Studi Scienze della comunicazione o Semiotica? Un altro esempio positivo

Ragazzo manga

Ogni volta che pubblico la storia di qualche giovane che, dopo aver studiato Scienze della Comunicazione o Semiotica, è riuscita/o a inserirsi nel mondo del lavoro rapidamente e con soddisfazione, il mondo si divide in due: quelli che mi accusano di creare illusioni agli studenti, perché i problemi sono tanti, i successi pochi, la vita è dura bla-bla-bla; quelli che apprezzano la mia insistenza sulle storie positive, perché in tempi di crisi sollevano il morale e contribuiscono a produrre altri casi positivi. Fra l’altro, ogni volta che pubblico la storia di “qualcuno che ce l’ha fatta”, nel giro di qualche giorno me ne arriva un’altra. Ecco il caso di Andrea:

Buonasera Professoressa, continuo a seguirla sul suo blog e volevo contribuire a gettare una luce positiva sul futuro dei giovani laureati in Scienze della Comunicazione (e Semiotica). Mi piace l’ottimismo che viene fuori dai racconti dei ragazzi che “ce l’hanno fatta”.

Mi sono laureato in Scienze della Comunicazione con lei nel 2010, e mi sono specializzato in Semiotica a marzo del 2013. Dopo un mese “sabbatico” ho iniziato a cercare lavoro, non avendo alcuna intenzione di frequentare Master o simili. Ho fatto molti colloqui a Bologna e in provincia, alcuni con aziende serie e altri con gente che cercava polli da spennare. Mi sono state fatte proposte indecenti (“tirocinio” di 4 mesi full time con retribuzione mensile di 150 euro!), che ho sempre rifiutato: fortunatamente ho una famiglia alle spalle che può mantenermi, e non volevo degradare il valore dei miei studi (e mio personale).

A luglio mi contatta un’azienda alla quale avevo inviato un cv. Mi presento in sede e dopo un po’ il direttore mi fa un discorso franco: mi spiega che in questo momento non possono offrirmi alcuna garanzia, ma se voglio posso collaborare con loro durante gli orari che mi sono più comodi (senza un minimo settimanale orario), fare così esperienza e imparare un mestiere; nessuna garanzia, ma la possibilità che in un futuro prossimo, più roseo per l’azienda, avrei potuto diventare un collaboratore a tempo pieno.

Capirà le mie perplessità di fronte a una proposta del genere: sembrava l’ennesima presa in giro, ma piuttosto che stare fermo (terribile) decido di accettare: in fondo non è stressante, ho gli orari che voglio e posso imparare qualcosa, oltre a fare curriculum. Decido di “crederci” insomma. All’inizio mi occupo della gestione dei social network e dell’archivio digitale. Dopo un po’ di tempo la fiducia nei miei confronti cresce, e le responsabilità aumentano, così come gli stimoli lavorativi. L’azienda inizia ad andare meglio. Io imparo qualcosa stando a contatto con il “capo”, lavoro fino a metà luglio e poi da metà agosto a metà settembre. A quel punto mi viene proposto un contratto di collaborazione con un rimborso mensile fisso di 500 euro, più gli introiti a provvigione. Non è certo il paradiso, ma è il mio primo lavoro, mi permette di mantenere la mia autonomia (ho un minimo di 20 ore settimanali da distribuire quando voglio io), e per un part-time ho prospettive di guadagno interessanti.

Vorrei dire a chi studia Scienze della comunicazione o Semiotica che la nostra laurea ci dà una serie di strumenti spesso meno visibili rispetto ad altri corsi di studio, ma certamente non meno preziosi: ci insegna come relazionarci con gli altri, come leggere determinate situazioni, non ci inquadra in un ruolo fisso ma ci permette di “trasformarci” all’occorrenza. Non l’ho specificato prima, ma l’azienda per cui lavoro si occupa di franchising: certo non è quello che avevo in mente quando ho scelto di fare Scienze della comunicazione, ma sono sempre stato aperto a qualsiasi possibilità. E questo è certamente merito del mio percorso di studi. Spero che la mia storia possa essere utile ad altri. La saluto cordialmente, Andrea

P.S. Mi piace sottolineare anche il fatto che, oltre a decidere da me gli orari da dedicare al lavoro, ho potuto mantenere la mia “identità visiva”: capelli lunghi e orecchini. E secondo me è un dettaglio importante.

