativa, spiazzante. Mi sono trovata spesso a spiegare che il turpiloquio di Grillo è diverso da quello della Lega e di qualunque altro politico, perché viene dalla satira e come tale attacca il potere, ma soprattutto perché, se pronunciato (e agito) da lui nelle piazze, fa ridere e la risata stempera ogni aggressività. Mi sono trovata spesso a correggere chi dice «grillini», spiegando gli impliciti ridicolizzanti e dispregiativi di questa parola e ricordando che nessuno può arrogarsi il diritto di chiamare nessun altro come l’altro non vuole essere chiamato. A questo proposito, nell’ottobre 2012 la lista civica 5 Stelle di Milano mandò persino un comunicato stampa per precisare il linguaggio giusto: non «partito» ma «forza politica», non «grillini» ma «attivisti 5 Stelle» eccetera. E mi trovo spesso, infine, a evidenziare l’ipocrisia che sta dietro a molto linguaggio politically correct, perché non basta certo usare eufemismi né giri di parole per rispettare le minoranze, le donne, i disabili, e nemmeno basta per non essere razzisti.

Perciò quando ho letto il post di Grillo «Gli Houdini della parola» mi sono arrabbiata. Perché dice anche cose giuste, ma è fuorviante ai limiti della disonestà intellettuale. Mi spiego. Grillo giustamente fa appello al potere liberatorio e dirompente del linguaggio schietto, del «dire pane al pane e vino al vino». Ma mischia la lana con la seta e generalizza in modo scorretto. Per ricordare l’ipocrisia e gli eccessi del politically correct cita ad esempio espressioni come: dolce trapasso invece di morte, operatore ecologico invece di spazzino, non vedente invece di cieco. Come non essere d’accordo? Ha ragione: una società non diventa più rispettosa dei disabili (handicappati?) se li chiama non vedenti, né i privilegiati diventano più rispettosi di chi fa lavori umili se dicono operatore ecologico, collaboratrice domestica e così via. Analogamente, un omofobo resta omofobo anche se dice gay invece di frocio, e sappiamo tutti quanto gli omosessuali amino chiamarsi fra loro frocio, frocia e di qui in peggio. Giustissimo.

Ma non è una buona scusa per generalizzare in modo scorretto. Dice Grillo: «Mentre parli devi continuamente e seriamente valutare se ogni parola che stai per pronunciare può urtare la sensibilità di qualcuno: un gruppo religioso, un’istituzione, una comunità, un’inclinazione sessuale, un’infermità, un popolo. Per non avere problemi devi limitarti ai saluti “Buongiorno e non mi faccia dire altro». Nossignore. Chi usa in modo ipocrita il linguaggio politically correct non sta lì a «valutare seriamente» un bel nulla, né si preoccupa di «urtare la sensibilità» di nessuno. L’ipocrita parla per automatismi e conformismo, e si riempie la bocca di parole vuote mentre dentro di sé resta ottusamente ancorato ai suoi pregiudizi, razzismi e privilegi. Viceversa parlare stando attenti, attentissimi a non urtare la sensibilità di nessuno/a è sacrosanto, lo devono fare tutti. Inclusi gli attivisti 5 Stelle. Incluso Grillo, che peraltro ogni tanto piglia uno scivolone e poi deve fare marcia indietro; come quando, per smarcarsi da chi lo accusava di offendere i malati di Alzheimer perché chiamava Prodi «Alzheimer», pubblicò sul blog un video dell’Associazione italiana dei malati di Alzheimer.

Ma non è per parlare politically correct che qualcuno chiama Berlusconi «statista» invece di «evasore fiscale», e qualcun altro può dire che Razzi «non ha una perfetta padronanza della lingua italiana» invece di dargli dell’ignorante: è qui che Grillo mescola gli esempi in modo scorretto (mischia la lana con la seta, dicevo), perché con Berlusconi entra nel gioco politico e su Razzi fa solo una battuta. Quando poi dice che «Napolitano non è neppure nominabile in Parlamento», la questione è ancora un’altra: il rispetto della massima carica dello Stato. In tutti i casi, insomma, non c’entra niente la critica al politically correct. Ma soprattutto: parlando di Berlusconi, Razzi eccetera, non si parla più di categorie svantaggiate. L’attenzione della lingua – del pensiero, dei sentimenti, di tutta la vita – va infatti rivolta anzitutto ai gruppi sociali più deboli: per etnia, genere sessuale, colore della pelle, condizione economica, malattia o altro. È qui che la sensibilità linguistica migliore, quella autentica e non ipocrita, deve applicarsi. Da parte di tutti e tutte. Inclusi gli attivisti e le attiviste 5 Stelle. Incluso Grillo. Che altrimenti lo chiamiamo «grillino».

