Scienze della comunicazione again: un’altra storia positiva

Ragazzo manga

Come dicevo ieri, ogni volta che pubblico la storia di “qualcuno che ce l’ha fatta”, tipicamente me ne arrivano subito altre. Questa volta i “casi di successo” sono particolarmente numerosi e vengono da tutta Italia. Ecco la storia di Federico, laureato triennale in Comunicazione all’Università “La Sapienza” di Roma:

Gentile professoressa Cosenza, le scrivo per segnalarle un’altra buona storia in fatto di “esperti di merendine”. La storia è la mia e scrivo a lei perché il suo blog è un’oasi di pace nel deserto popolato dai luoghi comuni che affliggono gli universitari umanisti.

Mi sono laureato in Scienze della Comunicazione (Sapienza) nel dicembre 2012 e, per non perdere tempo, già a settembre dello stesso anno ho iniziato a seguire (clandestinamente) le lezioni della magistrale. Durante gli studi, mi sono appassionato al mondo dei social media percependo che, in un mondo in cui sempre meno lettori sono disposti a pagare per un giornale cartaceo e sempre meno consumatori sono disposti a farsi persuadere dall’advertising tradizionale, il vero futuro della comunicazione potrebbe stare lì dove le persone tendono a vivere quotidianamente, per propria scelta. Così ho iniziato a intravedere (da lontano) la via di una specializzazione cercando, con modestia, di incanalare il poliedrico corpus di conoscenze acquisito in Facoltà nella direzione di un potenziale ambito lavorativo.

Durante la preparazione della tesi di laurea io e un mio amico, Daniele, ci distinguiamo per lena lavorativa e consolidiamo un bel rapporto discente-docente col nostro (comune) relatore, che dopo la laurea ci propone un colloquio per uno stage a Repubblica. Prendono il mio amico e scartano me. Me ne dispiaccio infinitamente, ma sono felice per il mio amico: farà esperienza. Con me il prof torna all’attacco: «C’è un azienda che cerca un social media editor. Non so altro, vuoi che ti segnalo per un colloquio?». Non me lo faccio dire due volte e corro, faccio bella impressione e mi prendono. Vedono come mi muovo sui social network (37mila followers su Twitter), ma il fattore vincente è la “raccomandazione” del mio relatore, che va intesa in modo anglosassone e non italiano, diciamo: un docente del mondo accademico che “raccomanda” alle aziende studenti meritevoli (e spero di essere tra questi).

Inizio con 500 euro al mese, i miei primi stipendi. L’azienda si occupa di brand journalism ed è stata la prima a importare questa filosofia in Italia. Il team è giovane, dinamico, si lavora in modo professionale, ma sempre col sorriso. In questo ambiente mi sento sempre stimolato intellettualmente: sono il più inesperto e ho solo da imparare, da tutti. A fine dicembre finirà il “periodo di prova”: se mi tengono, arriverà un contratto di un anno con aumento di stipendio. E ci sono ottime possibilità che questo accada.

Mi chiamo Federico Sbandi, ho 23 anni, una “semplice” triennale in tasca, una laurea magistrale in pectore. Faccio il lavoro per il quale ho studiato, sia fuori (per interesse personale) sia dentro l’università. Non sono arrivato “in cima”, lavoro a testa bassa e tengo i piedi per terra, ma ho tanta voglia di impegnarmi ed eccellere, per tenere alto il nome della mia facoltà, per mangiare grazie ai miei studi e non deludere chi ha creduto in me, il mio relatore in primis. Sono felice insomma, ed è questo che per me conta.

