Dove porta la rabbia che gli italiani sfogano in rete?

Dopo gli ultimi post – I segreti della casta di Montecitorio e I commenti ai politici su Facebook – ho ricevuto alcuni commenti e messaggi che mi hanno colpita. Come se io volessi togliere alle persone arrabbiate, deluse, frustrate, anche il sacrosanto diritto di sfogarsi in rete. Come se io fossi una snob che, dall’alto di una pace personale raggiunta con chissà quale privilegio, si può permettere di essere perplessa sugli insulti che le persone lanciano in questi spazi virtuali.

Una versione cinico-scettica di questa posizione sta nel commento di Ugo:

«Però non possiamo prendercela con il cittadino che si sfoga, inutilmente. Quale ruolo gli è legalmente autorizzato e accessibile? Chiamato alle urne ufficialmente ogni 5 anni a delegare il potere a partiti che cambiano il proprio nome più spesso della propria classe dirigente, cosa potrebbe mai fare nell’intervallo tra due consultazioni elettorali? Ha diritto alla lamentela, all’ululato notturno che almeno gli sottrae l’esborso di qualche seduta in psicoterapia regalandogli lo sfogo contro vento.»

Gli risponde Monica, con parole in cui mi riconosco anch’io:

«Fare proposte sul web non è facile e Facebook, in questo, non credo sia meglio di tanti altri “spazi virtuali”, spazi dove si fanno due chiacchiere come un tempo nei bar. Due chiacchiere al bar, uno sfogo collettivo, l’esternazione di una sana indignazione e poi, svuotati e liberati, tutti a casa. […]

Lo sfogo sul web, soprattutto quando pilotato, è di supporto al “sistema”. Permette la fuoriuscita della pressione in eccesso senza produrre alcun reale cambiamento, come la valvola di una pentola a pressione. Ti sfoghi un po’, dici qualche parolaccia e torni a casa tranquillo. Niente di concreto, nessun cambiamento, nessuna azione, solo due chiacchiere.»

Ma la difesa più appassionata degli sfoghi virtuali mi arriva in privato da Blue:

«Gentile Prof.ssa Cosenza, seguo il suo blog con grande interesse. In relazione al suo ultimo post “Italia migliore, peggiore o inutilmente rabbiosa?”, può dirmi dove metto la mia rabbia vedendo questo “spettacolo”, oggi, all’interno di un noto policlinico del centro-sud Italia? (vedi foto allegate)

E… di chi è la colpa? Non è della politica?  La rabbia non si respira solo in rete… semplicemente uscendo di casa.  La rete è uno spazio di libertà, di sfogo. Italia. La mia Italia che non posso accettare così mortificata. Sarà probabilmente salvata dalla e grazie alla Rete.»

La rete, cara Blue, «salverà» l’Italia solo se ci alziamo dalla sedia per fare cose concrete. Per organizzare, anche usando la rete, azioni collettive e milioni di azioni individuali coordinate e convergenti. Il che non implica per forza la protesta di piazza (che in Italia, l’ho detto tante volte, di solito finisce in niente), ma può tradursi in petizioni, comitati di protesta, azioni di class action e solidarietà sociale. Che non portano a niente se si resta in pochi. Ma se finalmente si muovono milioni di persone?

Dietro autorizzazione di Blue, ecco due delle foto che ha scattato ieri al policlinico. Cosa si può fare, di concreto, contro questo schifo? Una denuncia alla Asl, per cominciare, anche se è la stessa di cui fa parte l’ospedale. Ma basterà? Clic per ingrandire:

Policlinico 1  Policlinico 2

37 risposte a “Dove porta la rabbia che gli italiani sfogano in rete?

  1. mi sembra che nei suoi interventi, prof.ssa, dimentichi sempre, non so se volutamente, un movimento che , nato dal nulla, alle ultime regionali ha preso trecentonovanta mila voti e ha insediato 34 consiglieri comunali a maggio, sfiorando cifre record proprio a Bologna e Ravenna (la mia città dove ha preso quasi il 9%), molti voti i qualli appartengono a quei cittadini che silamentano sul web e che magari nemmeno votavano piu. un movimento che è nato e si è sviluppato attraverso il web. un caso in cui dalle parole si è passato hai fatti…secondo me..??
    uno studente di SDC

  2. partendo da affinità su FB sono entrata oppure ho costruito gruppi, che agiscono anche sul territorio. Il web non è vano sfogo, usandolo bene diventa realtà costruttiva.

  3. Matteo, non lo dimentico affatto, anzi lo conosco bene e riconosco. Come potrei non? Il problema del Movimento 5 Stelle, però, è che spesso fomenta esattamente l’uso della rete che è meno costruttivo e produttivo.

    Inoltre, non dimentichiamo la forza catalizzatrice che ha avuto e ha tuttora il brand Grillo. Che non è esattamente una pura emanazione della rete, ma nasce ed è tuttora rinforzato da tutto il sistema mediatico tradizionale. E non vale dire che lui è contro i media tradizionali, visto che il suo essere contro è abilmente un esserci dentro come e più degli altri (non scomodiamo l’elefante di Lakoff di nuovo, eh!).

    Poi sono naturalmente d’accordo con te sul fatto che alcune cose buone, dalla massa di rabbia e insulti che ha generato e genera il blog di Grillo siano nate. Alcune. Ma vorrei stimolare la parte più civile e civica della rete, non lo sfogatoio fine a se stesso.

  4. Sono molto daccordo, dal primo Vday lanciato da Grillo c’era questa rabbia mista a voglia di linciaggio che pur nella comprensione non era foriera di buono per pensare ad un cambiamento. L’indignazione ha altre forme e altri modi che sono quelli che tu indichi e che non sono buonismo, ma semmai concretezza e responsabilità, il metterci la faccia e non solo la bocca.
    ciao

  5. Mi ha appena scritto in privato Blue (che non si è mai firmata con nome e cognome e non so minimamente chi sia), che si dice «di stucco» perché lei aveva scritto il nome dell’ospedale e io l’ho tolto. In pratica mi accusa di «filtrare» la rete.

    Per trasparenza, nei suoi confronti e nei confronti di tutti, ecco cosa le ho risposto:

    Blue,
    stavo per scriverti. Non ho fatto il nome perché non posso permettermi una querela per diffamazione. E quelle foto, per trasformarsi in prove, hanno bisogno di aggiunte che non ho. Io non so chi sei, mi hai scritto in anonimato, mentre io sono una persona pubblica. Devo prendere le mie cautele, mia cara Blue.