Questo articolo è uscito oggi anche su Il Fatto Quotidiano.

23 risposte a “Grillo, il turpiloquio e il linguaggio politically correct

  1. Il turpiloquio nella satira ha un senso ed è appunto il senso della satira, che parte dalla pernacchia di Arlecchino a Carnevale per arrivare all’Ottavo Nano. Il turpiloquio così come l’invettiva in politica invece diventano braccio del potere e bloccano ogni possibilità di dibattito. Lo sa bene la Lega, che se ne è servita per azzerare il dibattito sullo ius soli spostandolo sull’aggressione verbale alla Kyenge, e lo sa bene Berlusconi che proponendo “Forza Gnocca” è riuscito per un periodo a far dimenticare quali fossero i nodi che si avvicinavano al pettine per gli elettori. Il giorno in cui voterò qualcuno che parla come Bossi o Grillo lo vivrò come una sconfitta, personale ma anche del posto in cui vivo.

  2. Grillo sfrutta un argomento condivisibile (la critica al politically correct) per far passare il suo personale piagnisteo: ora che è in politica, come è logico che sia, non può usare lo stesso linguaggio di quando faceva il comico e non gli va giù.
    La mia personale opinione poi è che se qualcuno salisse su un palco e desse a Grillo del “vecchio rincoglionito” si beccherebbe una querela dallo staff dello stesso Grillo

  3. Il post di Grillo e’ fazioso. Terribilmente.
    Attacca il politicamente corretto portato al’estremo quasi a difendere il diritto all’insulto. Perche’, se e’ vero che Grillo il turpiloquio di Grillo e’ satira, e’ altrettanto vero che il turpiloquio dei 5 stelle e’ puramente insulto. Lui lo sa e gli fa comodo che le due cose si confondano.

    Dire “frocio” invece di “gay” non e’ politicamente scorretto, e’ un insulto. E lo sa benissimo ci sceglie di usare una parola rispetto all’altra. Che poi uno possa essere omofobo anche dicendo “gay” non centra proprio nulla.

  4. Marco: sulla questione “frocio”. Ciò che intendevo è che nemmeno una parola pesante come questa può essere presa in assoluto, e cioè a prescindere da chi la dice, dal modo in cui la dice e dal contesto in cui la dice. Quasi tutti gli amici gay che ho scherzano fra loro chiamandosi “frocio” o “frocia” e certo non lo fanno per insultarsi. Neanche lontanamente. Certo, se glielo dice qualcun altro s’incazzano, magari, ma anche lì dipende: se glielo dice un amico o un’amica etero che è lontanissimo/a da intenzioni offensive o discriminatorie e che loro conoscono bene per questo, lo accettano e ci scherzano assieme a lui/lei.

    Era per dire che sono insensate le posizioni assolutistiche e rigide quando si parla di linguaggio e significati, che implica per forza tener conto sempre di mille sfumature, mille possibili contesti, mille impliciti, gli uni che capovolgono gli altri. Mi spiego?

  5. E’ la costruzione di un linguaggio “turpiloquio” politico che non mi convince, che mi porta a considerare il Grillo un furbastro a caccia di consensi senza un programma serio e condivisibile. Non può essere considerato accettabile un linguaggio “turpiloquio” che non si limiti solamente ai politici, ma che venga usato anche nei confronti dell’elettorato degli altri partiti per sminuirli o denigrarli come spesso avviene, in tutti i blog, da parte dei “grillini”, no scusate attivisti 5 stelle. Non è accettabile o condivisibile che chi esprima una opinione che vada a cozzare con i dettati del guro, diventi un “coglione” o un colluso con il malaffare.Non è affatto liberatorio sentirsi appellare, da una masnada di “imitatori”, brutta o bella copia, del capo, con i peggiori insulti.Grillo non mi piace, non per il linguaggio che usa, ma per il clima che ha seminato, per il potere assoluto che detiene nel movimento, per le idee che divulga che non sono solamente quelle contro il malaffare(condivisibili) o contro i corrotti in politica, ma la filosofia di vita che vuole affermare attraverso la politica. E’ la mediocrità che trova consensi e fan a go go che mi stupisce, è questo nuovo astro ( prima di lui Berlusconi) che viene idolatrato dalle masse che mi sconcerta, è questo paese con la sua gente che non mi convince.