PS. Ricorda il mio amico preso a Repubblica? Ha fatto esperienza e si è distinto anche lì per meriti. Due settimane fa si è liberato un posto in azienda da me. Ho “raccomandato” lui, il mio amico Daniele, si sono fidati di me, l’hanno preso e ora lavoriamo insieme. Siamo felici tutti e due. 🙂

11 risposte a “Scienze della comunicazione again: un’altra storia positiva

  1. Credo che attualmente i laureati in comunicazione siano quelli che lavorano di più!

  2. Yes,we can!!

  3. Buonasera, scusate se sono fuori argomento, ma ci tenevo a segnalare alla professoressa Cosenza lo spot della regione Sardegna sulla lingua sarda:
    http://www.videolina.it/video/utenti/54443/sardu-unu-populu-sa-limba-sua.html
    Visto che a suo tempo si era occupata con un post dedicato alla foto utilizzata come brand della pagina istituzionale “Sardegna secondo te”, mi sembra che le considerazioni di quel post siano valide anche per lo spot televisivo sulla lingua sarda.
    Bello il testo, ma non c’è una immagine, una che richiami la Sardegna.
    Mi interessava conoscere un suo parere in merito alla spot.
    La ringrazio per l’attenzione.

  4. Complimenti Federico. Se devo trovare un “fil rouge” in tutte queste storie positivedirei: speranza, crederci sempre e vedere 500€ al mese come punto di partenza importante e non umilante. Credo che almeno nel campo del digitale le potenzialità in Italia sono tantissime e i laureati in SdC non possono che essere avvantaggiati!

  5. Non vedo nessun problema ad iniziare con 500 euro/mese. In effetti, e`stato proprio il mio primo salario (consulente part-time) nel 2002, dopo la specialistica (ma era il secondo lavoro).
    Sarcasmo a parte, queste storie sono interessanti da leggere. Grazie a Giovanna e a coloro che raccontano le loro experienze.

  6. Gent.le professoressa Cosenza, gent.li tutti,
    onestamente invidio il vostro ottimismo e il vostro difendere a spada tratta i vostri successi. L’ottimismo, si sa, è contagioso eppure, nel mio caso, non riesce a scalfire la frustrazione quotidiana nel constatare che c’è chi, al mattino, l’ottimismo lo cerca anche sotto le coperte.
    “Non vedo nessun problema ad iniziare con 500 euro al mese”. Oh bhè, beato te che con 500 euro riesci a pagare l’affitto e le spese. Io qui a Bologna faccio un po’ fatica.
    Nessuna critica nè giudizio nei vostri riguardi, solo una fortissima invidia per le possibilità che avete “a 500 euro al mese”. Provate per un attimo a sovvertire i termini del problema, provate a pensarvi senza genitori, nonni o parenti che vi aiutano, provate a pensare di dover pagare un affitto e delle spese e poi provate a pensare se 500 euro al mese possono bastarvi.
    Ecco, dopo questo immenso sforzo mentale, caro Federico, ritieniti fortunato nel constatare che tra le tue preoccupazioni c’è il “tenere alto il nome della tua facoltà” o di aver avuto un relatore che ha creduto in te. Bravo tu, bravo lui, beato il mondo che, tutto sommato, ti è dolce e ti fa sentire felice. Con la consapevolezza che non per tutti è così.