    Hai tutti gli strumenti per denunciare, in modo circostanziato, ciò che hai fotografato, perché l’hai fatto tu, non io. Ho suggerito, alla fine, cosa si dovrebbe fare.

    Capisci cosa mi becco se il Policlinico in oggetto mi querela per diffamazione? E io a chi mi rivolgo per le prove? Per difendermi? A un’anonima Blue? Da quelle foto non si capisce con certezza che sono di
    quel Policlinico. Ecco perché non ho pubblicato il nome, mica per censurare. Né per paura. Ma per razionalità e conoscenza di come va il mondo.

    Se sai cos’è la rete, come lo so io, non puoi non capire e condividere questa posizione. Sta a te – eventualmente – andare alla Asl – consultandoti prima con uno che abbia studiato legge – e denunciare lo schifo. E scrivere con nome e cognome, per cominciare ad assumerti la responsabilità.
    Mi spiego?

    Quanto alla positività della rete ci siamo capite, credimi, e siamo d’accordo: sono la prima a usarla e viverla tutti i giorni per costruire cose, fare azioni concrete. In università ma soprattutto fuori…
    Ti abbraccio
    Giovanna

  6. OT
    In effetti, Giovanna, il mio commento era cinico e scettico e prendeva le (tue stesse) distanze dalle invettive livorose vomitate senza cervello nei nuovi sfogatoi virtuali.
    Nel tempo ho imparato a conoscere la tua sfida da funambola: l’ottimismo del pessimismo, la speranza senza ingenuità. Leggiamo ciò che hai scritto:

    “La rete, cara Blue, «salverà» l’Italia solo se ci alziamo dalla sedia per fare cose concrete. Per organizzare, anche usando la rete, azioni collettive e milioni di azioni individuali coordinate e convergenti. Il che non implica per forza la protesta di piazza (che in Italia, l’ho detto tante volte, di solito finisce in niente), ma può tradursi in petizioni, comitati di protesta, azioni di class action e solidarietà sociale. Che non portano a niente se si resta in pochi. Ma se finalmente si muovono milioni di persone?”

    Ho un’obiezione: quelle stesse persone sono esattamente le stesse che rappresentano il problema, ognuna persa nel suo quotidiano dare-avere-barattare, spesso inconsapevole di recitare un ruolo attivo e corresponsabile alla disintegrazione di quel sistema sostenibile che a parole e in altri ambiti crede di credere, soprattutto vivendo l’aggravante della propria sedicente e illusoria innocenza. Certo, ci sono categorie anagrafiche che sono vergini in assoluto e non mangiano da nessun piatto. Ma sperare che la società civile sia statisticamente migliore della sua classe dirigente – e ne rappresenti perciò il naturale veicolo di catarsi – vuol dire ricadere nuovamente nello stesso errore che imputiamo agli urlatori accidiosi della rete: vedere un’Italia migliore e una peggiore (il che è di per sé possibile) in cui però il parlante è sempre nella migliore e ritiene di essere in maggioritaria compagnia, sebbene curiosamente stabile all’opposizione eterna delle minoranze.
    La chiamata alle armi la possiamo fare se abbiamo contato una presenza nuova numericamente superiore alla vecchia, capace di rinnovamento e disinfezione ( ripeto: nuova e numericamentre rilevante; il che esclude le giaculatorie mediatiche per i Pisapia o le letture allucinate dei Referendum). Capisco che crogiolarsi nella staticità dell’impotenza non sia consolatorio e abbia addirittura un metifico sapore d’ignavia. Facebook ha in questo caso la funzione della pornografia: seda il violento potenziale.
    Tuttavia il quotidiano agire a tutti i livelli – chi ripulendo il proprio vergognoso cassonetto napoletano, chi facendo un passo indietro nel proprio tariffario, chi dedicandosi al terzo settore – implica proprio l’esistenza di quella cesura: da una parte la corruzione in putrefazione, dall’altra la vita nova.
    Può darsi che abbia torto e che il motto dell’agire di un particolare finisca per indurre un agire generale. Di sicuro è un’ottima terapia per il senso di colpa del singolo che tra l’altro male non fa.
    Putroppo ritengo che il sistema non ammetta soluzioni che non siano, appunto sistemiche e non locali, perché l’alto è sempre rappresentazione del basso, almeno in democrazia, nel bene e nel male. Sempre che non si assuma una visiooen olistica. Non sono d’accordo con l’ultimo Eco che punta sulla società civile. Non sarà da queste pressioni che cambierà la classe dirigente, perché quella classe dirigente è l’architrave dello stato delle cose e anche l’ultimo bidello che lavora nell’ultima scuola di provincia cade se l’architrave cede.
    Classe dirigente che è economica e solo in un secondo tempo diventa politica, perché quando uno Stato ha privatizzato tutto il suo monopolio della forza non può che avere due soluzioni: questuare battendo alla porta di chi ti può finanziare o interpretare sotto forma di comitati d’affari di rappresentazione parlamentare quelle istanze.
    Perciò realisticamente cosa resta di politico per il singolo cittadino elettore tranne lo sputo contro vento? Un movimento cinque stelle? Buone proposte ma per realizzarle ci vorrebbe la forza di un leviatano mentre invece si fa appello a quella stessa cittadinanza che statisticamente non è variata dalla distribuzione dei tempi della DC (per non dire del suo nipotino di Arcore). Il problema del movimento 5 stelle è che la sua raccolta consensi può crescere solo fino al punto in cui non nuoce alle istanze economiche dei suoi singoli sostenitori. Il che vuol dire che non è attuabile in maniera sistemica e perciò non può che limitarsi purtroppo a un meritorio e lodevole ruolo di vigilanza verso l’operato altrui, almeno nelle grandi realtà. Non sto dicendo che sia un male, tutt’altro. Sto dicendo che coloro che si aspettano un di più sono destinati a rimanere insoddisfatti. Ovviamente il discorso non si limita al M5S.

    Ohibò, che china pericolosa ho preso. Cosa sto mai dicendo? Che per dare più democrazia ci voglia un dittatore? Ora che mi sovviene, la democrazia un dittatore lo implica ontologicamente e sempre, secondo i teoremi matematici dei Nobel Arrow e Sen.
    Personalmente preferisco agire a parlare. Ma preferisco ancor di più parlare all’agire se l’agire è un sistema vuoto. A voi riflettere sui (li)miti.
    Non c’è nulla di più triste e definitivo come la morte di un’illusione, giusto?
    Naturalmente queste cose Giovanna le sa benissimo e la sua esortazione a fare piuttosto che parlare per parlare resta valida. La mia può essere l’altra faccia del suo dubbio.

    Scusate l’OT non inerente alla comunicazione.