  6. Giovanna: sei stata chiarissima! Io non lo ero stato :-).

    Sono d’accordo con non avere posizioni assolute sull’uso delle parole.
    Fra amici omosessuali ci si puo’ chiamare “froci” con il sorriso proprio giocando sull’accezione negativa del termine e perche’ sentono il peso della discriminazione. Un po’ come qui in USA che spesso i neri si chiamano “nigga” tra loro solo perche’ minoranza discriminata. Dubito che si sognerebbero di chiamarsi nello stesso modo se vivessero nel cuore dell’Africa. Noi non ci sognamo di chiamarci “bianchi” tra di noi.

    Il diritto all’uso della parola e’ sacrosanto quando la parola e’ accettata dall’interlucutore. Lo stesso “diritto” decade immediatamente quando l’interlucutore si sente offeso. E questo “diritto” dovrebbe diventa reato se si offende con la volonta’ di offendere.

    Non vorrei che difendere il diritto alla satira di grillo possa venir confuso con il “diritto” dei 5 stelle (o di chi per loro) di poter offendere. Tutto qui.

  7. Egregia dott.ssa Cosenza,
    mi pare quantomeno singolare la facilità con la quale, nel racconto dei suoi più recenti slanci in difesa del registro adottato da Beppe Grillo, lei cambi parametri di giudizio nel breve spazio di un “a capo”.
    Il prologo del suo articolo, che appare come la strenua difesa di una difesa da lei operata e certificata, nei confronti del linguaggio di Grillo, vive di una straordinaria ironia, spero non involontaria. Grillo adesso è un politico. Ricordiamo benissimo, quanto stesse bene in completo grigio il giorno in cui fu ricevuto da Napolitano. Il Presidente della Repubblica riceve, in genere, leader politici italiani, leader stranieri o campioni di scherma medagliati, e io, di fioretti o tutine bianche, quel giorno non ne ho visti. Dunque il linguaggio di Grillo è evidentemente politico, perchè utilizzato da un politico, anche se attinge alla tradizione della satira e attacca il potere e l’istituzione. Come ha anche lei osservato, Grillo parla nelle piazze, parla alle piazze, e, le piazze, in quel caso, sono anche frutto di quanto Grillo ha detto. Quelle diventano le sue piazze, quello diventa il suo elettorato. E’ a loro che Grillo parla con quel “turpiloquio”. L’elettorato, le sue dinamiche, sono frutto del linguaggio scelto dal leader, e Grillo, scegliendolo, se ne assume tutte le responsabilità. Pensare che si tratti di satira, sminuisce, svilisce, anche la nostra intelligenza, difenderlo fino ad oggi, ed oggi sorprendersene, anche. Ogni politico sceglie il proprio linguaggio. Lo fa in funzione dei propri obiettivi, e soprattutto, del suo popolo. Grillo titilla, eccita, solletica i suoi, anche a costo di lasciare, sul suo blog, che il razzismo più becero e violento si esprima liberamente. Mai un dito, é stato alzato da Grillo, quando i suoi hanno azzardato le peggiori analisi storiche, o i più tristi paragoni. Grillo ha bisogno di questa ambiguità. La satira, se all’inizio poteva essere rintracciabile, ora c’entra davvero poco. Lei dice di aver difeso gli aderenti al movimento, dicendo che non li si può chiamare Grillini, perchè “nessuno può arrogarsi il diritto di chiamare nessun altro come l’altro non vuole essere chiamato”. E’ ridicolo detto da chi difende il linguaggio di Grillo in quanto satira. Facendo così, difendendoli, li fa davvero sembrare una categoria svantaggiata. Ad avvalorare quanto dice ci ricorda che “la lista civica 5 stelle di Milano mandò persino un comunicato stampa per precisare il linguaggio giusto: non «partito» ma «forza politica», non «grillini» ma «attivisti 5 Stelle» eccetera”. E allora? Cosa dimostrerebbe questo “perfino”? Se, dunque, Bersani dovesse “perfino” inviare un comunicato per chiedere di smetterla di chiamarlo Gargamella, Grillo dovrebbe smetterla? E se continuasse? Sarebbe ancora satira? Oppure, solo se si è grillini, mi perdoni, non si può essere chiamati come non si vuole essere chiamati? E se si dovesse essere chiamati Trolls? Devo, di conseguenza immaginare, che avrà fatto anche una veloce telefonata a Bersani per chiedergli se gli piacesse l’appellativo Gargamella, o se preferisse qualcosa di più moderno. E avrà, di certo, chiamato tutti i pennivendoli, tra i quali, pur non pagato da nessuno, mi ricomprendo, per chiedere loro se fossero contenti di essere chiamati così. Sono certo che avrà fatto questo e altro. La sua odierna critica è strana. Se, fino ad oggi, lei ha difeso questo linguaggio politico, ne avrà condiviso l’obiettivo. Il problema non è quanto scritto da Grillo in questi giorni, Il problema è il linguaggio. Immagino avrà fatto un giro, tra i duri e puri del blog. Quei “Vaffanculo” quei “Trolls” quell'”Italia A e Italia B” non servivano ad altro che a creare un “Noi” ed un “Loro”. Servivano, in sostanza, ad essere diversi dagli altri, a dirsi migliori, a convincere gli altri ad abbracciare l’idea del movimento. Il linguaggio di Grillo, è funzionale a tutto ciò. Se lo si difende, come lei ha fatto, lo si accetta tutto, anche oggi. Perchè, converrà con me, il movimento 5 stelle, punta al 100%, punta cioè ad un’adesione completa ad un modello che, per il momento, non è la democrazia liquida, non è la base (interpellata solo a tratti), ma è Grillo, in quanto megafono. Quando si accetta l’offesa, generalizzata, quando c’è un “Noi” e un “Loro” non si può pretendere poi la lucidità e il rispetto cui lei fa appello.

