Letterati allitteranti o allettanti illetterati?

Il progetto ALL (Adult Literacy and Lifeskills) nasce nel 1994 da una collaborazione fra OCSE, Statistics Canada, National Center for Education Statistics (Department of Education, USA) e i responsabili (governi o istituti di ricerca) dei paesi partecipanti, che sono: Belgio (francese e fiammingo), Bermuda, Canada (francese e inglese), Cile, Corea, Costa Rica, Italia, Messico, Norvegia, Paesi Bassi, Stati Uniti, Svizzera (francese, tedesca, italiana).

Da qui nasce la parola “letteratismo“, che traduce l’inglese literacy e si riferisce a un insieme articolato di competenze e abilità di comprensione e scrittura di testi, tabelle, grafici, come mediamente circolano nelle società occidentali: giornali, bugiardini di medicinali, documenti vari. Più alcune capacità fondamentali di fare conti e risolvere problemi.

Il tutto è suddiviso in 5 livelli di abilità: dal livello 1, il più basso, che rappresenta competenze/abilità molto modeste e fragili, fino al livello 5, che indica il pieno letteratismo. La scala pone il livello 3 come minimo necessario per garantire alle persone un inserimento soddisfacente nella complessa vita adulta occidentale.

Nel 2006 Vittoria Gallina, responsabile della ricerca ALL per l’Italia, ha pubblicato con l’editore Armando, i risultati sul grado di letteratismo italiano nel 2003-2004.

Dall’indagine emerge che il 46,1% della popolazione italiana fra 16 e 65 anni si trova al livello 1, il 35,1% al livello 2 e solo il 18,8% al livello 3 o superiore. Va precisato che coloro che non raggiungono il livello 3 hanno spesso titoli superiori, non solo la licenza elementare o media: è lo stile di vita, a quanto pare, a indurli a questo analfabetismo di ritorno.

E i giovani?

Il 35% dei giovani italiani (16-25 anni) sta al livello 1 della competenza alfabetica funzionale, il che significa che hanno/avranno seri problemi nell’inserimento sociale e nell’esercizio dei diritti di cittadinanza in una società democratica. Un altro 39% non supera il livello 2 di competenza, mentre solo il 26% raggiunge o supera il livello 3.

L’indagine è stata rispolverata il 6 febbraio scorso da Michele Smargiassi in un articolo su Repubblica, in cui ce n’è per tutti: laureati in materie umanistiche, aspiranti magistrati, medici, tutti a scrivere con strafalcioni. Persino alcuni docenti universitari, a lezione, leggono a stento slides malandate. Ma poi l’articolo si chiude con un’intervista in cui si dice che, per certi ruoli, basta “un buon paio di stivali di gomma”.

L’articolo è rimbalzato in rete, e i commenti si sono sprecati. La maggior parte dei blog che ho letto si scandalizzano di errori altrui (“Dove andremo a finire…”), salvo poi aggiungerne di propri. Altri impreziosiscono la loro invettiva con strampalati giri di parole, giusto per far vedere quanto sono bravi loro (ma le allitterazioni “allettano gli allocchi”, diceva Eco in una deliziosa Bustina di Minerva).

Posto che Luisa Carrada, in un post dedicato all’argomento, ha generosamente salvato i lettori di questo blog, e che l’umiltà è sempre il modo più intelligente di affrontare certi temi, mi piacerebbe sapere cosa ne pensi: colpa della scuola? della mancanza di tempo? del mercato?

E tu, a leggere questi dati, come ti senti? cos’hai fatto per raggiungere un grado decoroso di letteratismo? che farai per migliorarlo? cosa vorresti che l’università facesse per te?

12 risposte a “Letterati allitteranti o allettanti illetterati?

  1. A leggere i risultati di questa ricerca mi dispero da un lato e, meschinamente, rallegro dall’altro.
    Soffro di una lieve dislessia da quando ero bambino che mi ha creato non pochi problemi riguardo l’ortografia e la differenza fra consonanti appartenenti allo stesso gruppo.
    Col tempo sono migliorato, ma vivo sempre un’insicurezza che mi spinge a leggete almeno tre volte le lettere, e-mail o quant’altro mi trovo a scrivere per lavoro.
    In ottica personale mi solleva sapere di non essere solo, anzi, di essere probabilmente sopra media.
    Credo che essenziale per me sia stato leggere, al di là delle letture e i libri che per studio ho dovuto affrontare.
    Mi ha salvato la curiosità, principalmente.
    Non darei grosse colpe alla TV intesa come vetrina commerciale, spesso gli annunci pubblicitari offrono messaggi molto brevi, ma corretti e incisivi.
    La TV come agorà (vedi talk show, intrattenimento ecc.) ha al contrario sposato un linguaggio che definire da mercato é sbagliato, perché non è pragmatico, ma proprio sbagliato.
    Il giornalismo è povero nelle costruzioni e nelle forme (il congiuntivo presente al tg é davvero raro).
    Forse la TV, da veicolo di alfabetizzazione negli anni ’50 e ’60, sta portando ora agli effetti opposti.