21 risposte a “Studi Scienze della comunicazione o Semiotica? Un altro esempio positivo

  1. ok le “succes stories”-a quando però le “horror stories”,per dire,quelle dove non andata così?ne conosco parecchie..(scusate l’ironia “nera”)

  2. Davide: ho pubblicato anche quelle… si vede che sei stato disattento. E quando le ho pubblicate, puntualmente qualcuno ha commentato che non si può diffondere negatività e tristezza eccetera eccetera eccetera. Come vedi i polemiconi fine a loro stessi stanno da entrambe le parti… 😉

  3. leggo da u mese o poco piu: ricordo”disaster stories” più nel senso esistenziale di studenti non ancora laureati o laureati da poco:non piu d tanto su(secondo me ,piu interessante) gente che aveva facciato duramente il post laurea dal punto di vista lavorativo

  4. “Vorrei dire a chi studia Scienze della comunicazione o Semiotica che la nostra laurea ci dà una serie di strumenti spesso meno visibili rispetto ad altri corsi di studio, ma certamente non meno preziosi: ci insegna come relazionarci con gli altri, come leggere determinate situazioni, non ci inquadra in un ruolo fisso ma ci permette di “trasformarci” all’occorrenza.”

    Davvero. Ha detto una grande verità.
    Bravo Andrea!

  5. La laurea in Scienze della Comunicazione ormai è diventato un talent show. Se da Amici sono usciti personaggi come Emma e Alessandra Amoroso, se da X Factor sono usciti personaggi come Marco Mengoni e Chiara, dal talent Scienze della Comunicazione è uscito Andrea.
    Fin qui nulla di male, ma la laurea in Comunicazione è una laurea, con tanto di valore legale; il comunicatore che lavora dovrebbe essere la regola e non l’eccezione. La laurea, a differenza dei talent, è una cosa seria. Un’analisi vera e propria, con tanto di prognosi e diagnosi, non è mai stata fatta sulla nostra laurea. Le inchieste Almalaurea? Da quando nel 2009 mi sono laureato ho lavorato solo 3 mesi: per le statistiche Almalaurea io ho trovato lavoro a 3 anni di distanza dalla laurea…
    Io mi sono battuto e continuerò a battermi per combattere le discriminazioni subite da noi laureati in Comunicazione. Gli enti pubblici cercano consulenti in Comunicazione senza laurea, ma con esperienza decennale.
    Le scuole cercano per i progetti Pon esperti in Scrittura Creativa laureati in Lettere e non in Scienze della Comunicazione ed esperti in Comunicazione Sociale senza laurea, ma con esperienza decennale.
    “Grazie” al Ministero della Pubblica Istruzione con la nostra laurea non possiamo insegnare Teoria e Tecnica della Comunicazione.
    Sulle aziende devo dire che ho inviato migliaia di curriculum, pochissime (3-5) le risposte; raramente ho ottenuto la conferma di lettura, per cui probabilmente le aziende neanche li leggono le e-mail.
    Dobbiamo batterci per ottenere il VERO riconoscimento legale della nostra laurea.
    Dobbiamo batterci affinché le scuole assumano esperti in Comunicazione in possesso di laurea in Comunicazione, dobbiamo batterci affinché gli enti assumano consulenti in Comunicazione laureati in Comunicazione, dobbiamo batterci affinché i dottori in Comunicazione possano insegnare nelle scuole pubbliche Teoria e Tecnica della Comunicazione.
    Storie come quelle di Andrea vanno raccontate, vero, ma è evidente che tali storie, per la loro isolata eccezionalità, evidenziano una problematica, che andrebbe approfondita, e non una risorsa.
    Cordialmente.

    Dario Milazzo

  6. Sono d’accordo con Dario Milazzo e sento il bisogno di lasciare questo commento per sottolinearlo. Bisognerebbe battersi per queste incoerenze.