  8. Io invece credo più al carico di accezioni condivise, che le parole tendono a perpetuare in base al loro background storico. Le parolacce, che non tutti usiamo, veicolano quasi sempre cognizioni spregiative ed emozioni umilianti. E i termini del politically correct hanno eccome il potere di combattere i pregiudizi, anche se certamente non di colpo e non se l’edulcorazione è ossessiva o contorta: ad esempio “disabili” ha una logica più dignitosa rispetto a “diversamente abili”, che innesca il sarcasmo del senso comune, come quello di definire “diversamente sobrio” un ubriaco. Troppo facile parlare di “ipocrisia” se implica il supporre ciò che le persone o una collettività conservano “dentro di sé”.

  9. ‘svirilzzate’?????!!!!!!

  10. la seconda riga dell’articolo di grillo in questione: ‘svirilizzate’??!! che scelta infelice questo aggettivo in un articolo sul linguaggio e le parole. mi chiedo giovanna, se la scelta di un termine piuttosto di un altro possa svelare le strutture di pensiero di chi parla. e nella scrittura, come in questo caso? scelta iperconsapevole?

  11. Quando il dito indica la luna, l’intellettuale si concentra sul dito.
    In Italia ogni spinta di rinnovamento è sopita in una bolla di conformismo e l’unica forza che attualmente sta facendo la differenza o perlomeno ci prova con tutte le proprie forze senza fini di lucro viene infilzata ad ogni sternuto o peto. L’analisi di questo articolo è anche condivisibile nel merito ma completamente fuori bersaglio rispetto alle aberrazioni formali e sostanziali di cui siamo circondati e che meriterebbero tanta attenzione, non foss’altro per informare i cittadini e marcare il proprio sdegno, quello delle persone oneste e lavoratrici. La scelta del tema è di per sé stessa indicativa di un’orientamento ideologico, del tutto lecito ma non necessariamente da approvare, difatti per me é stucchevole ed avvilente. Mentre si discute di quanto sia approssimativa la comunicazione del M5S, gli intellettuali alzano il ditino e fan la boccuccia a cul di gallina (cit. Travaglio) mentre il Paese continua a fumare come la Gehenna. Ma cosa mi sfogo a fare, si torni alla vulgata: abbasso Grillo e viva l’Italia che continua nel suo luminoso traino del progresso mondiale, che a noi investitori, professionisti, operatori culturali e la crème dell’intelligencija mondiale c’arrivano a barconi.

  12. Francesco Ditiranto, dice: “Se, fino ad oggi, lei ha difeso questo linguaggio politico, ne avrà condiviso l’obiettivo.” Ho difeso dopo attenta analisi di tutto il fenomeno, non dopo la caricatura che lei sta facendo della mia posizione. È proprio grazie a quell’analisi che ho capito molto in anticipo come sarebbe andata a finire. Mentre i media non coglievano, per esempio. E molti miei colleghi snobbavano. Ho capito che il M5S avrebbe guadagnato un 25%. E ho capito la disfatta del Pd dall’inizio. Faccia una ricerca sul mio blog con la parola “Grillo”. E poi faccia una ricerca mettendo “Bersani” e mettendo “Renzi”.

