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Ma queste «lobby gay» cosa sono?

Il Giornale, Vince la lobby gay

Quando i media parlano di omosessualità, fanno spesso riferimento alle cosiddette «lobby gay». E non lo fa solo la stampa di centrodestra, come illustra la prima pagina del Giornale che ho riportato. Il problema è che l’espressione getta sempre e comunque, a destra come a sinistra, una luce inquietante sul tema dell’omosessualità. Ancor più inquietante dopo le discussioni dei mesi scorsi sui cosiddetti «preti pedofili»: Continua a leggere

Per favore, si dice “una” trans e non “un” trans

LGBT

Un errore frequentissimo sui media e nel linguaggio comune è dire o scrivere “un trans“, al maschile, per riferirsi a una persona che sta approdando o è approdata al sesso femminile. Implica – pensaci bene – una pesante mancanza di rispetto: se qualcuno ha intrapreso un lungo, faticoso e spesso doloroso percorso personale (anche chirurgico) per fare di sé una donna, rivolgersi a lei usando il maschile è come dirle: Continua a leggere

E basta fare outing! Si dice “coming out”

LGBT

Sui temi che riguardano la pluralità dei generi sessuali e il mondo LGBT, i media fanno molti errori che, a furia di ripetizioni, sono ormai passati nel linguaggio comune. A questo proposito l’associazione Gaynet ha predisposto Otto esercizi per l’informazione. Una proposta per il linguaggio LGBT, un piccolo dizionario chiaro e utile. Ho deciso di pubblicarlo a puntate e comincio da un’espressione oggi molto in voga: fare outing, che molti estendono a qualunque situazione, seria o scherzosa, in cui qualcuno confessi pubblicamente un segreto, vero o presunto. Peccato che bisognerebbe dire fare coming out perché fare outing è tutt’altra cosa. Spiega Gaynet: Continua a leggere

Il corpo degli uomini sulle riviste per gay

Davide, studente al primo anno della magistrale in Semiotica, ha svolto per l’esame di Semiotica dei consumi un’analisi della rappresentazione dell’omosessualità maschile in un corpus di riviste italiane destinate a un pubblico LGBT, da cui emerge come l’omologazione e plastificazione dell’immagnario gay segua percorsi simili a quelli che riguardano il corpo femminile.

International Sauna

Nelle parole di Davide:

«Che si tratti di testi verbali o visivi, pubblicitari e non, e indifferentemente rispetto al tema dei testi specifici, la presenza di corpi – per lo più a torso nudo – è imprescindibile. In questi rintracciamo, traslati in ottica omoerotica, tutti i canoni di ipersessualizzazione, oggettificazione e autonomizzazione delle parti che Lorella Zanardo osservò, relativamente alla rappresentazione mediatica del corpo femminile, nel noto documentario Il corpo delle donne (2009). È quanto meno contraddittorio che questa pertinenza compaia, in modo così ossessivo, all’interno di una cultura che si dà come militante. […]

Cosa fanno e cosa desiderano i maschi raffigurati? Lavorano come modelli o escort, desiderano “ovviamente sfilare su passerelle importanti, o diventare fotomodello o attore di cinema o tv”  [Luimagazine, n°6, giugno 2012, p.25, estratto dall’articolo “Il ragazzo del mese”]. Anche quando il proprio mestiere non ne prescrive la nudità, l’ostentazione simbolica del corpo è comunque omologata ai valori della realizzazione e del successo. Di più, si è rilevanti solo attraverso un corpo a norma. Che si tratti di cantanti, stilisti, scrittori o ragazzi comuni, i personaggi intervistati e trattati dalle riviste gay sono sempre qualificati attraverso il proprio corpo. […]

Flexo Padova

Il “culto del bello” degenera in una riduzione oggettuale della sessualità all’immagine. Differentemente dalla necessità di spiritualizzazione dell’attività sessuale che si avvertiva nella mentalità greca e poi, ancora più forte, in quella cristiana, qui la desiderabilità dell’individuo si gioca sulla restrizione fisica che, com’è ovvio, inerisce la conformità del corpo ai canoni normativi capitalizzabili e specifici. Ne consegue, come vedremo, che il corpo è tanto più sessualmente desiderabile quanto più (in una scala prettamente quantitativa) muscolare o quant’altro. In quest’ottica è più chiara la consueta assenza di volti dei corpi sessualizzati, dato che la bellezza del volto è un fattore più identificante e qualitativo. È un bello quanto mai relativo.