  7. La rabbia sfogata in rete dagli utenti si può di certo indirizzare in azioni concrete, come ha fatto il movimento CleaNap, nato negli ultimi mesi a Napoli, per ripulire le piazze della città. La rete è utilizzata solo per organizzare le azioni e proporre le nuove piazze da pulire.
    Sono d’accordo con lo sfogo in rete ma sempre di più questo diventa fine a se stesso, molti restano seduti dietro lo schermo a lamentarsi.

  8. Intanto la rete è un’alternativa di non poco conto all’informazione che i media non fanno e alla formazione che la scuola fa con difficoltà infinite. C’è il problema di selezionare la “verità” ma che a me sembra sufficientemente arginato dalle relazioni personali che in rete si stabiliscono e quelle che si hanno oltre la rete e che consentono, nella maggioranza dei casi, le verifiche necessarie, quelle che con i media non si possono fare perché ancora risentono dell’aura, appunto, di verità con la quale si presentano e ci imboniscono e ci disinformano.
    Poi sull’alzarsi dalla sedia sappiamo già che alzarsi per andare in piazza non serve a molto e non serve per gli interlocutori squalificati che abbiamo sia al governo che all’opposizione, compresi i sindacati che stanno perdendo la loro ragion d’essere perché sono diventati in tutto e per tutto organici al potere, pubblico e privato, con il quale infine si accordano e senza la forza contrattuale data dal numero di iscritti, ma in barba a questi e in forza del loro essere forze conomiche, punto (hanno i caf, questa è la loro forza, punto).
    Alzarsi per protestare. C’è una favola al riguardo che ci racconta di come le multinazionali ritirino le loro pubblicità in ragione delle proteste inoltrate. Infatti ne sfornano a iosa di sempre più sottili, raffinate, per così dire e più difficilmente attaccabili perché gli stereotipi vengono confusi in un messaggio che lascia un dubbio velato, mentre agisce nel profondo delle coscienze. E bisognere disambuigare quelli, invece di accontentarsi di un “miglioramento” che ad esempio consiste nel dare l’immagine di una donna che si eccita perché il benzinaio gli sfiora il viso dal vetro con i suoi organi genitali rigorosamente vestiti. Invece non si è neppure capito quale sia lo stereotipo, in quella pubblicità ma l la si è vista come un capovolgimento dei ruoli! Che un uomo si permetta di proporre i suoi genitali sul muso di una che è andata solo a fare benzina e che solo per questo si vede propinare un indiretto invito sessuale no, non è uno stereotipo ma un miglioramento perché il corpo delle donne è vestito come il corpo degli uomini. Perché la sessualità come divertimento e basta, l’occasionalità degli incontri erotici non è uno stereotipo ma un frutto della liberazione sessuale, vero? dei miei stivali! ma per disambiguare quei pregiudizi ci vorrebbe qualcosa che non c’è al livello della coscienza e cioè che se vado a fa rbenizina ho diritto di non essere lambita da allusioni sessuali da parte di nessuno. O no? O la rivoluzione è solo la liberazione dai presunti tabù e diversamente si è moralisti?

  9. @matteo
    Io ricordo invece quando “Per il bene comune”, nel 2008, faceva e diceva esattamante quello che faceva e diceva il M5S. Eppure da Grillo nemmeno un accenno. Questo è l’esatto contrario dello spirito collaborativo della rete. E’ l’anti 2.0 per eccellenza.

    “Per il bene comune” era nato dal nulla. Il M5S no. Grillo era già famoso.

    @tutti
    Meno si fa rumore più si è incisivi.

    La rete aiuta ed è essenziale, ma non può essere l’unica dimensione della nostra vita. Ad un certo punto è necessario alzare il sedere dalla sedia.

  10. Il caso di Blue e delle sue foto evidenzia in buona fede un problema ben rappresentato nei “Promessi Sposi”: gli italiani si aspettano troppo spesso di risolvere i problemi affidandoli a qualcuno più potente di loro. 🙂

  11. Allora non sono l’unica a prendersela con i “rivluzionari da tastiera”: gente che sul web è prontissima a tirare fuori torcia e forcone e linciare il politico di turno ma che se c’è da staccare le dita dalla tastiera diventano improvvisamente agnellini. I modi per lavorare con un piede nella rete e uno nella realtà ci sono, è ora di utilizzarli anzichè limitarsi ad abbaiare alla luna.

  12. Facebook può fare tanto e in modo molto concreto, un esempio?
    Il twestival, un evento di beneficenza che da 4 anni si svolge contemporaneamente in oltre 200 città del mondo. Ci si organizza nel mondo virtuale e ci si ritrova nel mondo reale. Ha già aiutato oltre 250 cause raccogliendo e donando quasi 2milioni di dollari.
    Un altro esempio, molto più piccolo ma significativo?
    La caposala del day hospital della Clinica Pediatrica De Marchi di Milano ha avuto l’idea di raccogliere le figurine di Cars che il mese scorso donava l’esselunga edi darle ai bambini ricoverati. L’appello è stato rilanciato sui Social Network, in breve sono arrivate montagne di figurine e di album tanto da dover mandare un nuovo messaggio chiedendo di sospendere l’invio. Una piccola cosa che ha saputo però donare un sorriso a tanti bambini sofferenti. Se impariamo a usarlo e a usarlo concretamente il web è uno strumento assolutamente efficace e popolato da tante persone che vogliono fare e che aspettano solo il messaggio giusto per contribuire a migliorare il nostro villaggio globale.

  13. Matteo Lei studierà anche al SDC ma HAI FATTI con l’H, ha di per se fatto perdere qualsiasi sua credibilità essendosi anche firmato come UNO STUDENTE.