    Ho cercato di capire cosa c’era di potente, efficace, interessante in un linguaggio che raggiungeva -facendo centro- milioni di persone. Tutti beceri? Tutti ignoranti, razzisti, volgari? Ma per cortesia. In università sono circondata da giovani che hanno votato, nella stragrande maggioranza, M5S: intelligenti, colti, dinamici, appassionati. Fra i miei migliori studenti, tantissimi hanno votato M5S.

    Perché ora ho cambiato prospettiva? Perché quella forza comunicativa e persuasiva che prima Grillo aveva (e che avevo smontato per capire come e cosa facesse) ora si sta spegnendo. Perché Grillo annaspa. Perché gli attivisti e le attiviste sono disorientate. Non perché io sia una bandieruola, come nella caricatura che di me ha fatto. Non pretendo che lei conosca il mio percorso: glielo indico ora solo perché non mi sento ben rappresentata nel suo sfogo. E non posso sintetizzarle in un commento tutte le mie ragioni e il loro fondamento.

    Valerio: la “scelta del tema” non sono io ad averla fatta, ma Grillo stesso scrivendo quell’articolo, che davvero poteva risparmiarsi. È da articoli come quello (ma anche da altro) che capisco che sta perdendo colpi. Onestamente di colpi a vuoto e fuori bersaglio ne ha sparati tanti da quando ha fondato M5S nel 2009, ma ora è più grave, perché ha 163 eletti in Parlamento, perché delude i suoi stessi attivisti, perché disorienta i suoi parlamentari, perché l’Italia sta nella situazione che tu stesso dipingi.

    Non appartengo a quegli “intellettuali con ditino alzato” fra cui ti piace immaginarmi. Curioso: mentre tu mi rappresenti in questo modo, il commentatore Francesco Ditiranto mi ha disegnata come una specie di fanatica 5 Stelle, che si pente ma non troppo. 🙂

    Il tema è invece un altro. Il tema è che io sono un’analista della comunicazione e ognuno, nelle mie analisi, legge la posizione politica che preferisce, mentre io mi limito a indicare alcuni pregi e difetti di linguaggio, di comunicazione, di comportamento di tutti i politici, destra o sinistra, senza esclusione di colpi. Sto nascondendomi dietro al dito dell’analisi? Nient’affatto. Ovviamente ho una mia posizione politica, ma faccio di tutto per tenerla fuori dal mio lavoro, né tanto meno la dico per due ragioni: (1) per non esserne condizionata o, peggio, accecata nell’analisi; (2) per poter parlare a tutti i miei studenti, indipendenemente da ciò che loro votano, e insegnare loro l’autonomia di pensiero, sempre.

    Quanto al dito e alla luna, caro Valerio, leggiti (o rileggiti) questo:

    Se Grillo indica la luna e i media guardano il dito, la colpa è anche del dito


    🙂

  13. Egregia dott.ssa Cosenza,
    io sono felice che tra i suoi studenti, alcuni dei più colti e più dinamici abbiano votato 5 stelle. Sono assolutamente convinto che la spinta, esercitata dal basso dagli attivisti del movimento, abbia costituito e possa continuare a costituire una grande risorsa per il nostro paese. Però lei non mi ha risposto. Parlavano di Grillo, del suo linguaggio, e il mio riferimento al razzismo più becero, nasceva dalla lettura dei commenti postati sul suo blog. Pensavo di essere stato chiaro nel mio riferimento. In tutto questo lei non ha risposto alle mie domande. Qui manca lo spazio, è vero. E allora apriamola altrove questa polemica, questo scontro dialettico. Il confronto è bello, e magari può aiutare me a capire e lei a rispondermi. Perchè qui non parliamo nè di me, nè di lei, nè degli attivisti. Qui parliamo del linguaggio di Grillo, e di quanto questo possa essere funzionale Le rifaccio una delle domande, scelga lei dove rispondermi: se, dato per assunto che non si può chiamare qualcuno come non vuole essere chiamato, domattina Bersani dovesse comunicare quanto poco ami l’appellativo Gargamella, Grillo dovrebbe smetterla? Sarebbe ancora satira o, sulla scorta di quanto da lei detto a proposito del comunicato stampa della lista civica 5 stelle di Milano, si tratterebbe di mancanza di correttezza istituzionale?
    Attendo sue nuove.
    P.S. di cognome faccio Ditaranto, ma anche Ditiranto va bene, non mi offendo.