  7. Uno degli aspetti che spesso non emergono abbastanza dalla racconto delle esperienze è il valore (differenziale) dell’intraprendenza, dell’ambizione e della determinazione. Potremmo persino dire della “visione strategica” che, se unita alla competenza (specifica), riesce veramente a fare la differenza.
    Sarà che forse la mia (e lo dico senza presunzione alcuna) è una storia (professionale) “fin troppo positiva” – e, giuro, senza “santi in paradiso” – ma credo (essendone una dimostrazione, almeno a me stesso) che ce la si può fare eccome “pur” con una laurea in comunicazione e “persino” con una specialistica in semiotica.
    Io con la semiotica “applicata” (semplifico, abbiate pazienza) ci campo e piuttosto bene; sono onesto se dico che me la passo addirittura meglio delle mie aspettative più ottimistiche. Sarà che di fondo sono realista e concreto, ma non mi sarei aspettato di riuscire a realizzarmi tanto in “poco” tempo facendo leva solo sulle mie conoscenze metodologiche, la mia voglia di mettermi all’opera, alla mia determinazione e alla capacità “strategica” di credere in un progetto, “confezionarlo” bene e venderlo al meglio consapevole dell’utilità e del valore di quel progetto.
    E’ quello che ho fatto “a cavallo” dell’ultimo anno della specialistica in semiotica e la fine degli studi. Incontrando anche le persone giuste, poche ma buone che hanno voluto credere in me e mettermi alla prova (ce ne sarebbero e molti di aneddoti da raccontare..).
    Correva l’anno 2004.. in una “boutique” (milanese) della “semiotica al marketing” ho “forgiato” le armi, in un complesso (all’inizio) confronto-scontro tra le mie “finezze” teorico-metodologiche e le necessità pragmatiche del marketing, branding e della consulenza strategica. Lì l’insight che mi ha cambiato la vita o quantomeno ha dato una direzione all’evoluzione che ho intrapreso: ho capito che applicare la semio alla ricerca di mercato e alla consulenza strategica era la cosa che volevo fare “da grande”.
    Un anno dopo mi ritrovo a Bergamo in un piccolo-medio Istituto che ha creduto in me e mi ha dato “carta bianca” per il lancio di una serie di cose “semio-driven” in ambito marketing comunicazionale. Ma non mi bastava. Creo una serie di “prodotti” di consulenza (semio-driven) e ricerca (semio-based) e mi prefiggo di rompere le palle a molti (agenzie, aziende, istituti,etc.) per chiedere una presentazione di questi tool. Quello che volevo presentare non erano poche chart di pptx, ma una visione, un modo di fare ricerca e consulenza. Qualcuno (illuminato o semplicemente disponibile) mi concede la presentazione. Fioccano da prima “progettini” (piccoli pack test, name test) che si fanno via via sempre più importanti con una pluralità di Player (Istituti di ricerca soprattutto).
    Oggi, a circa 10 anni dalle prime esperienze, mi ritrovo con un fatturato in sensibile aumento ogni anno (nonostante la crisi) – tanto da essere persino ritenuto “benestante” dal fisco italiano -, un parco clienti fidelizzato, sono coinvolto – da solo o in partnership con grandi Istituti e Agenzie – in “progettoni” internazionali e in sfide strategiche evolute.
    Sono sicuramente stato “fortunato”, anche perché ho avuto la possibilità di studiare Semiotica nel migliore ateneo italiano (almeno su questo fronte) e di incontrare persone che mi hanno dato la possibilità di dimostrare il valore di quanto offrivo loro. Nei miei e nei loro interessi. Sta di fatto che di “valore” (e da semiologi sappiamo che il valore è differenza) della mia proposta. Expertise e competenza servono sicuramente, ma se non c’è una visione orientata e coerente, tutto si perde.
    Questo mio racconto per dire semplicemente che la competenza è una base importante e che ci vuole tanta fortuna, in un periodo così ancora di più probabilmente, ma che molto dipende da noi, dalla nostra volontà di farcela, dalla nostra intraprendenza e ambizione.

  8. Ma, come mai i laureati in Medicina che hanno trovato lavoro non pubblicano le loro storie su internet? E se lo facessero, basterebbe un blog per tutte queste storie? Come mai, per fare il medico nelle strutture pubbliche, esistono delle selezioni pubbliche riservate esclusivamente a chi è in possesso di laurea in medicina? La stessa cosa avviene anche per le ostetriche, eppure fino a poco tempo fa per fare questo mestiere era sufficiente l’esperienza… Ma, a proposito di professioni sanitarie… Nei corsi di laurea in Comunicazione non esiste il numero programmato: ogni anno in Italia migliaia di laureati escono fuori da questi corsi. E se introducessimo il numero programmato, come già avviene già nei corsi di laurea in Fisioterapie, Ostetricia ecc…, anche nei corsi di laurea in Comunicazione? Sono troppi in Italia i laureati in Comunicazione, questo è un dato oggettivo. Negli ultimi 10 anni, l’aver fatto immatricolare, e quindi laureare, un numero di comunicatori che, stimato, ammonterebbe almeno a circa 10mila unità, ha prodotto uno spreco senza pari. Piuttosto che di numero programmato in ingresso io proporrei l’introduzione di un numero programmato in uscita, stile Accademia delle Belle Arti. Infine, esistono nei corsi di laurea in Scienze della Comunicazione materie quali SEO/SEM? Ho studiato alla Stranieri Web Design ma il mio docente non mi ha spiegato neanche il linguaggio HTML…

