Piazza mediatizzata, violenza spettacolarizzata

In questi giorni molti lamentano il modo in cui il 15 ottobre a Roma è trattato dai media: troppa attenzione alla violenza e poca alla maggioranza di manifestanti pacifici, si dice. Vale la pena allora riassumere considerazioni che su questo blog abbiamo fatto altre volte.

In Italia, come in tutto il mondo, la piazza non esiste se non è mediatizzata: senza opportune riprese televisive e copertura stampa, senza insistenza mediatica sull’evento, la piazza nasce e muore in poche ore. Demonizzare i media, allora, ha poco senso: senza di loro la mobilitazione di piazza esiste solo per chi ci va e chi se la vede sotto casa. Per tutto il resto del mondo no.

La pratica dello «scendere in piazza» è ormai inflazionata, usurata. In Italia, poi, lo è in particolar modo. Dalle manifestazioni No Global dei primi anni 2000 a oggi, lo è ancor di più: a destra come a sinistra tutti prima o poi sono scesi in piazza, dalle grandi organizzazioni di partito e sindacato ai gruppi e gruppuscoli indipendenti, da Berlusconi coi suoi sostenitori alle associazioni animaliste.

Perciò è molto più difficile fare notizia scendendo in piazza oggi, di dieci anni fa: chi si limita a manifestare si guadagna al massimo un frammento di telegiornale.

Per guadagnare più spazio sui media, ci sono vari modi:

  1. Portare in piazza molte, moltissime persone. Ma bisogna farlo davvero, non solo dichiararlo: il giochetto degli organizzatori che gonfiano le cifre (un milione, due) e la questura che le sgonfia (100, 200 mila) c’è sempre stato, a destra come a sinistra, me si è accentuato negli ultimi anni. Fra l’altro, evidenziare i contrasti fra le cifre è ormai diventato un genere giornalistico. Vedi La retorica dei numeri.
  2. In assenza di grandi numeri, si possono fare cose strane, originali. Ma poiché di cose strane in piazza, dal ’68 a oggi, ne abbiamo viste tante (nudo, maschere, carri variopinti), giocare al rialzo comporta rischi di illegalità e idiozia di massa.
  3. Fare qualcosa che sia davvero nuovo, creativo, è sempre più difficile: bisogna usare il cervello, lavorare in staff, saper gestire in modo oculato i tempi, i modi e gli equilibri delicatissimi della sorpresa. Non a caso, le stranezze di piazza riescono bene a professionisti della comunicazione come Greenpeace. Ma ci vogliono soldi, uno staff preparato (gli addetti alle azioni spettacolari di Greenpeace si allenano per mesi, anche fisicamente) e un’organizzazione capillare. Non a caso, negli ultimi anni i flash mob e le stravaganze di piazza sono passati dal sociale al commerciale, andando a finire nel guerrilla marketing. Ma anche in questo caso l’usura è già arrivata: nessuno si stupisce più per un balletto in piazza e bisogna inventare cose nuove.
  4. In assenza di creatività (su questo vedi anche Roma 15 ottobre, il grado zero del senso, di Annamaria Testa), la violenza in piazza è un modo sicuro per guadagnare spazio sui media. Ed eccoci arrivati agli scontri di sabato.

Attenzione però: non sto dicendo che gli scontri avessero come obiettivo consapevole di guadagnare l’attenzione dei media. Sto dicendo che, ogni volta che in una manifestazione ci sono scontri, i media ci si tuffano sopra perché mostrare la violenza, il fuoco, il sangue è uno dei modi principali per vendere più copie e alzare l’audience. La ripetizione e l’usura sono in agguato anche su queste immagini forti. Ma se la violenza sta sotto casa nostra, per un po’ l’attenzione è assicurata.

Dunque c’è poco da lamentarsi, i media funzionano così perché sono gli esseri umani a funzionare così: dove c’è sangue guardano.

Ecco perché le prime pagine di ieri erano tutte identiche. Ed ecco perché la violenza in piazza va assolutamente prevenuta, da parte di chi organizza una mobilitazione: innanzi tutto per evitare feriti o, peggio, morti; ma anche per impedire che si mangi tutta l’attenzione dei media. Anche per una ragione comunicativo-mediatica, dunque, non solo etica.

Detto questo, ora che la frittata è fatta, è necessario porci problema degli effetti che immagini come queste qua sotto – che continueremo a vedere per almeno una settimana anche in tv – avranno sulla politica attuale, sul governo e sull’opinione pubblica: abitudine? rabbia irrazionale e ulteriore violenza? spinte alla conservazione in nome della sicurezza? rafforzamento del governo Berlusconi?