  14. “svirilizzate” è q.b., grazie giorgia ts, hai centrato il punto, no comment necessario

  15. Salve Giovanna. In merito all’articolo dico che, in merito al turpiloquio Grillo non è nè Bukowski nè tantomeno Miller, per cui la sua satira cambia significato proprio in base al contesto. Fino a quando vuole aizzare la folla dei palasport allora tutto è lecito. Da quando Aristofane invitava il pubblico a prendere in giro Cleonte non è cambiato assolutamente nulla.

    Tutto però cambia quando dal palco di un palasport si passa ad uno scranno. Il linguaggio politico non può essere assolutamente veicolato attraverso il linguaggio della satira (anche perchè si finirebbe in un bel paradosso, visto che la satira si fa beffe della politica) e può avere il suo effetto solo all’inizio come “novità” per poi abbandonarsi a sè stesso e ritornare nella definizione più classica di “macchietta”.
    Vero è che il linguaggio dei media, soprattutto quello televisivo, avrebbe bisogno di una bella svecchiata e ripulita dai refusi delle vecchie generazioni. Stesso discorso per la politica, che dovrebbe fare una dieta iporetorica e liberarsi dalla perifrasi che la soffocano, e quindi cominciare un po’ a tirare fuori i contenuti (ed è questo il problema, non ha contenuti). Ma che Grillo venga a fare la lezioncina di italiano, sulle parole “svirilizzate”, vi prego no. Al solito, condivisibile nella sostanza ma non nella forma e quindi un esercizio completamente inutile di mettere i puntini sulle “i”.

    Da questo argomento passiamo ad un altro argomento, vado di OT.
    Lei scrive per il Fatto. In questo blog si occupa di analizzare come comunicano i media. Mi piacerebbe tanto leggere una sua analisi su come cura la sua comunicazione il sito de Il Fatto.
    Dopo 2 anni di lettura della versione web del giornale posso ritenermi completamente insoddisfatta di come il Fatto gestisca la propria comunicazione. Era partita come una bella realtà editoriale la cui mission era la trasparenza, la certezza della fonte, il fact-checking. Insomma, ispirandosi alla trasmissione di Biagi – pacata, sommessa e disturbante non per il tono adottato ma per le cronache divulgate – il giornale di Padellaro traeva da essa le sue caratteristiche. NELLA TEORIA.

    Nella pratica abbiamo un giornale di partito che non si differenzia dai suoi competitor quali Libero, il Giornale, L’Unità, il Manifesto. Partendo dai titoli delle varie news e dei blog: sensazionalistici, grossolani, esagerati. Continuando con la scelta dei temi e l’intenzione di cavalcare l’onda emotiva (come gli articoli sul nuovo fenomeno mediatico del femminicidio – sono una donna che parla – arrivando a strumentalizzare fatti di cronaca che non rientravano nella definizione, come una lite finita male nel cuneese, etichettata ancora una volta come “femminicidio”, mentre Repubblica titolava nel modo più neutro possibile) da un lato e dall’altro ospitando contro-argomentazioni che, sempre nella teoria, hanno l’obiettivo di salvaguardare la “pluralità” ma dall’altro servono solo per accontentare sia l’opinione pro che quella contro.

    Per non parlare dei toni aspri ed accesi, mutuati da Travaglio, utilizzati da il Fatto, che come per il Giornale, che di certo non attirano i commentatori senzienti ma richiamano l’attenzione dei lettori che non aspettano altro di essere colpiti “alla pancia”. E infatti spesso e volentieri i blogger del giornale si sono lamentati dei commentatori, ma lei – che è donna di scienza – saprà che la definizione del target si fa prima di lanciare un’iniziativa editoriale, per cui Il Fatto ha deciso sapientemente di attirare in seno i lettori più incarogniti e incattiviti. Essi non sono altro che la conseguenza del linguaggio da esso usato, per cui non vedo il motivo di lamentarsi.
    E finisco dicendo che, tornando al discorso sulla satira, che Travaglio – che da giovane stimavo molto – mi è scaduto assieme a Grillo, proprio a causa del registro stilistico che si è scelto per divulgare i propri editoriali.
    Lui è un giornalista, perchè se lo leggo devo sorbirmi infantilismi satireschi come: psiconano, angelino jolie e via dicendo? Non dovrebbero appunto parlare solo i “fatti”? Perchè rincarare la dose quando non è assolutamente necessario, visto che i politici ce la fanno benissimo da soli ad oscurare la propria dignità? La satira strappa un sorriso amaro e non può mai sostituirsi al linguaggio politico (avere un oratore come Obama è chiedere troppo? Ti prego non mi tirare in ballo Renzi) nè tantomeno a quello giornalistico (è troppo chiedere l’analisi è la lucidità di Orwell? Che mai in vita sua ha mandato a cagare nessuno nei suoi articoli? E c’era Hitler all’epoca mica Berlusconi) nè può contaminare in alcun modo nessuno dei due linguaggi e questo perchè?