  9. Sarebbe una bella idea fare un blog anche per chi, medico o fisioterapista, trova lavoro!!Poi però bisognerebbe riportare anche chi intraprende questa carriera solo perché ha il papà dentista o la mamma con lo studio medico..certo c’è selezione all’entrata ma tra ripescaggi e altro poi entrano non per forza i più bravi ma quelli che ce la fanno. Poi in quel blog bisognerebbe riportare anche chi intraprende queste carriere universitarie e non ce la fa..conosco veterinarie disoccuate, fisioterapisti che fanno tutto meno quello per cui hanno studiato. Conosco infermieri e medici che ce l’hanno fatta invece e hanno tutta la mia ammirazione perché credo che per fare questi lavori ci voglia una vera vocazione, come per i preti e gli insegnanti, le cassiere e gli impiegati. Bisognerebbe riportare le due facce della medaglia .Io comunque sarei grande fan di questo blog che dovrebbe riportare sia le storie positive di chi ce la fa davvero e quelle negative. Probabilmente nessuno lo farà perché più comodo generalizzare e dire laureati in medicina=lavoro –laureati in comunicazione=disoccupazione anche se poi non è proprio così.
    P.s= doveva fare allora Scienze della comunicazione gentile Cinemalaska… pensi che noi al primo anno dobbiamo sostenere un esame di Informatica che prevede una parte teorica e una pratica di creazione delle pagine con l’ HTML!!!