È su questo che bisogna ragionare oggi. Non tanto per l’oggi, ma per il «che fare» prossimo venturo.

Ecco le copertine di ieri, quasi tutte con la stessa fotografia: giornali moderati, di destra e di sinistra (clic per ingrandire):

Corriere 16 ottobre Repubblica 16 ottobre  Stampa 16 ottobre

Sole 24 Ore 16 ottobre LIbero 16 ottobre   Giornale 16 ottobre  Unità 16 ottobre

18 risposte a “Piazza mediatizzata, violenza spettacolarizzata

  1. Sono d’accordo su tutta la linea – per cui penso, che in termini politici queste immagini non cambieranno molto, se non fornire un alibi per la persecuzione di un fantomatico capro espiatorio. Dal basso invece, che te lo dico a fa, suggeriscono possibilità di emulazione pazzesche. Com’è coreografico quello la della foto riprodotta ovunque! Come è estetico, un fico che fa parlare di se, anche se non dice niente.

  2. “Dunque c’è poco da lamentarsi, i media funzionano così perché sono gli esseri umani a funzionare così: dove c’è sangue guardano.”
    – – –
    Se vogliamo ragionarci sopra occorre andare un po’ oltre: funziona così perché c’è “desiderio” di sangue.

  3. Infatti, luziferszorn: proprio per questo un’amica giornalista mi suggeriva una decina di minuti fa di togliere quella frase, perché apre un altro scenario, tutto da approfondire.

    Resta vero che il “sangue” è una delle “esse” che fanno notizia: soldi, sesso, sangue, ecc. Nelle scuole di giornalismo si chiamano “criteri di notiziabilità” e si spiegano in modo molto articolato (senza la faccenda delle “esse”, che è una banalizzazione). Nel caso dei giornali di ieri, la notizia era la violenza, per un misto di ragioni.

    D’altra parte, ometterla non sarebbe stato possibile, pena l’accusa di “edulcorare” la piazza. O, peggio, di non fare il proprio mestiere.

    Insomma, da quella notizia in prima pagina non si scappava. E chi organizza una mobilitazione deve tenerlo in considerazione. Mica poi lamentarsi che i media parlano solo della violenza…

  4. ‎”Dunque c’è poco da lamentarsi, i media funzionano così perché sono gli esseri umani a funzionare così: dove c’è sangue guardano.” E’ con questo stesso spirito che nella Grecia del V secolo a. C. gli spettatori riempivano i teatri dove si mettevano in scena le tragedie (la televisione del tempo). E’ il fenomeno della catarsi, ben descritto già da Aristotele nella “Poetica” e, più di recente, ripreso da René Girard ne “La violenza e il sacro” (testo peraltro in tal senso illuminante). Per il resto condivido in toto l’analisi intelligente e fuori da tante banalizzazioni…

  5. Verissimo e giusta analisi. Ad esempio in UK hanno messo tende nella City….ed i Media se ne occupano! Ovvio la cosa fa notizia.
    Dire ai media che non avremmo dovuto occuparci degli scontri e danneggiamenti di ieri…e’ un po voler inmporre una censura fascista. Non si prla di fatti negativi.
    Se avessimo riportato solo cio’ che ieri c’era di positivo….pensate alle ire che ci saremmo tirati contro. Oppure a quel punto avremmo potuto parlare anche del gatto della Sig.ra Maria che ad Aosta aveva attraversato la strada sano e salvo.
    Esiste poi un discorso commerciale…..noi produciamo cio’ che i nostri Editori chiedono…che e’ cio’ che la gente compra.
    Purtroppo…vende piu’ il Grande Fratello che il documentario sulla vita delle balene…Il sedere di Belen che la Vita del Tintoretto ED il sangue vende piu’ del gatto della Sig ra Maria.
    Facile accusare i Media…ma voi che giornale avete comperato oggi?? Aveva foto di Violenze dovevate lasciarlo all’edicolante e mandare un messaggio…I giornali sono imprese commerciali sull’orlo della bancarotta pubblicano cio’ che vende.
    Io avrei preferito essere ad Aosta che a Roma a prendere sassate!

  6. Queste immagini non esprimono affatto la violazione dei cuori della gente che abita a San Giovanni e nei dintorni. Si sottolinea la violenza fine a sé stessa e non quella inflitta alla gente comune, come me, che vede distrutta parte della vita di ogni giorno… vede a ferro e fuoco il proprio quartiere, quello in cui è cresciuto, ciò che ha imparato ad amare per quanto questo sia definito un paese di merda.