È probabile che se un marziano sfogliasse queste pubblicazioni, penserebbe che l’omosessualità sia una strana pratica autoerotica, magari consistente nella contemplazione di sé in posizioni improbabili. Come già accennato, l’enfasi sul consumo tende all’isolamento degli individui. In entrambe le riviste [Pride e Lui magazine]– annunci stampa compresi – la dimensione relazionale è pressoché assente, fatta eccezione per due approfondimenti sul cinema GLBT in Pride

Scarica da qui la tesina: Davide Puca, Omosessualità TM. Analisi semiotica delle riviste LGBT

Il matrimonio gay di Renault Twingo: vedremo mai questo spot in Italia?

Da qualche giorno è uscito in lingua francese e inglese l’ultimo spot Renault Twingo (agenzia Publicis Conseil), che mostra un matrimonio gay sereno, circondato da figli, amici e parenti.

Non è la prima volta che Renault associa alla Twingo generi diversi dall’eterosessualità maschile e femminile, mostrandoli allegramente normalizzati. Ma mentre lo spot con la Drag Queen beccata dal figlio davanti alla discoteca arrivò anche da noi (ottobre 2008), non penso che mai vedremo lo spot coi due gay che si sposano. E se mai lo vedremo, è facile prevedere che solleverà un polverone e sarà subito ritirato.

La cultura italiana, infatti, fa molta fatica a pensare che l’omosessualità possa essere «normale», mentre preferisce associarla al travestitismo, che trova da sempre più rassicurante.

Ricordo, sempre a proposito di LGBT, anche lo spot Twingo Miss Sixty, quello che cominciava alludendo a un rapporto lesbico e finiva con un banale  stereotipo sulle donne. Pure quello arrivò da noi nel dicembre 2010. Ma non l’ho mai valutato positivamente, per motivi che ho spiegato qui: L’arretratezza della donna Twingo Miss Sixty.

Renault Twingo, matrimonio gay (versione francese):

Renault Twingo, matrimonio gay (versione inglese):

Renault Twingo, Drag Queen gay (versione italiana, ottobre 2008):

LGBT al Grande Fratello

Quest’anno il Grande Fratello sta sdoganando il mondo LGBT (Lesbiche, Gay, Bisessuali, Transgender): l’omosessuale Maicol Berti, fra moine e urletti, guadagna consensi e simpatie ogni settimana; Gabriele Belli ha fatto della sua transessualità il perno della partecipazione al programma; il bacio lesbico fra Veronica Ciardi e Sarah Nile è stato l’evento di capodanno.

Come sempre, le opinioni sono divise: c’è chi dice che non è facendo spettacolo e “baraccone” con gay e trans che si contribuisce alla loro normalizzazione; c’è chi trova comunque utile che una trasmissione di grande ascolto ne faccia un punto di attenzione.

Penso che, in un paese sessualmente ipocrita come il nostro, includere personaggi LGBT al Grande Fratello sia comunque positivo, anche se l’obiettivo è ovviamente quello di attrarre commenti pruriginosi e più o meno scandalizzati per alzare l’audience. L’alternativa sarebbe infatti quella di rappresentare un mondo inesistente, fatto solo di maschi e femmine eterosessuali.

Con alcune differenze importanti, però. Spunti di interesse e novità vengono solo dalla narrazione del percorso transessuale di Gabriele, che ho trovato rispettosa e realistica. Per quanto riguarda i gay, invece, Maicol non porta nulla di nuovo, perché incarna lo stereotipo dell’omosessuale isterico e “scheccante”.

