Chi ha paura di Nichi Vendola?

Sicuramente il Pd, che sale o scende a seconda di quanto Sel scende o sale: quando nei sondaggi scende il Pd, sale Sel, quando scende Sel, sale il Pd. Ne parlavano pure ieri sera a «Porta a Porta» Vespa, D’Alema, Alfano e il direttore del Tempo Sechi, commentando e confrontando gli ultimi sondaggi di Renato Mannheimer, Alessandra Ghisleri e Roberto Weber.

Ebbene, per tutti e tre gli istituti di ricerca gli elettori del Pd vedrebbero molto bene un’alleanza del Pd con Sel e Idv, come nella fotografia di Vasto. Con una speciale predilezione per Sel.

Bersani, Di Pietro e Vendola a Vasto

Ma D’Alema naturalmente vuole convergere con l’Udc. E mentre Vespa, Alfano e Sechi lo guardavano straniti, mentre altri sondaggi gli mostravano che gli elettori dell’Udc, invece, vogliono in maggioranza o stare soli o al massimo convergere con il centrodestra, lui ripeteva che non si occupa di sondaggi, ma di politica.

Come se i sondaggi, per quanto fallibili e discutibili, non servissero a far capire ai politici cosa pensano gli elettori e le elettrici. Ah già, è proprio questo il problema: D’Alema non se ne occupa perché i sondaggi gli ricordano che ci sono persone, là fuori.

E vabbe’. Allora colgo l’occasione per postare l’articolo su Vendola che ho scritto per Alfalibri di ottobre, il supplemento libri di Alfabeta2. È una recensione del bel libro di Elisabetta Ambrosi: Chi ha paura di Nichi Vendola? Le parole di un leader che appassiona e divide l’Italia, Marsilio, 2011.

Chi ha paura di Nichi Vendola?

Nichi Vendola è uno dei leader più spiazzanti degli ultimi anni. Mitizzato o demonizzato, pare non lasciare spazio a posizioni sfumate: o lo si adora o lo si detesta. Da quando poi, nel luglio 2010, si è proposto come leader del centrosinistra nazionale ribadendo più volte questa intenzione, gli animi si sono ancor più infiammati: alcuni lo vedono come il salvatore, colui che farà uscire la sinistra dalle sabbie mobili, altri come un narcisista, uno che racconta favole e non andrà da nessuna parte.

Poiché com’è noto le polemiche aiutano a vendere, l’editoria italiana ha cavalcato il fenomeno, sfornando nell’ultimo anno una decina di titoli in cui appare il nome Vendola: come autore, coautore, soggetto intervistato, o come oggetto di studio monografico.

In questa proliferazione, il lavoro più interessante è senz’altro Chi ha paura di Nichi Vendola? Le parole di un leader che appassiona e divide l’Italia (Marsilio, marzo 2011, 190 pp.) della giornalista Elisabetta Ambrosi. Interessante perché cerca di approfondire il caso Vendola al di là degli estremismi e lo interpreta alla luce dei più recenti studi di comunicazione politica e politologia. Non ci troviamo insomma di fronte all’ennesima agiografia, ma a uno studio da cui traspare una preparazione che affonda, a leggere la biografia di Ambrosi, in un dottorato in Filosofia politica. È dunque su questa solida base che l’autrice legge alcune nozioni chiave della proposta politica di Vendola, come bellezza, corpo, diversità, emozioni, lavoro, laicità, popolo e diverse altre.