  2. Sono intervenuto abbondantemente e disordinatamente sul blog di Massimo Maugeri, ma qui la prospettiva è diversa, e c’è altro da dire. Sarei curioso di capire se con “livello 5” si intende uno che non avendo studiato medicina può leggersi e capire un articolo di Lancet, o decodificare un intervento di Buttiglione a Porta a porta… non so onestamente dire se sarei sul tre.
    Comunque, se l’80% degli italiani è insufficiente rispetto a queste tabelle, vuol dire che IL PAESE è insufficiente, e mi viene da chiedermi quali paesi siano sufficienti, quali siano i criteri e i parametridello studio eccetera, ma non avrò certo il tempo di leggere tutta l’indagine.
    Azzardo: non è lo stile di vita a farci ignoranti, ma le richieste del mondo di oggi a essere troppo esigenti nei nostri confronti. Ovvero, sono io che non so leggere le istruzioni dei medicinali (o le clausole dei contratti o le istruzioni del 730 ecc ecc) o i foglietti a essere “sbagliati” cioè non fatti volontariamente per me uomo medio?

  3. è colpa della De Filippi

  4. Trovo sconcertanti questi dati, anche se sinceramente non mi stupiscono. Ogni giorno mi rendo conto che pochissime sono le persone che parlano un italiano corretto figuriamoci scriverlo.
    Per quanto mi riguarda ritengo di aver raggiunto un buon livello di letteratismo ma nella mia infanzia e adolescenza ho avuto non pochi problemi. Ho capito moltissimo della lingua italiana dallo studio del latino. Sono convinta che studiare una lingua morta simile alla lingua italiana sia un esercizio molto utile.
    Primo perchè lo studio si concentra sulla struttura della lingua e non tanto sulla pronuncia o sull’esposizione orale.
    Secondo perchè la traduzione ti obbliga a riflettere sulla lingua italiana e sui diversi modi in cui una frase può essere tradotta. Il confronto tra una traduzione letterale del latino e una traduzione più libera ed elegante ti fa capire quanto può essere versatile la nostra lingua.
    Terzo perchè studiare la lingua italiana, lingua con cui ti esprimi e attraverso cui apprendi, non offre un sufficienta distacco, un buon grado di “oggettività”. Lo studio del latino ti permette di prendere una lingua e osservarla come un oggetto che non ti coinvolge direttamente.
    Ritengo, quindi, che una delle cause del crescente illetteratismo possa essere l’abbandono dello studio del latino.
    Infine ritengo che molte persone non abbiano la buona abitudine di consultare il dizionario quando hanno dubbi o non conoscono il significato delle parole. Molte delle persone che conosco (per lo più studenti universitari) non hanno in casa un dizionario e questo è veramente sconcertante. Bisognerebbe insegnare alle persone che il dizionario non è quel mattone che si usa soltanto nei compiti in classe o durante gli esami ma un prezioso strumento a nostra disposizione.

  5. Ottime domande senza facili risposte. Non so se io abbia raggiunto almeno il livello tre, ma credo che la maggior parte delle persone che mi circondano non siano a quel livello. Secondo me è il tutto a condizionare il risultato: la stessa società in cui viviamo non sembra richiedere un grande sforzo per capirla, la gente arriva al “potere” senza avere la cosiddetta cultura generale, siamo governati da ignoranti, siamo spettatori di una tv ignorante, siamo lettori di giornalisti ignoranti. Sicuramente la scuola gioca un ruolo importante ed è tra le cause di questa mancanza di letteratismo, ma è anche colpa dell’individuo in sè, dell’uomo della strada che non vuole fare quel piccolo salto che gli basterebbe per trasformarsi in cittadino bene informato.
    E’ la mancanza di interesse che ci rende così apatici, così distaccati dal mondo che ci circonda. E’ il disinteresse e l’indifferenza verso qualsiasi cosa a far sì che vengan fuori questi risultati neanche troppo inaspettati.