  7. Dario e Claudio, non vorrei sembrare supponente (anzi no, mi piace essere supponente e un po`carogna). L`epoca della laurea come pezzo di carta e`finita, oggi le aziende cercano saperi e competenze. Si puo`avere anche una laurea in Comunicazione Spaziale o Semiotica dei Media che Usciranno l`Anno Prossimo, quello che conta sono saperi e competenze, spendibili sul mercato. Alcuni laureati di SDC ce la fanno, e mi sembra di capire che hanno proprio saperi e competenze come raccconta il caso di Andrea.

  8. Io sono tra quelli che apprezzano molto le storie di successo postate da Giovanna (mentre farei volentieri a meno di quelle negative, non perché gli insuccessi non vadano raccontati ma perché spesso vi trovo un’elevata dose di autocommiserazione, vittimismo e mancanza di principio di realtà). Non penso che il presentare storie di successo sia in contraddizione con quanto richiesto da Dario. Nelle storie proposte fin qui non vedo un successo “da talent show” ma piuttosto la testimonianza che nel mondo attuale, se si hanno competenze e intraprendenza (non le une senza l’altra o viceversa), trovare un lavoro rispondente alle nostre capacità non è necessariamente una missione impossibile, vale la pena provarci, sapendo anche adeguarsi ed evolversi (se si è troppo rigidi si diventa protagonisti di storie di fallimento come quella della redattrice che si ostinava a voler lavorare in casa editrice anche se in condizioni da schiava). Per me il bello di queste storie è il fatto che mostrano come l’elemento individuale, pur in un mondo del lavoro nel quale sempre meno ci sentiamo persone (un po’ perché è vero, un po’ perché ce la raccontiamo) comunque ha un suo peso. Questo dà una fiducia concreta.

  9. Scusate ma un lavoro con un fisso di 500 euro più eventuali provvigioni in quale paese sarebbe una cosa che ti consente di mantenerti? Chiariamo sono molto contenta per Andrea, ma come lui stesso dice ciò che gli consente di fare quel che fa è il fatto di avere una famiglia alle spalle. Occorre certo tenere anche conto del mercato del lavoro che in questo momento davvero inquietante per quel che mi riguarda non offre certo granché di meglio, ma credimi Andrea senza la famosa famiglia alle spalle e con un affitto da pagare nessuno può fare la vita che fai tu. Non mi sembra ci sia un grande successo in questa storia.

  10. Ciao Claudia, sono d’accordo con te: 500 euro di fisso mensili non mi possono certo permettere di mantenermi da solo. Però faccio presente che lavoro 20 ore alla settimana; le restanti posso dedicarle ad altre attività, se non ad un secondo lavoro part-time. Ipotizzando un altro part-time a 500 euro/20 ore siamo a 1000 euro mensili con 40 ore settimanali. Considerando che ho 24 anni ed è la mia prima esperienza lavorativa, 1000 euro mensili netti non mi sembrano male. Permettimi poi una precisazione sulle provvigioni: senza entrare troppo nel merito, stiamo parlando di provvigioni di buon livello (se ne becco una raddoppio lo stipendio). Quindi, non voglio dire che la mia sia una storia di successo, ma certo mi rende orgoglioso: ho trovato un impiego con le mie forze, senza aiutini, faccio qualcosa che mi piace e ho un sacco di tempo da poter spendere come preferisco. Probabilmente ho ancora una mentalità universitaria, ma per come sono messo in questo momento posso ritenermi soddisfatto della mia situazione 🙂

  11. Caro Andrea, concordo col tuo commento. Considerando che è un part time che ti gestisci tu e che è il primo lavoro e considerando la realtà storica in cui viviamo (con quarantenni plurilaureati pagati meno di te per lavorare in un call center) direi che parti bene! Continua a voler migliorare e a essere così propositivo!