  14. Chiaritemi le idee. Qui di cosa stiamo parlando, scusate? Dell’affidabilità dei social network nel dimostrare con la velocità di un’affiliazione amicale la passione verso una giusta causa? Della rete come fenomeno di emancipazione politica o come specchio di una società parziale da digital divide? Dei nuovi ignavi qwerty?
    Mi pare che la lamentela sia politica, non una semplice contrapposizione tra il fare e l’agire in generale. Ora, ditemi pure che pulirsi da sé il marciapiede che il comune trascura è un atto politico: se stiamo parlando di ciò, nulla da dire, è un invito invitto. Però come questo si traduca in un riformismo politico mi sfugge, almeno sul breve periodo. Se il vicino di casa ti vede, forse ti imiterà. Discuterà in rete e magari aprirà un blog sui cittadini virtuosi, sensibilizzando il prossimo in una virtuosa epidemia (curioso che anche a livello linguistico siano solo le cattive abitudini a essere contagiose, mai le buone). Alla fine dellla storia tutti saranno consapevoli e indignati verso chi non pulisce i marciapiedi e questo si tradurrà in una richiesta di rappresentanza politica più esigente e quindi più matura. Del resto non è forse il processo che distingue il senso civico di Copenaghen da quello di Napoli?
    Allora diventa chiaro come l’ignavia del nostro virtuale qwerty sia la riproposizione dell’inconsistenza dell’etico arty, e che il suo civismo vuoto porta a una rappresentanza politica dello stesso stampo. Chi è capace di specchiarsi in un politico del nostro parlamento alzi la mano.
    Bene, non credo che in molti abbiano alzato le mani. Ora cambiamo gioco: pensate a un vostro conoscente qualsiasi e ditemi se in parlamento intravedete un suo alter ego possibile. In questo caso sono persuaso che molti tra coloro che precedentemente avevano tenuto il braccio abbassato abbiano alzato la loro mano. La conclusione è ovvia ora per tutti: nessuno si rispecchia in ciò che critica mentre la verità è che ognuno di noi è la critica di qualcun altro. Perciò la politica è un affidabile specchio della società.

  15. LaJe cara mi dispiace se per la fretta ho fatto qualche errore di battitura e mi scuso di aver offeso i Suoi sentimenti.
    quando è con commenti della Sua levatura che si interviene in queste discussioni mi sale una graaan tristezza…poi si è dimenticata di dire che ho scritto “silamentano” tutto attaccato e non ho nemmeno posto l’accento su “piu”, se mi deve correggere almeno lo faccia per bene o rischia di perdere la sua credibilità di professoressa.
    mi dia il suo personale voto in grammatica italiana poi scenda dalla cattedra e magari scriva qualcosa di attinente all’argomento, credo che sarebbe apprezzato da tutti piu di queste lezioncine di italiano.

  16. Siccome sono scettico ma non tollero di essere cinico, propongo io una idea per la quale valga la pena raccogliere un’iniziativa popolare (che come si sa può interessare solo questioni istituzionali) puntando a dimostrare che pensare può essere meglio dell’agire quando l’agire si risolve nella pura metafora o nell’autoreferenzialità. Poiché non credo nella forza francescana del dare l’esempio imitativo, invito chiunque a lottare per una soluzione più teorica in omaggio al fu Saramago. Nel suo saggio sulla lucidità, in verità un romanzo, il grande scrittore portoghese ipotizzava la crisi cognitiva di un governo in carica alle prese con elezioni ove le schede bianche rappresentassero ripetutamente la maggioranza dei votanti. Saramago ci vuole ovviamente indurre a una riflessione su quanto la democrazia tolleri il dissenso legalmente autorizzato in un sistema che non concepisce come categoria possibile la negazione di rappresentatività.
    Da qui traiamo l’idea banale ma efficace: lottare per far sì che le schede bianche non vengano espunte dal computo dei seggi, di fatto essendo oggi redistribuite tra i partiti in proporzione ai voti presi da ciascuno e quindi avendo una funziona di rappresentatività illegittima rubata.
    Un partito delle schede bianche, cui corrispondessero effettivi seggi parlamentari vuoti, sarebbe davvero il mezzo per far sentire le proprie proteste. Primo, i partiti dovrebbero conquistare la maggioranza lottando non solo tra loro ma anche contro il partito della scheda bianca e non è detto che un Governo così riesca a formarsi, costringendo a nuove consultazioni e da qui a una necessità di adeguare la propria offerta politica tarandola di continuo per captare le istanze delle schede bianche, che immaginiamo molte. Secondo, sebbene risultasse in parlamento un’ *assenza* capitanata da nessuna persona fisica, giuridicamente la scheda bianca limiterebbe comunque e di molto il potere effettivo di chi andasse al governo, anche qualora la sua entità non fosse sensibilmente rilevante. Terzo punto, stipendi e rimborsi elettorali sarebbero divisi con questi “onorevoli” fantasmi sottraendo in sostanza fondi agli altri onorevoli che fantasmi lo sono comunque nonostante abbiano nome e cognome. Non ci sarebbe nemmeno bisogno di invocare la riduzione parlamentare, quindi un vulnus giudicato magari ingiusto dalla casta stessa, e quindi non votabile, perché il dispositivo di rappresentazione delle schede bianche otterrebbe lo stesso vantaggio a minor costo politico. Infine aumenterebbe la partecipazione dei votanti perché vedrebbero comunque una rappresentatività istituzionalmente *attiva* del loro voto, in un esercizio di democrazia complessivamente più riuscito.
    Ecco un modo per rendere la democrazia qualcosa di più serio: dove venga “rappresentata” una insoddisfatta richiesta di rappresentazione, il parlamento avrebbe tutti i vantaggi a interfacciarsi con più efficacia con la società civile perché ne andrebbe della sua governabilità e dei suoi privilegi politici ed economici. Allo statto delle cose il sistema elettorale è al contrario organizzato per minimizzare il dissenso, anzi, per renderlo irrilevante emarginandolo completamente dal novero dei propri antagonisti. Come Giovanna ci ha spiegato molto bene, il sistema di persuasione elettorale attuale si fonda sulla ricerca del consenso degli indecisi, giocando quindi al ribasso perché un indeciso è politicamente un superficiale che non riesce a definire la propria richiesta politica o è uno sfiduciato a cui si promette la luna per chiedergli di tornare a darci il voto. Con l’idea proposta finirebbe questo stile di comunicazione politica e ne comincerebbe un altro perché la convinta scheda bianca non identifica il superficiale che evita di andare a votare: al contrario contraddistingue di norma un elettore che conosce l’offerta politica e la rifiuta consapevolmente.
    Da qui gli sfoghi più o meno giusti, più o meno razionali che leggiamo. La rete rende tutto più facile, nient’altro. Nei casi migliori dà uno spazio politico a chi se lo vede negato in parlamento. Nei casi peggiori rappresenta comunque ciò che è già rappresentato in parlamento. Se ci interessa il miglioramento della comunicazione politica, questo avverrà solo quando i partiti dovranno elemosinare il voto da tutti gli elettori; auspicare il partito della scheda bianca sarebbe uno tra i metodi possibili. Altrimenti, per chi ci crede ancora, che democrazia sarebbe con un terzo dei votanti che non si esprime sull’offerta esistente?