  6. A quanto sembra, siamo il vero paese delle pari opportunità: anche se sai leggere a stento, ti esprimi come un troglodita e probabilmente capisci a dir tanto la metà di quello che la gente ti dice, hai ottime chance di diventare lo stesso il mio capo e datore di lavoro :p.
    Scherzi a parte, cercare di esprimermi sempre correttamente e ampliare il mio vocabolario sono piccole manie per me e, se c’è una cosa che proprio mi dà fastidio, sono le facoltà linguistiche limitate. Un errore grave di ortografia o di grammatica è capace di smontarmi l’immagine di una persona e, se sono io a commettere l’errore, mi deprimo ben bene. L’idea di dire un congiuntivo sbagliato mi imbarazza più dell’idea di sostenere un colloquio di lavoro con una fogliolina di rucola tra gli incisivi.

    Sono daccordo con Eleonora per quanto riguarda lo studio delle lingue morte: credo di dovere al liceo classico (quindi latino E greco, un tripudio di traduzioni ogni dì) davvero molto della mia, diciamo così, “educazione linguistica”. Qualcosa di analogo vale per l’inglese (o qualunque altra lingua parlata): conoscere più lingue aumenta l’elasticità mentale, ti aiuta ad apprenderne di nuove più facilmente, a intuire i significati delle parole, a esprimerti con più facilità e varietà.. Naturalmente leggere tanto (e possibilmente non porcherie) è altrettanto d’aiuto.

    All’università, in questo senso, credo di dovere poco, se non il fatto di aver leggermente modificato i miei processi interpretativi in senso paranoico-semiotico, infilandomi tanti graziosi concetti nuovi in testa che per lo più non posso condividere con il resto del mondo e che il resto del mondo snobba come aria fritta in olio d’oliva. Magari però un modo di sfruttarli lo troverò, un giorno.
    Forse non in un paese per cui l’istruzione è considerata uno strano capriccio (ehilà, pensate che ho scoperto che devo allo Stato la bellezza di 13.000€, per riscattare i miei tre anni di “baldoria” universitaria in anni di contributi) e per cui la proprietà di linguaggio è un vezzo, un dettaglio di poco conto che sta giusto bene alla tua assistente, che appunto paghi perchè sappia parlare bene al tuo posto (non c’è nulla di autobiografico in questo, eh. O si? :p )

  7. Cultura, scuola, conformismo et ambiente.

    la prima, che ci vincola a una certa superficialità. Dettata da una comunicazione massmediatica mediocre (…troppo buono, Nick!) e dalla mancanza di curiosità dell’individuo.
    cito angela: basterebbe davvero fare un passetto oltre…

    la seconda, che oramai è un passatempo anche per i professori (esperienza personale, non intendo fare di tutta l’erba un fascio).
    Si insegnano tanto le lingue straniere (per carità, guai se non lo si facesse) tralasciando il patrimonio linguistico nostrano… a mio avviso un capolavoro.

    il terzo, i giovani d’oggi tendono esageratamente a fare “comunella”, il gruppo detta le regole, il gruppo è la cultura che lo circonda, essa detta le regole.
    Se tanto mi da tanto il contesto forma l’individuo. Non è la regola, certo, ma spesso, e lo dico basandomi sulle conoscenze che ho/avevo, è esso che abbozza il ragazzo che verrà.

  8. Santo cielo ragazzi,
    ha ragione Luisa Carrada, siete proprio fuori dal mucchio di cui parla l’indagine ALL. O almeno ci provate e – soprattutto – vi ponete il problema. Il che è già metà dell’opera, e in certi casi molto di più. (Secondo me anche i cosiddetti “capi” dovrebbero, o avrebbero dovuto a suo tempo, porsi lo stesso problema, ma è un’altra faccenda).
    😉
    Aspetto ancora un po’ di commenti e poi magari cerco di tirare qualche somma.

  9. io sono uno studente e mi rendo conto che questi numeri siano preoccupanti, ma sento, anche spesso e volentieri, usare il termine ‘giovani’ un po’ a sproposito. Si fanno generalizzazioni esagerate, come quelle che dipingono i giovani in balia del gruppo, etichettandoli come una massa amorfa capace soltanto di inviare sms e scaricare musica. Con la maggior parte delle ragazze e dei ragazzi che conosco, si parla di libri, di musica, di cinema ecc…Io non so dire a quale livello appartengo, ma ascolto tantissima musica, leggo il triplo, e resto con gli occhi incollati allo schermo quando Benigni recita Dante. Sinceramente non mi va di essere ficcato in uno schema stereotipato e grossolano. Certo, quei numeri non vanno snobbati, ma perché qualcuno non si impegna a rendere più fruibile e accessibile la cultura? Perché la televisione non propone qualcosa di più formativo? Perché chi occupa le poltrone più ‘alte’ non si decide ad attuare politiche serie verso i ragazzi?