  12. Ciao Andrea, perdonami non volevo in alcun modo sminuire quel che fai, apprezzo moltissimo soprattutto la tua voglia di fare, tanti altri sarebbero passati oltre senza pensarci perché non sufficiente, e due lavori troppa fatica ecc ecc. Come giustamente poi dice Ilaria, e facevo notare anche io, in questo momento storico dell’Italia non ci si può aspettare molto di più. Io parlo credo per amarezza personale. Mi sono laureata in Semiotica nel 2006, oggi ho un buon lavoro ma quel che mi ha consentito di trovarlo è stato il successivo master in marketing che sono riuscita a fare grazie ad una borsa di studio e non la mia laurea. Quando, fresca di laurea, mandavo i cv per lo più non rispondevano e la maggior parte delle persone con cui arrivavo a parlare non sapeva neppure cosa fosse la semiotica. Quel che dici è molto bello: noi impariamo a pensare, ed è vero, ed è poi questo che mi ha consentito di fare cose mai studiate e delle quali poco mi interessava. Al mercato del lavoro tuttavia questo non importa e sembra che per noi i posti riservati siano sempre secondari. Io mi rendo ben conto che in azienda un ingegnere gestionale serve più di un semiotico ma nell’epoca dei mass media, dei Social Media , del tutto media insomma non può esser vero in tutte le aziende ed ambiti. Eppure nessuna casa editrice, nessun giornale, nessuna tv delle mille cui avevo mandato cv mi ha chiamato. Per non parlare dell’impossibilità di restare all’università a fare ricerca con un minimo di stipendio che ti consenta di vivere, cosa che sognavo di fare. Spero che un giorno, quando e se l’Italia uscirà dal buco nero in cui si trova, ci sia posto anche per noi senza necessariamente doverci reinventare in qualcosa di nuovo. Se tuttavia si considera che quasi mai si riesce a fare il lavoro che si sogna e che per la maggior parte un lavoro diventa tristemente solo qualcosa per mangiare, almeno per una parte della mia vita ho potuto nutrirmi di quel che amavo, i miei neuroni ringraziano sentitamente il dipartimento di semiotica 😀

  13. Intervengo solo per dire che a mio avviso le “success stories” che Giovanna pubblica non hanno certo pretesa di insegnare ad essere ottimisti, o cviceversa non spingono illudersi; semplicemente possono essere un bello spunto su come muoversi (o non muoversi) quando ci si affaccia, da laureati in SdC, in questo mondo del lavoro così complicato.

  14. Se vuoi fare il medico devi avere una laurea in Medicina, se vuoi fare l’avvocato devi avere una laurea in Giurisprudenza, se vuoi insegnare Lettere devi avere una laurea in Lettere, se vuoi fare il “Comunicatore” basta un qualsivoglia diploma o, quando è necessario la laurea in “Scienze della Formazione”, parlo del caso “Teoria e Tecnica della Comunicazione”. Dico questo per smentire Enrico che ha detto una serie di banalità, e luoghi comuni travisando il mio commento e la realtà dei fatti.
    Va detto poi che le abilità di Andrea, per quel che ha scritto lui, nulla hanno a che fare con la laurea in Comunicazione.
    Le abilità di Andrea sono abilità relazionali innate e non abilità acquisite studiando insegnamenti teorici quali Sociologia della Comunicazione, Linguistica Generale, o Filosofia del Linguaggio.
    Tornando ad Enrico devo dire che il negazionismo non ha mai fatto bene. Non bisogna mettere la testa sotto la sabbia, facendo ragionamenti populisti, qualunquisti e infondati (basta leggere quello che ho scritto all’inizio del post) ma bisogna fare analisi oggettive, valutazioni, proposte e riflessioni, cosa che da tempo faccio io..
    Solo facendo così potrà cambiare qualcosa, dobbiamo lottare per i nostri diritti, ma per far questo dobbiamo essere oggettivi e dobbiamo analizzare seriamente il sistema delle professioni, il sistema delle classi di concorso, il sistema dei Pon.
    Dobbiamo parlare di questo, devono farlo i giornali nazionali, ma non diciamo che i giovani devono inventarsi il lavoro altrimenti facciamo populismo, parliamo della legge 150 (quella sugli Uffici Stampa), parliamo della già ricordata classe di concorso A-58, parliamo del fatto che L’Ordine dei Giornalisti Italiano è l’unico Ordine Professionale europeo al quale è possibile accedere anche senza essere laureati.
    Parliamo di leggi, di riforme, di bozze, ma non parliamo a vanvera, siamo dottori, dimostriamolo facendo discussioni colte e fondate.
    Cordiali saluti.