    Si sparge sangue e si guarda il sangue… ma questo sangue chiedetevi a chi appartiene!

    (scusa il commento un po’ – troppo – pensonale… magari per chi non si è mai trovato il proprio quartiere sotto assedio più interessare questa versione che di solito i giornali tralasciano.)

  7. Io però mi chiedo perché solo in Italia è finita così. Stiamo tanto peggio degli altri? Abbiamo usato la piazza più degli altri e pertanto altrove no è così logora? Perché una maifestazione, quando l’esempio di New York mostra la funzionalità del sit-in e dell’accampata?
    A Londra ci hanno tenuto chiusi per due ore in una piazza senza poter andare al bagno o semplicemente a casa, senza dare spiegazioni e senza drici quando sarebbe finita. La violenza non è praticamente scattata, a parte una decina (letteralmente) di individui. Per questo i media si occupano delle tende e di Assange e io mi sono impressionato vedendo il numero di gionralisti in mezzo alla piazza intervistare praticamente tutti.

    Adesso, a me viene da dire che la tattica di guerriglia è controproducente. Conosco la rabbia di queste persone e capisco il ragionamento soggiacente la loro strategia, ma mi sembra che la loro tattica sia tanto logora e usurata come la grande manifestazione.

    E aggiungo, che siamo qui a parlare di manifestazioni, di violenza e non violenza, di partiti incapaci e tecnocrazie, ma forse dovremmo parlare di decrescita ed economia ecologica, di come evitare i tagli sociali, di come federare l’Europa o lasciarla perdere, perché quello di cui c’è davvero bisogno non è una nuova forma di portesta, ma nouvi paradigmi politici e proposte concrete.

  8. Forse si potrebbe distinguere tra la motivazione-vendita e quella di produrre proprio certi effetti.

    @Marco: io non ho avuto voglia di comprare nessuno di questi giornali. Piuttosto di cercare in rete altre immagini da chi c’era, e diffonderle a mia volta.

  9. Posso aggiungere la mia firma sotto il post? Con la postilla di Laura A. Grazie.

  10. mi chiedo una cosa..ma come mai 5 giornali su 7 (tra i più venduti) hanno usato la stessa identica foto?

  11. Segnalo l’articolo di peacereporter http://it.peacereporter.net/articolo/31044/Italia%2C+scontri+a+Roma%3A+scatta+la+caccia+agli+%27incappucciati%27, che secondo me offre un breve compendio di come anche nel giornalismo esistano delle distinzioni. Non è detto che un bravo giornalista si abbandoni alla logica del gladiatore, per cui il sangue attira gli sguardi. Zucconi giustamente segnalava nel suo blog/editoriale (http://zucconi.blogautore.repubblica.it/2011/10/15/roma-brucia-missione-compiuta/) i pericoli delle strombazzate, linkando però la pagina alla home del suo giornale, che nel frattempo strombazzava a più non posso immagini da guerra civile. Curiose contraddizioni. Io, che nel mio piccolo mi incazzo come le formiche (ma le formiche nei grandi numeri sono capaci di mangiarsi un animale di grosse dimensioni, ricordiamocelo), notavo e indicavo sulla mia pagina facebook come durante la diretta di La Repubblica, in un breve articolo intitolato agli Indignati, venisse grassettata la presenza degli autonomi devastatori, con conseguente facile identificazione. Alle dieci di sera, la grassettatura era sparita. Nulla è scritto nel marmo.

    Questo per dire che mentre ci sforziamo di trovare alternative alla piazza (ma io parlerei più volentieri di integrazioni), partendo dal dato di fatto di questi problemi, l’occhio critico e vigile va mantenuto, e ancor più puntuale e serrato dovrebbe essere l’appoggio al buon giornalismo. Il che è ben distante dal lamentarsi, per come la vedo io. Inizio a pensare che la parola “lamento” debba essere omessa dai commenti alle questione sociali, ci sono troppe parti in causa che hanno degli evidenti interessi a farne un uso strumentale. Non vorrei trovarmi a fare il loro gioco.