  10. Penso che questa situazione sia preoccupante, ma che d’altra parte potessimo anche aspettarcela; senza per questo giustificarla. Credo che la TV sia la principale artefice di questo e non lo dico per buonismo, perché anch’io la guardo. Ciò non toglie che, per quanto mi riguarda, anche l’Università abbia la sua parte di colpa. Intendo dire che spesso mi manca il tempo di fare ciò che mi piacerebbe fare, leggere ciò che vorrei leggere, coltivare i miei passatempi e i miei gusti. Spesso (presenti esclusi, ovviamente…) mi capita di dover leggere per forza saggi, libri, manuali per l’università che mi tolgono un po’ la voglia di fare quello che mi piace, anche quando la giornata è finita e vorrei rilassarmi un po’ e fare quel che mi va. So che può sembrare una contraddizione, ma è così. Dopo una giornata di lezioni e studio per gli esami imminenti, l’ultima cosa che mi viene in mente di fare è leggere ancora. A meno che non sia Topolino, ma non ci giurerei… Suonerà impopolare, ma preferisco ascoltare un po’ di musica o guardare un film. Sono quasi convinta di quel che dico. perchè quando ero un’adolescente leggevo libri, anche romanzi-mattone alla “Delitto e castigo”, a palate, al ritmo di uno a settimana. Leggere mi piaceva, perchè non avevo scadenze e non ero costretta a farlo tanto per la scuola e, mentalmente, lo incasellavo nella categoria “Hobby”, per cui lo facevo quando e, soprattutto, quanto volevo.
    Penso che se l’Università ci impegnasse di meno potremmo sviluppare o, per alcuni, ritrovare quella voglia di sapere, di conoscere, di studiare che, paradossalmente, ci ha tolto, e che ha lasciato posto alla noia, all’inerzia, e talvolta alla nausea.

  11. Diceva il caro prof. Bollini all’inizio del corso di Composizione testi in italiano: “La prima regola per scrivere bene è SCRIVERE; la seconda è LEGGERE”.

    In Italia oggi si legge poco (ma non si è mai letto molto) e si scrive pochissimo. Le email non “valgono”, perché nella gran parte dei casi si tratta di trasposizione su schermo del parlato.

    Uno dei problemi è anche cosa si legge di quel poco che si legge. Harry Potter e Il codice Da Vinci li leggono molti adolescenti. Che però poi continuano a leggere solo libri di pari leggerezza, senza fare il salto di qualità verso opere di maggiore valore letterario e relativa complessità. Leggere solo e sempre testi con soggetto – verbo – complemento – punto e senza una certa ricchezza linguistica non ti fa evolvere.
    Col paradosso che poi nei temi gli studenti usano invece espressioni improbabili e inutili circonlocuzioni (tanto amate da Giovanna!). Perché sembra che facciano “fine”. Invece sono il vero specchio dell’analfabetismo moderno. Quindicenni che scrivono “nella misura in cui” mi fanno più paura di tv1kdb (o comunque si scriva “ti voglio un casino di bene”).

    Un aneddoto personale, se posso. Ero da una signora sessantenne che abita vicino al mio fidanzato, in visita. Ci chiede se l’aiutiamo a consultare l’agenda per trovare il numero di suo figlio. Lì per lì penso che abbia un problema di vista e non riesca a trovare gli occhiali. Glielo indico: c’è il nome di suo figlio scritto a penna e accanto il numero di telefono. Lei prende un pennarello rosso, circonda con un tratto il numero ed esclama: “Oh, ecco. Così so che quello rosso è il numero di Giuliano”. Non avevo mai conosciuto prima una persona analfabeta nel senso tradizionale del termine.

    per Martina: se l’Università ci impegnasse ancora meno di quel che fa farebbe meglio a chiudere direttamente. Sarebbe uno spreco di risorse evitato.

  12. Alcuni di questi commenti esplicitamente o implicitamente chiedono ulteriori informazioni sul progetto ALL.
    Sarebbe utile ad esempio sapere qualcosa in più su cosa significano esattamente i 5 livelli della scala ALL.
    Giustamente si domandava, ad esempio, Paolo S: che tipo di testi sono inclusi nelle verifiche di comprensione?
    Appena ho un po’ di tempo, prometto ulteriori approfondimenti.
    Mi sembra per ora interessante leggere le conclusioni del progetto, che a quanto pare NON imputano alle scuole tutte le colpe che avete rilevato voi.
    Nel prossimo post, una sintesi di queste conclusioni.

    Ciao!

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