  17. Mi piace molto l’idea di Ugo.
    Ripenso spesso a Saramago quando vedo l’ingiusta fine delle schede bianche. Ogni volta che ascolto un politico dire di rappresentare il 40% degli italiani, ripenso a loro, a Saramago e alle schede bianche, alle astensioni e provo a rifare i conti: – “Quanti italiani rappresenta veramente quel signore? Quanti saranno quelli che hanno votato per lui sul totale degli aventi diritto al voto?

    Proporrei di affiancare la sua proposta a quella provocatoriamente contenuta nell’articolo di cui vi allego il link, per evitare che il “digital divide” e il potere ancora imperante della tv possano rallentare troppo il processo di giarigione della nostra “decrepita democrazia”.
    http://www.mentecritica.net/il-falso-in-tv-liberta-di-espressione-del-pensiero-e-diritto-all%E2%80%99informazione/mente-critica/no-one/monica-amici/9954/

  18. Ugo: non sei cinico. Quello stralcio di commento un po’ lo era. 🙂 Saramago… un grande.

  19. La cosa importante non è tanto Spider Truman, quanto questa notizia: è nato il social network anonimo, si chiama ANONPLUS, leggete qua: http://wp.me/p19KhY-GF

  20. Pingback: SpiderTruman non esiste. Come avevamo subito intuito. Dietro c’è Gianfranco Mascia del Popolo Viola e dell’IDV | Informare per Resistere

  21. Sono d’accordo con l’analisi, anche se nel tempo ho maturato una visione ancora più pessimista (spero vivamente che sia smentita dai fatti): l’impressione che ho è che ormai lo sfogo sul web non sia neanche più, per tanti cittadini, un modo per sbollire la rabbia, cosa che sarebbe funzionale alla politica sclerotizzata. La sensazione che ho è che lo sfogo antipolitico sia spesso del tutto casuale, della serie “Se vien fuori uno SpiderTruman mi incazzo coi parlamentari, se aprono un gruppo di link demenziali passo la giornata a guardare Pierino”. Il tutto senza preferenze per l’una o per l’altra cosa.

    L’esposto di cui lei parlava, prof.ssa Cosenza, sembra una cosa da poco, ma nella mentalità comune è diventato qualcosa di gigantesco e, soprattutto, di inutile, un po’ come ogni presa di coscienza civile che non generi un beneficio personale. Recentemente parlavo con uno degli “apatici cronici” che ci circondano della mia iscrizione al Registro delle Opposizione contro il telemarketing. La sua risposta è stata: “Ma è sicura come cosa? Altrimenti devo fare tutta questa fatica senza motivo”. “Tutta questa fatica”… ovvero mandare una mail con dei dati, tuttalpiù ripescando l’ultima bolletta dal cassetto. A questo siamo arrivati, figuriamoci quanto possa pesare un esposto per chi fa parte dei rassegnati.

  22. Caro Ugo,
    a quando risale l`idea di Saramago? Magari hai letto anche tu oggi un vecchio pezzo di Cuore di 20 anni fa, che riporta la stessa idea: http://www.unamanolavalaltra.it/Cuore/Cuore26/pag.04%20-%20Dice%20il%20seggio,%20di%20Majid%20Valcarenghi.jpg
    E`Valcarenghi che copia Saramago, o viceversa? Bella coincidenza, non trovi ?(se di coincidenza si tratta…).

  23. Buon giorno Professoressa,
    Penso che molti italiani siano arrivati a un livello di sopportazione tale che non basti più “ululare alla luna” per sfogarsi e tornare a casa tranquilli.
    Piuttosto in tutto questo tumulto, mi chiedo:
    – In quanti sarebbero, ad avere il coraggio di affermare come me, che sarebbero LIETI ed ONORATI di servire gli italiani con uno quinto dello stipendio e dei privilegi che la nostra classe politica si attribuisce, dichiarando di dover mantenere uno status ed un immagine, facendo però fare la fame al 90% degli italiani?
    – Oppure per molti sarebbe più facile raggiungere un posto di potere e difendere i privilegi con le unghie e l’inganno?

  24. Discussione affascinante, che persino se fosse inutile sarebbe da considerare utile…….Parliamo, esprimiamo una opinione, tiriamo fuori il risultato delle impressioni dal mondo che ci circonda…..e, diciamo “la nostra”. Qualcuno pensa che, sarebbe bene una rivoluzione (?) Altri che le rivoluzioni ci hanno regalato questo presente. Altri parlano di un partito degli “astenuti” . che giä esiste ma non ha rappresentanti in parlamento (interessante surrealismo sul partito dei Non esistenti)…..Personalmente vado democraticamente a Votare e a volte, democraticamente a Protestare…..ad una pietra preferisco il Voto……quest’ultimo lo posso cambiare, ritirare indietro (la pietra no anche se sbaglio mira). Insomma, tutto resta nell’ambito della mia personale comprensione del “Giusto” e soprattutto della mia visione delle vere e uguali (per tutti), Necessitä per vivere o, sopravvivere dignitosamente…….Certo e’ che l’uomo scelto tre volte a regnare…..non ha le mie necessitä…..mi chiedo se chi lo ha scelto, ci ha guadagnato (almeno e’ un motivo valido)….e mi chiedo se chi non scelse lui e neppure un altro…..adesso vive all’estero e non e’ costretto a subirne le conseguenze…..E’ Bella L’Italia , vista dai Turisti…..(tranne per quelli che arrivano dall’Africa)..Prima o poi, si ritornerä a “scegliere” dei nuovi governanti……sono curioso di sapere quanta sapienza in piü hanno acquisito, anche attraverso la rete, gli Italiani…..cosiddetti onesti…..G. emigrante

  25. @Giovanna
    I commenti cinici servono a disintossicare. Il morso del serpente si cura anche sputandone via il veleno. 😉

    @Enrico Marsili
    Non ho letto l’articolo di Cuore di 20 anni fa. L’idea di un partito delle schede bianche è piuttosto ovvia e banale per tutti (infatti ci sono arrivato anch’io). Saramago non “copia” Valcarenghi. Il suo romanzo non parla di un partito delle schede bianche e non si cura nemmeno delle conseguenze parlamentari di una maggioranza “bianca”. L’aspetto intrigante del suo testo è che non c’è alcun accordo tra i cittadini e ciascuno decide autonomamente di votare scheda bianca senza che appaia mai una sola motivazione del perché. Non si parla mai delle ragioni che spingono una maggioranza di votanti a fare quella scelta rivoluzionaria ma silenziosa, inaccettabile eppure costituzionale. Da qui il raptus di un governo che giungerà a misure repressive pur di mantenere l’ordine delle cose, trattando da sovversivi i compilatori di schede bianche.

  26. @Ugo
    L`idea e`cosi`banale che non ci avevo mai pensato… Meglio tornare al mio bancone! Grazie degli ulteriori dettagli.