  12. Consiglio anche la lettura dell’intervista al nerovestito pubblicata su Repubblica (http://www.repubblica.it/politica/2011/10/17/news/black_bloc_piani-23345453/index.html?ref=HREA-1), per capire come mai la manifestazione-corteo è ormai parte della strategia di guerriglia urbana.
    Chi ne organizza, come diceva qualcuno, si prende il ‘pacchetto’ intero, black bloc incluso.
    Rimane il problema che i margini per azioni di protesta non-violente, ma mediaticamente incisive, sono sempre più ristretti

  13. Aggiungerei due considerazioni:
    — avere le idee molto chiare e facilmente condivisibili diminuisce l’attecchire della violenza. Le ultime manifestazioni a cui ho partecipato (marcia della pace, 25 aprile, articolo 18 s.lavoratori), anche se sono di qualche anno fa, non erano spendibili in altro modo. La strumentalizzazione è sempre possibile, ma più sono circoscritte le motivazioni della manifestazione, meno è possibile fraintenderle.
    — forse è ora di agire anche fuori dalla logica della piazza. Essere tanti in piazza ho paura che spesso porti divisione (io c’ero – io non c’ero), non inclusione e nemmeno riflessione. Forse è ora di utilizzare i tanti mezzi che ancora abbiamo per protestare e farci sentire nella vita quotidiana. Però questo non è affatto facile: quando dico che ho segnalato all’ATM un autobus in ritardo o che segnalo a chi di dovere qualche altro piccolo sopruso/inefficienza, i miei colleghi mi danno dell’estremista. Usano proprio questa parola: estremista. Forse le rivoluzioni iniziano da qui.

  14. Parto con una domanda specialistica, per gli esperti di semiotica: se doveste ricavare dalla manifestazione del 15 ottobre lo schema narrativo, che ruolo dareste ai black block? Parte dell’attante collettivo soggetto? O antisoggetto? E se doveste schematizzare una qualche manifestazione passata, ad esempio Genova 2011? Occupano lo stesso ruolo o due ruoli differenti?
    Faccio questa domanda, perchè, personalmente, ritengo la manifestazione di sabato scorso una manifestazione che si differenzia, almeno in parte, dall’usurato e “sempre-uguale” scendere in piazza. Per diversi motivi: diversa situazione storico – economica, diversa composizione del soggetto collettivo sceso in piazza, diversa scelta comunicativa (rimasta per certi aspetti, purtroppo, inespressa, a causa della violenza dei black block).
    E, infatti, mi sembra che questa differenza sia stata colta, almeno parzialmente, dai vari giornali (Libero e il Giornale esclusi). Se li si sfoglia e non ci si limita alla prima pagina (pur importante), si nota come le cronache degli eventi (diverso è il caso dei commenti a margine delle cronache) non semplifichino la giornata con la “classica” equazione manifestanti uguale violenti, ma tengano, in maniera diversa, conto dell’eterogeneità di quella piazza.
    Per altro, il fatto che i black block siano stati così palesemente protagonisti forse non è un male: il loro uscire dall’ombra assumendo il centro della scena può rendere più chiaro il loro messaggio e quindi la posizione che essi assumononello scenario politico italiano. E, di conseguenza, indicare la differenza tra loro e i manifestanti non violenti: non solo a chi sta all’esterno del movimento, ma anche per chi ne è parte (e soprattutto per quella parte più dichiaratamente di sinistra e più a rischio di contiguità coi black block).

  15. giovannacosenza (12:23:23) :
    Infatti, luziferszorn: proprio per questo un’amica giornalista mi suggeriva una decina di minuti fa di togliere quella frase, perché apre un altro scenario, tutto da approfondire.
    – – –
    Allora forse è il caso di approfondire. E in fretta. Cioè prima che ce lo impediscano. Perché la mia sensazione è che “il giro di vite” di cui dicevo ieri sia già partito.

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  17. Raro, rarissimo, anzi praticamente introvabile un blog come questo. Proposte di riflessione intelligenti, originali, in una parola semiotiche.
    Mi scuso per essere in parte fuori dall’argomento di questo articolo; intervengo per segnalare che sarebbe interessante analizzare un aspetto poco considerato del movimento degli Indignati, che trovo invece importante e significativo dal punto di vista della comunicazione: a livello mondiale, nelle assemblee di piazza vige tra i partecipanti un codice che a loro dire serve a semplificare e ordinare gli interventi, ciò faciliterebbe la possibilità che vengano generati risultati nuovi e concreti. Niente segnali acustici di approvazione o disapprovazione, solo movimenti delle mani; niente critiche esclusivamente distruttive etc. Lingua dei segni più (aggiungo io) qualche elemento di brainstorming.
    Segno, collettivamente conscio o meno, di un bisogno universale “aggregato” di semplificazione e soprattutto chiarezza nella comunicazione e nelle comunicazioni?

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