Il libro, dicevo, è non è affatto agiografico, ma tradisce comunque la simpatia dell’autrice per Vendola. Una simpatia che però non le impedisce di focalizzare con lucidità un nodo fondamentale che – concordo con lei – Vendola deve ancora sciogliere, quello del «suo vero partito di riferimento: un partito di minoranza che sostituisca la vecchia Rifondazione, oppure una nuova coalizione democratica, come tanti dei suoi simpatizzanti sperano?» (p. 45). È proprio per rispondere a questa domanda che nell’ultimo anno anch’io, come semiologa e studiosa di comunicazione, ho riflettuto sul linguaggio di Vendola, su quelle sue indubbie doti comunicative che l’hanno portato alla ribalta nazionale. Ed è sempre pensando a questa domanda che vorrei aggiungere a quanto i lettori troveranno nel libro di Ambrosi tre ulteriori spunti sul modo in cui Vendola comunica: i primi due, per un leader che voglia guidare il centrosinistra nazionale, sono vantaggi; l’ultimo invece è uno svantaggio.

1. La forza principale del linguaggio di Vendola è aver introdotto in politica il corpo e i temi della fondamentali della vita. Vendola parla di ambiente, scuola, università, lavoro, sempre tenendo conto del modo in cui le persone li vivono tutti i giorni e mai dimenticando che, nel viverli, tutti provano emozioni: dolore, amore, tristezza, gioia, speranza. Inoltre parla di emozioni mostrando sempre anche le sue: si agita, si commuove, suda, ride, si appassiona. È per questo che appare autentico: non parla solo di emozioni, ma le esprime senza vergognarsene. E poiché le emozioni – come hanno mostrato gli studi dello psicologo statunitense Drew Westen che anche Ambrosi cita – sono in ultima analisi il motore delle scelte di voto, la comunicazione politica non può prescinderne.

2. Vendola ha un’abilità linguistica superiore alla media e una singolare capacità di produrre metafore, ossimori, chiasmi che diventano facilmente, anche con l’aiuto dei comunicatori di cui si circonda, slogan semplici e vividi. Valga per tutti l’esempio delle Fabbriche di Nichi, una metafora appunto, che furono chiamate anche «eruzioni di buona politica» in occasione dei loro stati generali nel 2010: una seconda metafora che si riferiva all’eruzione del vulcano islandese qualche mese prima. In particolare il linguaggio di Vendola produce a ciclo continuo quelle che la retorica chiama «figure per aggiunzione»: ripetizioni, liste, climax, e così via. Dunque moltiplica simboli, oltre che parole, e li accumula in modo anche contraddittorio: mette assieme Cristo e «Bella ciao», Aldo Moro e il subcomandante Marcos, la Bibbia e Marx, il gay pride e il femminismo, la taranta pugliese e i social network. Avvolto in questa nube, Vendola seduce i suoi e confonde gli avversari, compiace chi coglie tutti i vari riferimenti, ma riesce a ipnotizzare pure chi non li capisce e pensa «com’è bravo lui, come vorrei essere lui».

3. Il suo difetto principale sta nell’esagerare col lessico colto e nell’usare una sintassi logica e grammaticale involuta, a tratti simile a quella del burocratese e politichese di vecchia maniera: troppi incisi e frasi subordinate, troppi riferimenti dotti e divagazioni. Ma in vista dell’obiettivo nazionale Vendola deve prepararsi a parlare a tutti, non solo ai giovani più idealisti, ai vecchi più nostalgici e agli intellettuali più delusi dal Pd. Deve insomma scegliere una volta per tutte di uscire dalla nicchia che votava Rifondazione per rivolgersi alla platea più ampia che può votare una coalizione di centrosinistra. Il che vuol dire parlare anche alle persone economicamente e culturalmente più deboli, che dalla foresta di simboli possono uscire confuse, non affascinate; anche agli elettori attratti dalla Lega, che vogliono parole concrete e pochi fronzoli; anche ai moderati, che troppi appelli al subcomandante Marcos possono spaventare; anche infine agli indecisi, anzi soprattutto a questi, perché sono loro che oggi decidono le elezioni, ma allo stato attuale sono più inclini a rifugiarsi nell’astensione o nei toni antipolitici di Grillo e Di Pietro che nell’affabulazione di Vendola, che gli appare come l’ennesima malia di una politica infida.