  27. Per fare la rivoluzione riformista delineata da Ugo (suoi post di ieri) occorre:
    – un leader politico con una sua squadra compatta che s’impadronisca di un partito (come fece Craxi col PSI) 35 anni fa, o qualcosa del genere;
    – un think tank
    – e una rete di militanti che l’appoggi.
    La rete è pronta a costituirsi, grazie anche ai social network.
    Il think tank, in larga misura, c’è già: http://www.lavoce.info/ e vari esperti del movimento ItaliaFutura.
    Politici capaci e disponibili a un progetto del genere ci sono pure, specialmente nel PD. Devono solo coagularsi in un gruppo coeso intorno a un leader credibile. E’ quest’ultima condizione prinicipalmente, a me sembra, che stenta a realizzarsi.

  28. Gli eventi dell’ultimo mese mi lasciano perplesso.
    Quella fascia più o meno (ma sempre più) ampia di italiani che sono ostili alle classi politica e dirigente che guidano l’Italia da anni sono reduci da una grande vittoria, quella referendaria, che al di là del contenuto tecnico dei quesiti aveva posto le basi per una ridefinizione dell’agenda politica, per tornare a parlare di temi concreti, e con argomenti nuovi. L’esito del referendum sembrava dire che il malcontento in Italia aveva trovato una strada meno rabbiosa dei moti di piazza greci e più costruttiva delle occupazioni degli indignados spagnoli. E, last but not least, dimostrava che anche in Italia l’uso politico della rete andava oltre la semplice lamentela per diventare uno strumento fondamentale.
    Com’è possibile che l’entusiasmo per quel trionfo si sia spento così velocemente per far spazio a questo senso di impotenza, a questa rabbia senza azione? Certo, i leader dell’opposizione partitica hanno fatto di tutto per far crollare l’entusiasmo tra liti e gelosie, il governo non ha mostrato di recepire il messaggio delle urne, ora soffiano anche i venti del fallimento economico del paese… Eppure fa comunque impressione.
    Forse, nonostante si dica tanto che i nostri politici sono tra i peggiori dell’occidente, il punto è che gli italiani sono tra i popoli che hanno interiorizzato di più la democrazia rappresentativa. Non abbiamo i town meeting, i bilanci partecipativi dei comuni sono stati una fiammata al tempo del movimento new-global e niente più, i referendum locali sono quasi più inguaiati di quelli nazionali. Di tanto in tanto c’è un picco di partecipazione, come appunto a giugno per acqua e nucleare, ma non sono gli inizi di movimenti popolari, ma messaggi mandati alla classe politica per cambiare rotta. Se ci sono partiti e leader in grado di recepire il messaggio e metterlo in pratica, allora ci sono le premesse per un cambiamento reale, in caso contrario tutto resta come prima. Siamo così abituati alla delega politica a ogni livello della vita pubblica, persino alle riunioni di condominio, che anche quando i rappresentanti sono davvero pessimi l’unica azione di massa è tentare di cambiare la rappresentanza, ma sempre nelle forme e nei modi decisi da chi è ancora(to) al potere. E per il resto del tempo, cahier de doleance.

    (intendiamoci, io non sono uno di quelli che dice che la democrazia rappresentativa andrebbe sostituita del tutto con quella diretta; i limiti fisici e etici di quest’ultima sono ben noti a chiunque consideri il tema senza paraocchi. Ma resta il punto che la qualità di una democrazia rappresentativa si misura anche con gli spazi di partecipazione diretta di cui godono i cittadini)

  29. @ Ugo

    Chi è capace di specchiarsi in un politico del nostro parlamento alzi la mano.
    Bene, non credo che in molti abbiano alzato le mani. Ora cambiamo gioco: pensate a un vostro conoscente qualsiasi e ditemi se in parlamento intravedete un suo alter ego possibile. In questo caso sono persuaso che molti tra coloro che precedentemente avevano tenuto il braccio abbassato abbiano alzato la loro mano. La conclusione è ovvia ora per tutti: nessuno si rispecchia in ciò che critica mentre la verità è che ognuno di noi è la critica di qualcun altro. Perciò la politica è un affidabile specchio della società.

    Credo si dovrebbe aggiungere un’altra alzata di mano.
    “Pensate a un vostro conoscente qualsiasi e ditemi se lo vedreste bene in parlamento, se pensate sarebbe meglio di quelli che ora siedono su quegli scranni”.

    Credo che molti avranno alzato la mano. Credo che molti abbiano molte belle persone da proporre per il parlamento. Il problema è che pochi “prepotenti e cattivi”(passatemi la semplificazione) sono capaci di cacciare via moltissimi “buoni e onesti”, e forse proprio a causa della loro bontà e onestà.
    I “cattivi” si alleano, hanno obiettivi personali molto forti a motivarli e spingerli e usano mezzi pesanti per raggiungerli.
    I “buoni” ho l’impressione si facciano cacciare dai cattivi e non riescano nè a coalizzarsi, nè a combatterli adeguatamente.
    L’entrare in certe lotte ripugna a tal punto all’onesto da farlo desistere.

    “La politica e il fato dell’umanità vengono forgiati da uomini privi di ideali e di grandezza. Gli uomini che hanno dentro di sé la grandezza non entrano in politica” (Albert Camus)