    Dario Milazzo

  15. Dario, belle parole, vogliono anche dire qualcosa?

  16. A me quello che preoccupa più di tutto è che si consideri una storia di successo “un contratto di collaborazione con un rimborso mensile fisso di 500 euro, più gli introiti a provvigione”.

    Io ho scelto la strada del giornalismo dopo la laurea in SdC, e questa storia di successo mi dà la stessa sensazione di quando mi sento dire. “Ah, collabori con … e ti pagano anche? Buon per te”. Da quando la retribuzione del lavoro è diventata un optional, un privilegio?

    Come se la disoccupazione fosse la norma, il lavoro non retribuito la buona opportunità, il lavoro sottopagato il successo e uno stipendio che ti renda autonomo un’utopia ormai irraggiungibile.

  17. Ciao Silvia, ti invito a leggere il mio commento che trovi poco sopra, in cui spiego quello che è per me il “valore” reale della mia esperienza, al di là dei 500 euro 😉

  18. Caro Andrea,
    lungi da me sminuire ciò che hai raggiunto e l’impegno che ci hai messo. Io, da freelance, spesso porto a casa meno dei tuoi 500 euro, eppure ogni pezzo che esce con il mio nome ancora mi entusiasma.

    Detto questo però, né la mia né la tua sono, perdonami, storie di successo. E se lo sono, allora davvero c’è qualcosa che non va. Perché 500 euro non ti consentono di essere autonomo. E un eventuale secondo lavoro alle stesse condizioni – stessa paga e stessa flessibilità – ammesso che tu lo trovi, ti toglierebbe quella libertà che per te è giustamente così importante e ti lascerebbe con uno stipendio che non sarebbe comunque sufficiente a permetterti una vita dignitosa.

    Non voglio rovinare la festa a nessuno qui: se non avessi ancora la speranza e l’entusiasmo di quando ho iniziato – e una famiglia che può sostenermi quando non arrivo a fine mese – avrei già rinunciato a fare il lavoro che amo.

    Però, per dovere di cronaca a appunto, bisogna chiamare le cose col proprio nome. Quello che stiamo descrivendo con le nostre esperienze è un sistema da cui giovani con talento ma senza disponibilità economica ancora rimangono esclusi. Perciò questa per me non è una storia di successo, ma di lavoro sottopagato.

  19. Tranquilla Silvia, non ho letto nel tuo intervento (nè in quello di Claudia, qualche riga sopra) nessuna volontà di sminuire! Però ho specificato che non ritengo proprio che la mia possa essere una storia di successo (autocitandomi: “quindi, non voglio dire che la mia sia una storia di successo, ma certo mi rende orgoglioso”). Il successo è un’altra cosa. Però, Propp ce lo insegna, tutte le storie hanno un’inizio e una fine, e la morale solitamente la si ricava a giochi fatti. Per quanto mi riguarda, e ripeto che è la mia considerazione personale, la mia storia lavorativa è all’inizio; se tra vent’anni dovessi trovarmi nella stessa situazione allora ci sarebbe poco da stare allegri. Ma visto che ritengo di essere all’inizio – e non alla fine – della mia storia lavorativa, mi piace pensare che un esordio di questo genere possa portarmi ad avere dei buoni traguardi in futuro. Ci penserà poi il tempo, che si dice sia galantuomo, a farci vedere le cose con più chiarezza. Io volevo solo dare un segnale positivo ai ragazzi che leggono 🙂

  20. E questa sarebbe una storia di successo? Uno che con due lauree comincia a lavorare gratis e poi dopo un po’ di tempo (non si capisce quanto) aumentando il proprio lavoro raggiunge i 500 euro mensili lordi è una storia di successo? Preferiso non commentare.

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