La sfida, allora, se Vendola vuole avere qualche chance di guidare il centrosinistra nazionale, è ripulire la sua lingua dai residui di burocratese che la incrostano e dagli eccessi immaginifici che la gonfiano, per semplificarla e renderla più trasversale, senza però farle perdere potere evocativo e carica emozionale. Perché è pur vero che le questioni complesse non vanno banalizzate, ma la quadratura del cerchio che spetta oggi a una sinistra che si voglia davvero vincente è combinare la concretezza con la capacità di volare alto, nelle parole e nei contenuti, ed è spiegare la complessità in termini semplici. Insomma la vera sfida per la sinistra italiana è parlare davvero a tutti, una buona volta, non ai soliti pochi di sempre.

11 risposte a “Chi ha paura di Nichi Vendola?

  1. il linguaggio di Vendola, con il suo lessico scoppiettante e le sue metafore ardite, mi ricorda quello di Bonolis!

  2. La lingua di Vendola è un’auto-pompa in azione contro la scarsezza culturale della lingua berlusconiana.

  3. Concordo con Giovanna.
    Aggiungerei una cosa, che pure riguarda la comunicazione di Vendola.

    Ammettiamo che Vendola, come candidato e poi al governo, debba far passare le riforme che l’Europa ci sta imponendo. Riuscirà a conciliare il suo stile di comunicazione con questo?
    Ho l’impressione che chi ora lo “adora” gli si rivolterebbe contro. Ma forse sottovaluto le sue capacità di comunicatore e la flessibilità dei suoi sostenitori.

    Ovviamente questo problema non sussiste se il prossimo governo potrà ignorare le richieste europee.

  4. Scusate l’ OT ma il commento di Ben mi fa pensare.
    Parlate spesso di “abile comunicatore”, ma, uscendo dalle fredde considerazioni positivistiche, io non ho capito ancora bene se ci si riferisce a una qualità da supportare o a un difetto da estirpare.
    Non ho nemmeno capito bene se per chi interviene esista cio’ che io do’ per scontato, ovvero una “sostanza”. Condividiamo una filosofia realista?
    Se Vendola, mi riallaccio a Ben per fare solo l’ ultimo esempio, grazie alle sue doti di “bravo comunicatore” riesce a far passare presso i suoi elettori la “ricetta europea”, a mio avviso li turlupina.
    In questo caso “bravo comunicatore” è sinonimo di “mistificatore”.
    Sì perché l’ elettore tipo di Vendola è sostanzialmente contrario alla ricetta Draghi.
    Siamo d’ accordo sul fatto che in politica le buone riforme siano quelle che, responsabilizzando gli interessati, tolgono peso alla “comunicazione” risvegliando la razionalità? Sì perché, quanto più ci rivolgiamo ai “distratti”, tanto più acquisisce valore la “buona comunicazione”.
    Era solo una curiosità.