    Perchè io (e)lettore non posso prenderti assolutamente sul serio.

    Quindi me lo fa un bell’articolo sulla comunicazione fallace de il Fatto?

    Ps: per quando riguarda il contesto sull’utilizzo della parola “fro*i”, ha senso quello che dice, anche tra donne in confidenza si usa darsi dalle “zocc*le” ma guai se un uomo osa utilizzare tale termine al loro indirizzo. Cambia irrimediabilmente senso e contesto.

  16. http://www.dagospia.com/rubrica-2/media_e_tv/altro-che-grillo-luttazzi-crozza-e-stato-lenny-bruce-il-genio-del-politicamente-scorretto-60766.htm

    Da 20 anni mastico pane e media internazionali e da 15 son senza tivvú. Colpa mia, eh. Non dico Kraus ma almeno Longanesi. Dai: vergognatevi per loro e, nel mio piccolo, anche per me.

  17. Valerio, non colgo il punto dei tuoi link. Da un lato proponi autori di satira politica, dall’altro Boccaccio… Cosa c’entra con ciò di cui stiamo discutendo? Grillo viene dalla satira politica, sono la prima a ripeterlo fino alla noia (se non lo ricordi, fa’ una ricerca con la stringa “grillo” su questo blog). E il fatto che io abbia difeso la corrosività del linguaggio satirico, mi procura da chi non coglie il punto accuse di grillismo più o meno malcelato (vedi sopra).

    Ma ora Grillo fa politica, e da quando 163 parlamentari fanno riferimento a lui doveva cercare un registro nuovo, doveva ripensare alcune scelte. Non si può continuare a fare *solo* satira politica se si vuol dare e dire qualcosa a chi siede in Parlamento.

    C’è stato più di un momento in cui pareva consapevole di questa necessità. Primo fra tutti, il momento della lunga conferenza stampa a Roma, dopo il disastro delle elezioni del capo dello Stato. Lì sembrava davvero che avesso capito, che stesse studiando un nuovo modo. (Riguardati online quella conferenza.) Invece? Invece niente. Invece di svoltare, Grillo è peggiorato, è diventato meno lucido, meno mirato nel puntare i suoi obiettivi. E se continua così una buona percentuale di quel 25% finisce in astensione, un’altra rifluisce in qualche partito e M5S si trasforma in una nuova Lega (che quando arrivò al massimo prese il 9% e rotti).

    Vedi:

    M5S: finirà per ridursi come una nuova Lega?

  18. Skywalker: concordo su tutto.

    Un articolo sulla comunicazione del Fatto? Ma sarebbe banale, scontato: non c’è nulla da dire in più rispetto a ciò che lei ha scritto.

    Perché ho un blog sul Fatto? Innanzi tutto perché fra i blogger c’è chiunque, con le opinioni più disparate e non necessariamente coerenti con la linea editoriale. Lo dimostra il fatto che ci posso scrivere ciò che voglio e nessuno della redazione ha mai avuto nulla da obiettare su niente.

    In secondo luogo perché non lo leggono solo i dissennati che vomitano il peggio (come è dimostrato dal suo stesso esempio). Anzi: i lettori migliori non commentano proprio: incontro quasi tutti i giorni qualcuno che mi riconosce perché scrivo sul Fatto e mi fa i complimenti per ciò che scrivo.