Trovo però particolarmente triste e non credibile la messa in scena della relazione omosessuale fra la ragazza immagine Veronica e la playmate Sarah: la solita costruzione di pose saffiche per sguardi maschili, che non ha nulla a che vedere con la reale omosessualità (e bisessualità) femminile.

Come sempre, sui media italiani, ci rimettono le donne.

Maicol Berti si traveste da donna

Il bacio lesbico fra Veronica Ciardi e Sarah Nile

La confessione di Gabriele Belli sulla sua transessualità

Studenti&Reporter

Parte oggi la prima puntata di una nuova rubrica (per ora quindicinale, poi vedremo) che sto curando, assieme agli studenti della laurea Magistrale in Semiotica, di cui da qualche mese sono presidente, per l’edizione bolognese di Repubblica: «Studenti&Reporter».

Faremo ricerche e inchieste sul territorio bolognese, nell’ottica di un civic journalism con tre anime: gli studenti, i giornalisti professionisti e il mondo accademico. E la mia mediazione. 🙂

Questo è il primo articolo, di Marco Salimbeni e Valentina Scattolari:

Il preservativo? No grazie. Le mille scuse dei giovani

E questa è la mia introduzione alla rubrica e alla prima inchiesta, che verte sul non uso del preservativo da parte dei ragazzi. Il resto, su carta.

LA RUBRICA

Studenti&Reporter nasce per sperimentare una nuova forma di collaborazione fra il giornalismo professionale e l’università. Abbiamo messo insieme alcuni studenti della laurea magistrale in Semiotica, una loro docente e la redazione di Repubblica Bologna, per fare ricerche e inchieste sul nostro territorio. Si parla sempre più spesso, oggi, di giornalismo partecipativo, che è il modo in cui i cittadini contribuiscono a diffondere notizie e opinioni, usando la rete e affiancando i professionisti. Si discute spesso, da un lato, della credibilità delle fonti non professionali; dall’altro, dell’importanza sempre maggiore che hanno per l’informazione.

Trovare un equilibrio fra giornalismo tradizionale e apertura alle nuove fonti non è facile. Studenti&Reporter ci proverà, combinando l’entusiasmo dei più giovani, l’esperienza dei professionisti e l’approfondimento accademico.

LA PRIMA INCHIESTA

Per cominciare affrontiamo un tema non abbastanza trattato dai media: la prevenzione delle malattie a trasmissione sessuale. Secondo gli ultimi dati dellIstituto Superiore di Sanità, nel 2009 in Italia ci sono stati circa nuovi 4000 casi di sieropositività e 1200 di Aids conclamato. Il 74% dei contagi avviene tramite rapporti sessuali, la maggior parte dei quali eterosessuali.

Nel 2009 l’Emilia-Romagna ha istituito un sistema di sorveglianza regionale sulla sieropositività, che include l’acquisizione dei dati 2007 e 2008 provenienti dall’Osservatorio provinciale di Modena e dall’Ausl di Rimini. Fra le regioni e province in cui è attivo il sistema, abbiamo scoperto che purtroppo nel 2008 l’Emilia-Romagna aveva il maggior numero di contagi, con 9,1 casi su 100.000 residenti.

L’Italia è uno dei pochissimi paesi europei che non fa quasi nulla per sollecitare le persone eterosessuali a usare il preservativo, che resta il metodo in assoluto più efficace per prevenire non solo il contagio di Hiv, ma tutte le malattie a trasmissione sessuale. L’argomento è infatti confinato al mondo LGBT (Lesbiche, Gay, Bisessuali, Transgender), come se solo loro dovessero usarlo. Forse si dà per scontato che questa pratica sia diffusa e normalizzata.

Però ci siamo chiesti: è proprio vero che i bolognesi lo usano? E cosa fanno le istituzioni locali? Per rispondere alla prima domanda siamo partiti dai giovani, intervistando i ragazzi delle scuole secondarie e gli studenti universitari. Per la seconda siamo andati in Regione, in Comune e all’Ausl di Bologna.