  10. X La Fra Innanzitutto io parlavo di selezione in uscita, molti dei miei ex colleghi che hanno trovato lavoro si sono laureati da fuori-corso… quelli che hanno studiato costantemente, come il sottoscritto, da un punto di vista lavorativo hanno trovato molte più difficoltà dei fuori-corso. In altre parole, per quel che ho visto io, nel mondo della comunicazione la meritocrazia non è uno dei punti forti. Se per voi le amicizie sono più importanti delle conoscenze e delle abilità questo è un altro discorso. Poi non lamentiamoci delle campagne pubblicitarie “fotocopia”, oppure, delle pubblicità che, invece della linguistica e della semiotica, fanno uso del corpo delle donne. Per la triennale ho discusso una tesi (Le Neoformazioni nel Linguaggio Pubblicitario) inerente l’importanza della creatività linguistica nella pubblicità. Nella specialistica la mia tesi verteva su un’analisi semiotico-valoriale di spot e lungometraggi. Vi assicuro che tali studi poco o nulla mi sono serviti: le agenzie pubblicitarie cercano solo gente con esperienza (5 anni), ma se nessuno te la fare l’esperienza… In un sistema bloccato dalle referenze, peraltro, persone come il sottoscritto, che proviene dalla “periferia”, rimangono inesorabilmente fuori dal sistema. Vanno bene le referenze, (intese come eccezione), ma, la normalità dovrebbe essere rappresentata da un sistema dove chiunque possa evidenziare le proprie abilità in un contesto lavorativo consono alla propria formazione. Vanno bene le circostanze fortuite, vanno bene le persone giuste conosciute al momento giusto, specie se si è bravi e meritevoli, ma il punto è che andrebbe costruito un sistema nel quale tutti, in base alle proprie competenze, possano mettersi alla prova dando il proprio contributo alla società. Andando alla questione web design, ho studiato alla Stranieri Comunicazione Pubblicitaria e Design Strategico (Pubblicità e Comunicazione D’impresa 59/S) il mio professore ci ha spiegato solo l’architettura dell’informazione,disciplina interessante ma inutile a livello lavorativo, mentre non ha fatto il minimo cenno al linguaggio HTML o al social media marketing. Un mio amico con la mia laurea lavora come grafico in un’agenzia pubblicitaria internazionale. Questo ragazzo seguiva le stesse lezioni che seguivo io, lezioni estremamente teoriche: la cosa più tecnica che ci è stata detta dal professore di Grafica Pubblicitaria è che Photoshop è un programma di grafica bitmap, mentre Illustrator è un programma di grafica vettoriale. Questo ragazzo però ha seguito un COSTOSISSIMO corso di grafica e grazie a questo corso oggi sta lavorando. Cosa voglio dire con questo: innanzitutto non voglio dire che tutte le facoltà e tutti i professori sono uguali, la maggior parte dei professori che ho avuto svolgevano diligentemente il loro mestiere. Secondariamente voglio dire che molti di coloro che credono di lavorare grazie alla laurea in Comunicazione lavorano in realtà, non grazie alla laurea, ma grazie ai master e ai corsi di formazione, spesso non accessibili (per via dei costi) a tutti. Terzo, e questo è l’elemento più importante, dobbiamo cercare di capire quali sono gli effettivi sbocchi della laurea in Comunicazione? Nelle agenzie pubblicitarie vanno benissimo i grafici con la licenza media, mi chiedo, però, perché le agenzie pubblicitarie preferiscono assumere, come account o copywriter, gente con anni di esperienza alle spalle, ma senza un’accurata formazione semiotico-linguistica. Potremo segnalare, ad esempio, tutte quelle aziende, quegli enti, quelle scuole che operano nel settore comunicazione che fanno selezioni “atipiche”. Ad esempio, mi è capitato di leggere un annuncio dove un comune cercava un addetto stampa con 5 anni di esperienza, tuttavia, a livello formativo non era richiesto alcun requisito. Per far ciò, tuttavia, dovremo prima individuare gli effettivi sbocchi professionali della laurea in Comunicazione, ancora non molto chiari per la verità.

  11. Per Antonella. Ho tre incisi che si rendono necessari dopo il tuo, sacrosanto, commento.
    1) Dubito che mediamente tutti i 23enni di questo mondo lavorino già (nel proprio campo di interessi, tra l’altro) guadagnando abbastanza per poter vivere da soli. Il tutto, mentre stanno ancora studiando e, quindi, teoricamente, mentre dovrebbero canalizzare gran parte delle proprie energie nella direzione universitaria. Io invece ho avuto la possibilità di immergermi nel contesto lavorativo da subito. Quello che voglio dire è che a un 23enne che studia e basta nessuno si sognerebbe di dire «Ancora non ti autosostenti?» perché lui risponderebbe «Ehi ehi ehi, dammi tempo: sto terminando gli studi». E quindi dubito di potermi sentire in colpa, io, che faccio ambo le cose.
    2) Mi pago tutto da solo da anni. Dall’università ai divertimenti, dai vestiti allo sport. E, ti assicuro Antonella, nessun parente facoltoso mi facilita la vita. Tutto ciò che i miei genitori mi garantiscono sono un tetto e i viveri. E, sia chiaro, sono felicissimo che mi forniscano l’essenziale perché l’esser viziati non tempra né mente, né corpo, né spirito.
    3) Spero che mi confermino al lavoro, col sopra citato aumento di stipendio. Già con 700 euro riuscirei a mantenermi e a vivere da solo (una stanzetta in affitto, s’intende). Spero che questo accada, Antonella. Saresti la prima ad essere invitata per una cenetta a casa mia. 🙂

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