    Infine perché mi permette di studiare il pubblico che grida e insulta, di capirne la visceralità e anticiparne le reazioni. Spesso lì dentro faccio dei veri e propri test: una specie di laboratorio per sperimentare le reazioni se metto un certo incipit o una certa conclusione, se uso certe parole e non altre, eccetera. Per me quello spazio è prezioso. Loro mi insultano (non tutti, ma spesso lo fanno) senza capire che sto studiando, fra l’alto, proprio le modalità del trolling in rete. 😉

    Sulla costruzione del target, infine: è un problema della direzione e della redazione del Fatto. Ne sono consapevoli, ovviamente. Ma finché gli porta traffico e vendite… eccetera. Ma questo vale per tutti i giornali. Italiani e stranieri. Ognuno ha le sue tecniche per costruire il suo target, con i pro e i contro di ogni target. Solo che il livello medio del giornalismo italiano è innegabilmente più basso che in Gran Bretagna, in Germania o negli Usa. Eccetera. Grazie per il contributo. 🙂

  19. Un sito inquinante va bonificato, se le ruspe utilizzate fanno baccano giusto notarlo ma per contro nessuno é costretto a tendere l’orecchio al cantiere fino all’otorragia. Badare sempre al modo, mai perdere di vista l’obiettivo: in extremis, io partecipo volentieri alla raccolta fondi per il napalm. Ho l’impressione che molti italiani capiscano per varie ragioni come oggi bisogna badare alla sostanza e diffidare dalla forma, vista la cronicità dei problemi,l’inconcludenza degli apparati, lo stato pietoso dei media nostrani. Pur con errori e toni da strada il M5S sta facendo molte cose eccellenti ed inaudite nell’interesse pubblico, rimanendo nell’alveo delle istituzioni. Vedremo che succederà alle prossime politiche, manco si sa quando ci saranno, potrebbe accadere di tutto nel frattempo, mentre l’Italia va picco con un Parlamento esautorato della propria funzione ed un Presidenzialismo di fatto, questi sí dei bei vaffanculo a Montesquieu ed alla Costituente che ci ha preceduto, ma finché il Nonno monita e la giornalista portavoce UN in quota Sel-Eni assicura che le cose cambieranno, tutto va ben madama la marchesa, siamo noi irrimediabilmente OT. Per i riferimenti letterari: é fisiologico che certi accademici riconoscano le ragioni della passione e del talento solo a posteriori. Del resto, gli autori che ho citato scrivevano per noia, mica rischiavano nulla per il loro linguaggio nelle rispettive società ed epoche, al massimo non piacevano alla gente che piace, vero? Satira=Politica, a maggior ragione in Italia, che a tutti i livelli istituzionali da decenni abbondano sangue e merda, assieme a cetrioli a raffica per le classi piú deboli conditi da cascate di lubrificante (=armi di distrazione di massa) questo sí meritevole d’analisi ma le parolacce scarseggiano, che dire?!. N.B. no comment=crème dei lettori ; commenti critici=troll che insultano. Ed io che verifico gli IP, le credenziali d’autenticazione, i timestamp, lo stile ed i contenuti: metodi da tifoso troglodita. A sem a post!

  20. No Valerio: i commenti critici si accettano e si discutono. Io li accetto e li discuto. Sono ad esempio quelli come il tuo. I troll insultano e basta. Sul Fatto quotidiano (come su molti altri siti di testate giornalistiche) c’è il pienone di commenti inutili, vuoti, semplicemente insultanti. Quelli più bassi vengono cancellati dalla redazione, quelli che invece usano circonlocuzioni (si può essere insultanti anche senza usare turpiloquio) passano tutti, eccome. E mo’ non leggere ancora una volta ciò che non ho mai scritto. Ecchecca***…! 🙂

    Ho capito che difendi a oltranza M5S, ma non vedere gli errori di comunicazione (e di sostanza) loro e del loro «capo politico», come lui stesso si è definito, dal mio punto di vista equivale, per loro, a scavarsi la fossa, e per chi li sostiene dall’esterno, a contribuire ad affossarli. Una storia che ho già visto mille volte nel Pd. Auguri.

  21. Sarò dislessico. Quando vedrò altri soggetti politici fare la necessaria rottamazione del putridume nostrano, mi potrò permettere il lusso di scegliere quello più congruo anche dal punto di vista formale. Fino ad allora questi interventi lasciano il tempo che trovano. Vamos. OT letto il commento di Paolo al tuo romanzo, sembra un’opera interessante, al netto della supercazzola da sborone; ancora un po’ e tirava in ballo Hammurabi, Coelho e Fabio Volo. Brrr.

  22. virile conversazione ovvero molto intensa e notevole la passione che anima interlocutori e interlocutrici 🙂

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