Torno ancora una volta sul tema del rimborso spese per gli stage. Odio ripetermi ma, dall’ingenuità che tutti i giorni osservo nei ragazzi, inferisco che ce ne sia bisogno: la battaglia per diffondere fra i ventenni la consapevolezza di ciò che il proprio tempo vale e per dare loro il coraggio di negoziare la propria posizione con le aziende è ancora lunga.
Ragazze, ragazzi: quando prendete accordi con un’azienda (privata o pubblica che sia) per uno stage (curricolare o extracurricolare che sia), chiedete sempre il gettone di rimborso spese! Certo, siete lì per imparare e dovete dimostrare (e sentire) tutta l’umiltà del caso. Ma il vostro lavoro – per quanto guidato e inesperto – è prezioso per l’azienda. Lo sarebbe anche se vi limitaste a bassissima manovalanza.
Riprendo una nota che Eleonora Voltolina, della Repubblica degli stagisti, ha pubblicato sul suo profilo Facebook il 1 gennaio 2012:
«Basta con l’ipocrisia della “formazione”: il tempo e l’impegno vanno sempre pagati.
Chi osteggia il cambiamento obietta: ma così ci saranno meno posti di stage, meno posti di lavoro. Forse è vero. Ma si può continuare a barattare la qualità con la quantità? Vogliamo dieci stage gratuiti o tre stage ben pagati? Vogliamo dieci contratti a progetto da 600 euro al mese, o quattro pagati 1.500?
Io ho scelto, la Repubblica degli stagisti ha scelto. Nella convinzione che poi non sia nemmeno sicuro che i posti diminuirebbero in maniera così evidente: perchè prima o poi tutti capirebbero che farsi concorrenza sul costo del lavoro è una scelta strategicamente perdente.
Solo con dignitose retribuzioni fermeremo l’emorragia di cervelli, attiveremo un sano e ormai imprescindibile ricambio generazionale, rispetteremo la Costituzione. E daremo un futuro alle nuove generazioni».
(Dall’articolo «Senza soldi non ci sono indipendenza, libertà, dignità per i giovani: guai a confondere il lavoro col volontariato». Anche la foto è tratta dal sito La Repubblica degli stagisti.)
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