  5. Giovanna, non posso che concordare con te. E da meridionale, da calabrese che ama e conosce bene una delle terre di Nichi -il Salento- ti dirò, che a Vendola non basterà il “labor limae” su incisi, metafore erudite e logica stringente…..
    Vendola, dovrebbe innanzi tutto chiarire la sua opinione su tanti argomenti, a cominciare dal suo rapporto con la fede cattolica e tutto ciò che ne consegue su grandi temi, quali laicità della istituzioni pubbliche, bioetica e rapporti con Cei e Vaticano. Gli italiani hanno imparato negli ultimi anni ad apprezzare la passione e la capacità straordinaria di Nichi di evocare emozioni e sentimenti per trasmettere la sua personale visione della politica: ma temo che “la narrazione” di Nichi cominci lentamente a perder forza e a sfaldarsi di fronte alla straordinaria urgenza dell’attuale crisi socioeconomica che il Paese vive all’interno del contesto europeo e globale.
    Nichi deve chiarire innanzi tutto a sé stesso cosa davvero vuole fare per il Paese, tanto c’è già il PD a ripetere il mantra vuoto del “cambiamo l’Italia”: il Paese ha bisogno di una classe dirigente che voglia davvero scardinare le sacche di privilegio, che favorisca la mobilità sociale e un welfare universale, che abbia idee innovative nei campi dell’istruzione, della ricerca e dei rapporti dello Stato e della PA con le imprese. Ci serve una classe dirigente che non abbia timore di veti incrociati e ingerenze Vaticane, o che continui a ragionare secondo logiche partitocratiche, per cui cambia maggioranza e allora piazziamo quanti più fedelissimi sia possibile nei posti che contano, il famoso spoil system de no’antri….
    Insomma Giovanna, la “narrazione” su Nichi, è complessa e purtroppo la mia tendenza a divagare non mi aiuta….
    Se dovessi dare a Nichi un consiglio, sarebbe quello di essere concreto, di dar prova della proprie convenzioni laiche ed ecologiste, di non dare false speranze ai precari di questo Paese, ma di chiarire quali misure potrebbe adottare per favorire la mobilità sociale nel Paese…..
    Grazie Giovanna e scusami se mi sono dilungato tanto!

  6. oppps…C’è un tremendo refuso nelle ultime battute del mio commento:
    “convenzioni” al posto di “convinzioni”
    Ciaooo! 😛

  7. Broncobilly, in politica molti vogliono cose che credono essere nel loro interesse, ma non lo sono, e talvolta possono essere disastrose.
    Questo semplicemente perché società ed economia funzionano in modi complicati e controintuitivi. Ciò vale non solo per i cittadini più ingenui, ma anche per quelli più sofisticati e politicizzati. Me incluso. 😦

    Un bravo leader politico DEVE comunque fare leva su ciò che molti desiderano. Vendola ci riesce abbastanza bene. Questa è la parte emotiva.

    Deve poi anche convincere i suoi sostenitori a seguire le vie praticabili per arrivare il più vicino possibile alle mete desiderate. Questa è la parte razionale, che in Vendola mi sembra che ci sia poco.

    Le due parti possono essere conciliabili oppure no.

    Mi sembra difficile che Vendola riesca a proporre una versione della ricetta Draghi in accordo con la sua ‘narrazione’. Se però ci riesce, perché chiamarla ‘mistificazione’ e non ‘persuasione’?
    La sua narrazione, in fondo, non è logicamente incompatibile con le riforme richieste dall’Europa. Solo molto dissonante. Però chissà.

  8. @ Ben,

    mi reputo un sostanzialista, ovvero ritengo che le parole della BCE facciano riferimento a una certa “sostanza”, così come le parole di Vendola.

    Ritengo anche che le due sostanze a cui ci si riferisce nel caso specifico siano diverse.

    Poiché non è possibile che due sostanze diverse coincidano, se le “arti comunicative” di Vendola riuscissero nel miracolo parlo di “mistificazione” poiché si tratterebbe di un’ illusionismo con cui inganna il suo elettorato (naturalmente escludo “conversioni”).

    Ora, si puo’ dissentire da me sostenendo che in realtà il messaggio della BCE (tagliare stipendi e dipendenti pubblici, tagliare le pensioni, privatizzare il privatizzabile e favorire la flessibilità in uscita) e quello di Vendola NON siano affatto sostanzialmente differenti. Che si tratta in fondo dello stesso piatto cucinato in modo diverso.

    Oppure si puo’ dissentire osservando che la “sostanza” non esiste. Poiché esistono solo le “retoriche”, ovvero discorsi infinitamente duttili, una convergenza è sempre possibile e complimenti a chi riesce nell’ impresa. E in merito aggiungo che il fatto che la visione di Vendola venga chiamata “narrazione” anziché “pensiero” mi insospettisce.

    ***

    Quanto al politico paternalista, spero che sia definitivamente espulso dalla politica. Magari il tecnico…

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