  30. Scusate la lunghezza del commento e l’eventuale superficialità dell’OT

    @Skeight1985
    Bell’intervento; tuttavia devo confessarti che la tua sorpresa deriva da un’errata percezione statistica di quelle istanze che tu credevi (e forse credi ancora) maggioritarie rispetto a altre. Qual’era l’Italia costruttiva che sarebbe uscita dai referendum di Giugno, scusa? È una percezione tua e dei quotidiani che leggi(amo). O si forma un partito (ma la legge sui lauti rimborsi elettorali ci insegna che se è facile rimanervi una volta entrati in parlamento, è molto oneroso e rischioso cercare di entrare a farne parte visto che non ti pagano per tentare ma solo per ri-tentare) o si chiede agli esistenti di rappresentare quelle istanze. Ma quanto e da chi sarebbero politicamente fattibili quei programmi e sopratutto a quale prezzo e contro chi? Sono richieste politiche o Fate morgane di una calda giornata d’estate? Si vuole capire oppure no che la varietà delle richieste politiche funziona come un pantografo della corrispondente distribuzione di ricchezza? E che quindi non è possibile aggregare queste richieste esistenti o far convergerle verso questi obiettivi perché ognuna di loro vive e prospera in contrasto economico con altre, e non sono compatibili né hanno coerenza interna una volta esplicitate. Però qui si torna ai fondamentali: se tu produci il pane e io la salsiccia possiamo usare la logica del baratto o contabilizzarne il valore monetario in funzione della produttività reciproca. Quando poi introduci beni immateriali come i servizi devi decidere quando mi costa quell’ora di consulenza. Gli ingenui diranno che è il mercato a fare il prezzo, inconsapevoli del fatto che in un mercato a concorrenza ideale paradossalmente si avrebbe un risultato non dissimile da un sistema a pianificazione economica; il medico prenderebbe uno stipendio non lontano dall’operaio e proprio per una logica della domanda e dell’offerta che si equivarrebbero perché l’esubero dei medici produrrebbe un abbassamento del costo prestazione. Ma questa è accademia: nel mondo reale la tua lotta quotidiana è sfruttare ogni metodo (cartelli, lobbies, albi, titoli legali, costi, prelazioni…) per mantenere e innalzare la sproporzione ingiustificata tra il tuo prezzo-ora e quello altrui. Poi vedi l’imprenditore e il precario assieme in piazza, il ricco e il povero, tutti intenti a condividere le stesse parole, illusoriamente persuasi per quel giorno di stare dalla stessa parte. E ti domandi meditabondo per quale motivo, una volta rincasati nel loro privato, non si realizzi nulla di quella promettente unione di piazza o di rete.

    @Ben
    Per quel che vale provo a dirti la mia su quale verso prenderebbe quella ossimorica “rivoluzione riformistica” che poi è esattamente ciò che sta facendo il governo e che farebbe anche l’opposizione. Partiamo dal presupposto che qualunque parte politica cianci di redistribuzione, equità, innalzamento dei redditi bassi sta mentendo perché se è questo ciò che davvero si vuole l’unica soluzione è il prelievo forzoso da beni mobili e immobili in proporzione al proprio patrimonio personale. Si fa un bel decreto retroattivo contabilizzato con la valuta di sei mesi prima, così nessuno può correre ai ripari. Il resto sono parole vuote perché tutti gli altri metodi proponibili implicano il solito ricatto dell’aumento della torta PIL per cui si può aumentare a te non toccando l’altro. Pura fantasia da dopoguerra. Naturalmente non sto auspicando l’avvento di questo insulto alla sacralità della proprietà privata che sarà l’ultima a essere sfiorata, rendendo quindi irrilevante ogni cambiamento effettivo.
    Ti faccio un banale esempio. Avrai sentito la buriana che ha circondato il provvedimento (già esecutivo per decreto) sull’aumento esponenziale del costo dell’imposta bollo sul dossier titoli del proprio conto corrente, aumenti che possono arrivare dai 34 euro di oggi ai 1000 e passa (nel 2013) in caso di capitali significativi. Purtroppo ho controllato la giurisprudenza che regola i contratti di diverse banche con cui intrattengo i miei modesti rapporti scoprendo che non caricano i miei strumenti finanziari nei rapporti di dossier amministrato ma su certificati cumulativi (al momento esclusi dall’applicazione di imposta). Vedi? Non solo vale la regola che fatta la legge trovato l’inganno ma addirittura l’inganno precede e prevede la nuova legge, che viene così svuotata di gran parte della sua efficacia. Risultato: nessun aumento per chi è “furbo”.
    Ma tutta la strategia del riformismo rivoluzionario si incunea sull’estensione del parametro della speranza di vita. Naturalmente solo gli sciocchi confondono la speranza di vita con l’età media a cui si passa a miglior vita ma tant’è. Raccontando agli italiani che la speranza di vita si allunga si giustifica una pensione tardiva e si abbassano i coefficienti. Dire che la mia generazione di trentenne andrà in pensione a oltre 70 anni vuol dire che molti non vedranno il traguardo e sopratutto non vedranno che parte dei contributi versati.
    Mi ha sempre colpito la trasparenza comunicativa delle gaffes di quel grande filosofo che ancora risponde al nome di Rocco Buttigilione e che forse è ancora in vita perché il suo Dio attende che produca qualche idea degna di essere ricordata al fine di raccomandarlo almeno in Purgatorio. Una volta se ne uscì in uno dei suoi soliti attacchi agli omosessuali con un argomento rivelatorio: gli omosessuali non possono unirsi in matrimonio perché non hanno diritto alla pensione di reversibilità. Alla domanda sul perché, Rocco rispose che poiché l’omosessuale non potrebbe dare biologicamente alla luce un figlio allora la sua pensione verrebbe pagata dai figli delle altre coppie, rubando di fatto il vitalizio pensionistico. Buttiglione aveva dato per scontato che tutti sapessero che i propri contribuiti finanziano i diritti del presente altrui e che solo incastrando la prossima generazione si avrà la tutela dei propri.
    Nel frattempo il Governo abbasserà con metodo omeopatico i diritti di ciascuno. Il riformismo rivoluzioanrio permetterà il mantenimento del sistema ma a costo della diminuizione drastica del welfare, manna che fu possibile nei bei tempi andati, e nei modi erogati, solo in quanto permesso dal progressivo ricorso al debito e non in quanto concedibile da un sistema sostenibile. Se vuoi capire quale sarebbe il nostro *reale* tenore di benessere attuale, sottrai a ogni italiano, neonato, malato carcerato,menomato, immigrato, disoccupato una cifra di poco più che 40000 euro. considerando che c’è gente che non possiede nulla la media implica che qualcuno debba pagare decisamente di più. Ma ciò ti dà il senso del delirio a cui il nostro sistema è dovuto ricorrere fin dagli anni ’70 del fine boom per pagarsi il sarto su misura e far sfigurare il vestio dell’altro sistema in piena guerra fredda, quello che aveva le pezze al culo.
    Mi sto rendendo conto di non proporre soluzioni accettabili a quasi nessun lettore. Ma non è colpa mia, è colpa della Pace. Se non ci facciamo guerre tra di noi per 70 anni di fila e vogliamo continuare un modello economico basato sulla rapida sostituzione dei beni, come facciamo? Se nessuno ci distrugge la casa come faccio a retribuire il muratore che finanzia il cementificio che ingrassa l’industriale che paga le tasse, con cui si stipendia la professoressa, e le evade per compensare la chef che scuce per il branzino pescato dal marinaio che così onora il mutuo trentennale per l’appartamentino in periferia e che però non paga gli alimenti alla ex moglie che ha un figlio piccolo per cui paga la retta dell’asilo andando a lavare i pavimenti in quella casa appena ricostruita…

  31. Peccato non ricordi gli estremi precisi di un monologo, che ho sentito, mi pare un anno fa, alla radio, in auto.
    Lo “omaggio liberamente” qui di seguito: l’autore me ne scusi per l’imprecisione e lo prenda come una benevola citazione.
    Tale monologo era a sua volta un omaggio a “Io mi chiamo G”, di Giorgio Gaber, solo che era pensato a 40 anni di distanza e descriveva un dialogo fra padre e figlio. Di seguito riassumo un brano che mi ha colpito:
    – (Padre) Il mio papà, quando c’era qualcosa che non andava, scendeva sempre in piazza con le bandiere.
    – (Figlio) Il mio papà, quando c’è qualcosa che non va, scrive sempre sul blog di Beppe Grillo.

