Confartigianato sulla disoccupazione giovanile: notizia? No, politica

Diversi ex studenti mi hanno segnalato ieri il rapporto di Confartigianato sulla disoccupazione dei giovani sotto i 35 anni. Questa è la sintesi per la stampa, da cui estraggo:

Confartigianato Logo

«L’Italia ha il record negativo in Europa per la disoccupazione giovanile: sono 1.138.000 gli under 35 senza lavoro. A stare peggio i ragazzi fino a 24 anni: il tasso di disoccupazione in questa fascia d’età è del 29,6% rispetto al 21% della media europea.

La situazione del mercato del lavoro nel nostro Paese è fotografata in un rapporto dell’Ufficio studi di Confartigianato in cui si rileva che tra il 2008 e il 2011, anni della grande crisi, gli occupati under 35 sono diminuiti di 926.000 unità.

Se a livello nazionale la disoccupazione delle persone fino a 35 anni si attesta al 15,9%, va molto peggio nel Mezzogiorno dove il tasso sale a 25,1%, pari a 538.000 giovani senza lavoro.»

Dov’è la notizia? I dati Istat sulla disoccupazione giovanile non erano stati già diffusi in luglio? Cerco e infatti trovo: «Lavoro, Istat: disoccupazione giovani al 29,6%», Il Fatto Quotidiano, 1 luglio 2011. Stessa notizia su tutti i quotidiani del 1 luglio. Guardo le tabelle annesse al documento Confartigianato, su cui leggo che sono elaborazioni dell’Ufficio Studi Confartigianato su dati Istat. Ah, ecco: i dati diffusi il 1 luglio riguardavano i giovani 15-24 anni, quelli rielaborati da Confartigianato estendono l’età a 35, ma è chiaro che Istat aveva già tutto.

Si tratta solo di dosare il rilascio delle informazioni nel momento più opportuno.

Allora mi chiedo: a chi giova? La risposta sta dentro lo stesso documento Confartigianato, in questo passaggio:

«In un contesto così critico, il rapporto di Confartigianato rivela paradossi tutti italiani sul fronte dell’istruzione e della formazione che prepara al lavoro. Per il prossimo anno scolastico 2011-2012, infatti, è previsto un aumento del 3% degli iscritti ai licei e una diminuzione del 3,4% degli iscritti agli istituti professionali. Nel frattempo, le imprese italiane, nonostante la crisi, denunciano la difficoltà a reperire il 17,2% della manodopera necessaria.»

Mi aveva già fatto notare questo passaggio ieri via mail Giampaolo Colletti, commentandolo così:

«Paradossi? E perchè? Credo che se si perdesse la libertà di scelta degli studi per congiuntura economica ne subirebbe un danno il Paese intero. Non credi?»

Certo Giampaolo, e aggiungo: se i ragazzi e le loro famiglie puntano su prospettive di studio più lunghe, vuol dire che puntano più in alto, sperano in un futuro migliore. Non mi pare un paradosso, casomai una buona notizia. Non solo: questo passaggio mi ricorda la posizione del ministro Gelmini, che in gennaio diceva che l’Italia non ha bisogno di laureati in materie umanistiche (men che meno in comunicazione). E forse nemmeno di laureati, perché il governo mira a rinforzare il rapporto fra istituti tecnici superiori e lavoro.

La Gelmini? Proprio lei. Così infatti si chiude il documento Confartigianato:

«La riforma dell’apprendistato voluta dal ministro Sacconi – sottolinea il Segretario Generale di Confartigianato Cesare Fumagalli – potrà contribuire a ridurre la distanza tra i giovani e il mondo del lavoro. Da un lato, i ragazzi potranno trovare nuove strade per imparare una professione, dall’altro le imprese potranno formare la manodopera qualificata di cui hanno necessità».

Sacconi, non Gelmini. Sì, ma arriva anche lei, che ieri ha commentato il rapporto Confartigianato:

L’indagine presentata da Confartigianato sulla disoccupazione giovanile in Italia «sottolinea l’importanza di alcune misure già messe in atto da questo governo, come quelle sull’apprendistato. Il contratto di apprendistato permetterà infatti l’acquisizione di una qualifica professionale triennale per i giovani valorizzando l’apprendimento sui luoghi di lavoro. In questo modo abbiamo risposto all’emergenza disoccupazione realizzando un’integrazione sempre più stretta tra istruzione e mondo del lavoro». Lo ha detto il ministro dell’istruzione Mariastella Gelmini, aggiungendo che «questa integrazione sarà realizzata, per la prima volta in Italia, dagli Istituti tecnici superiori che partiranno a settembre» (TMNews).

In conclusione, il rapporto Confartigianato non è informazione, ma comunicazione politica.