  32. Vorrei provare a fornire un altro esempio, sebbene datato, di uso manipolatorio della rete. Forse è un po’ fuori tema, ma chiarisce bene cosa intendo per “molte persone di valore” cacciate da poche che ne possiedono meno, di valore.
    http://www.meetup.com/Grilli/boards/thread/4282043/0/

    Per chi poi avesse voglia di approfondire il tema:
    http://www.fainotizia.it/inchiesta/le-liste-civiche-di-beppe-grillo

  33. @ Ugo
    Grazie per i tuoi interventi. E’ stato un vero piacere leggerti.

  34. Hai perfettamente ragione, siamo un popolo di arrabbiati da poltrona che quando si muove lo fa per protestare contro il nemico di turno, in piazza gremite da (troppi) slogan e (poche) idee concrete da perseguire.

    Anche io credo poco alle piazze soprattutto finchè non avremo capito che fare il bene comune quotidianamente, nel lungo periodo, porta benefici.

  35. Ugo, come sei pessimista! Le guerre non hanno mai arricchito le nazioni moderne, le paci (lunghe e a tassazione ridotta) sì.
    [per quanto paci di quel genere, secondo alcuni, conducano a guerre]
    Trovo comunque corretta l’ unica ricetta che proponi come seria: tagliare il welfare (ssssst).
    Esaurita la capacità d’ inflazionare (anni 70) e quella d’indebitarsi (anni 80), non resta che quello.
    Aggiungo del mio: tagliare le regole.
    Una volta individuata la ricetta bisogna poi mettere a punto la “comunicazione”. Lavoro improbo per Giovanna e colleghi! Una vera sfida.
    Si potrebbe inaugurare il bluff chiamando il secondo taglio “liberalizzazione”. Che ne dici, suona bene?
    Le tasse? Certo, si puo’ manovrarle come specchietto per le allodole, ma nella sostanza, al livello in cui siamo, meglio non toccarle se non con un saldo all’ ingiù. Specie quelle sul capitale (è il più veloce a scappare), specie sulle imprese (sono le più adatte a produrre), specie sui ricco (è il più idoneo ad arricchire il prossimo). 
    ***
    E perché mai chiamare gaffe quella di Buttiglione? Ci ricorda solo che le pensioni sono una catena di sant’ Antonio. Quando da giovane mi venivano proposti affari di quel tipo la mamma mi metteva in guardia: sono solo “stronzate”.
    Ci siamo infilati in una “stronzata” che funziona finché funzione e mezza Italia campa su quello, mica sui fantomatici “diritti”. E allora, ritoccare come si vuole i parametri non dovrebbe urtare nessuna sensibilità, se non quella del portafoglio.
    Detto così invece urta ma, se la sostanza c’ è, i “comunicatori” potranno vendere bene la faccenda.
    E poi, dai, su ste tasse scolastiche, su sti ticket. Ma sul serio! Chi potrebbe opporsi con qualche argomento degno senza imbrogliarlo via con il problema della povertà?
    Il week end scorso, per mia disgrazia, l’ ho passato in una pediatria “di montagna” con la bimba ricoverata per accertamenti. Dopo due giorni di degenza solitaria (letti, sale giochi, tre infermieri a disposizione, brande per entrambi i genitori) mi congedano a costo zero.
    Ma come, siete sull’ orlo del fallimento, vi vogliono far chiudere e non mi chiedete neanche 10 euro? Me ne sono andato incazzato in tabaccheria a farmi subito una ricarica da 150 per consolarmi. Alla macchinetta di fronte un pakistano, più incazzato di me, aveva appena buttato i suoi 150 e chiedeva di cambiare al bancone.

  36. Ugo, concordo con quello che dici. Ma secondo me trascuri aspetti importanti, e per questo forse il tuo ragionevole pessimismo non lascia spiragli altrettanto ragionevoli.

    Ci sono varie possibili riforme ‘riorganizzative’ di vari settori della società italiana che non inciderebbero immediatamente e pesantemente sugli interessi di categorie sociali ben definite. Quindi non si scontrerebbero con un’opposizione sociale insuperabile. Potrebbero passare, e avrebbero effetti molto incisivi nel medio e lungo periodo.
    Consentirebbero una ripresa della crescita, e quindi faciliterebbero una bella riduzione del debito, con effetti a cascata molto positivi.

    Un esempio è la riforma dell’Università iniziata dalla Gelmini, che potrebbe proseguire nella stessa direzione, ma in modo via via più deciso. Un altro è la riforma del mercato del lavoro proposta da Ichino, che l’Europa potrebbe finire per imporci.
    Buone idee girano fra i riformisti “di sinistra” e “di destra” – dove le due etichette contano abbastanza poco.
    Molte proposte di importanti riforme a costo zero, definite nei dettagli, sono state avanzate dagli esperti di lavoce.info.

    Su che cosa si debba fare per rilanciare società ed economia italiana c’è un largo accordo fra molti esperti italiani, ben inseriti nei gangli principali di economia e politica. Diagnosi e terapie già ben definite.
    Questo è un fattore cruciale, da non sottovalutare. Per dire, nella Russia di Gorbaciov, Eltsin e Putin, questo mancava e forse manca ancora.

    Forse sono io troppo ottimista, ma credo che anche nella società civile italiana ci sia una minoranza non trascurabile, pronta a mobilitarsi a sostegno di una linea di questo genere, incisivamente riformista. Non pochi dei partecipanti a questo blog ne sono un esempio, a cominciare da te.
    Una minoranza socialmente attiva, anche solo un 5% della popolazione italiana, sarebbe più che sufficiente. Trascinerebbero facilmente un 50%.

    Manca ancora un’iniziativa politica all’altezza. Ma condizioni e spazio ci sono. Perché mai non potrebbe partire?

  37. Pingback: SpiderTruman non esiste. Come avevamo subito intuito. Dietro c’è Gianfranco Mascia del Popolo Viola e dell’IDV | Valigia Blu

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.