28 risposte a “Confartigianato sulla disoccupazione giovanile: notizia? No, politica

  1. anch’io quando ho sentito il paradosso mi sono chiesta, ma perchè paradosso ? se il percorso di studi è + lungo ben venga, è una ricchezza che però va dispersa, perchè l’Italia, almeno il nord, è piena di piccole e medie imprese che non se ne fanno nulla dei laureati, degli studi umanistici ancora meno, ahimè ! preferiscono avere manodopera immediatamente spendibile. forse perchè riescono meglio a tenere “sotto” i dipendenti ? mentre uno che ha studiato di +, in qualsiasi disciplina, di solito fa più fatica ad essere msso “sotto”. ne so qualcosa. ho 32 anni, ho fatto il liceo scientifico, 6 esami ad economia poi ho interrotto e ho cominciato a lavorare. faccio gli stessi lavori delle colleghe che hanno un diploma tecnico e quante volte sento dire che il liceo non serve a nulla. peccato che ho fatto un po’ + carriera di altre. a parità di condizioni personali (maternità, ecc)e senza raccomandazioni.
    inoltre credo che uno debba cercare di seguire il + possibile le proprie inclinazioni, se io avessi frequentato un corso di studi professionali, sarei stata bocciata ogni anno, perchè sono proprio negata per le attività tecnico – manuali !

  2. E’ comunicazione politica, ok.
    Ma Confartigianato, Sacconi e Gelmini hanno in parte ragione.
    Reagiscono ad aspettative di famiglie e giovani, riguardo agli sbocchi occupazionali, TROPPO indipendenti dalla realtà del mercato del lavoro.

    Non dico affatto che le scelte di studio non debbano mantenere un ragionevole grado di indipendenza dai bisogni attuali del mercato del lavoro, che nel tempo cambiano e risentono comunque anche dell’offerta. Ma non possono ignorarli del tutto.

    Forse dietro a certe aspettative irrealistiche c’è l’idea che il titolo dia diritto al posto. Cosa che è stata abbastanza vera in decenni e decenni di posto pubblico facile. Ma ora il conseguente debito pubblico rende la cosa impraticabile.
    Anche per questo, probabilmente, l’idea di abolire il valore legale del titolo di studio suscita un’opposizione così immediata e generale.

    A Giampaolo Colletti chiederei: cosa intendi per “perdere la libertà di scelta degli studi”?

    Giovanna, tu dici: “se i ragazzi e le loro famiglie puntano su prospettive di studio più lunghe… puntano più in alto, sperano in un futuro migliore”, questa è “una buona notizia”.
    Secondo me, è o non è una buona notizia, a seconda di quanto quelle speranze si discostino da previsioni ragionevoli. La questione richiede dati, analisi e valutazioni complesse.
    E servono scelte politiche al riguardo, in un senso o nell’altro.

  3. Concordo con Ben e rilancio.
    Mettiamoci dalla parte di uno studente e ragioniamo dimenticando per un attimo i miti del passato. Che cos’è una laurea se non un modo migliore di trovare un lavoro migliore? Sotto questo aspetto l’istruzione ha fallito nella lettura del presente e nella prospettiva del futuro.
    Troppi equivoci gravano sul termine disoccupazione. Duole dover ammettere questa verità ma sarebbe opportuno spiegare che in Italia non manca il lavoro: manca solo quello che ciascuno ritiene di dover o voler fare. Opperbacco, figuriamoci se io con il mio curriculum-troppo-qualificato, che ho passato anni di qui e di là, mi abbasserrei a un lavoro che avrei potuto fare dieci anni prima. Eh no, o gloria o morte.
    Chi ha creato queste aspettative, oggi disilluse, che vedono scendere in piazza nugoli di precari e stare a casa inoccupati presuntuosi sdegnati dal prendere atto della realtà? Generazioni di idraulici e muratori hanno mandato i figli a studiare per migliorare il proprio status socio-economico e questi figli plurilaureati finiscono nei call center, che trent’anni fa erano i posti Sip a cui erano relegati i portatori di handicap, videolesi in primis. E quegli stessi lavori da cui ci si voleva smarcare sono oggi i più remunerati, un paio d’anni di pratica e sei idraulico e ti becchi 5550 euro netti al mese come minimo.
    Chi ha tradito?
    Hanno tradito in tanti ma dispiace dirlo la più grande responsabilità è del sistema universitario che aveva tutte le qualità per leggere la realtà ma ha preferito chiudere gli occhi appiattendosi sul mantra della crescita infinita per introitare i benefici economici che questa visione gli permetteva. Dico di più: non aveva solo le qualità ma anche la responsabilità e proprio perché l’università è, e deve coagulare, il meglio della società; se abdica a questa funziona è finita, se vi rinuncia e svacca più o meno consapevolmente è giusto che si becchi le sue Gelmini e la sottrazione del suo ruolo formativo.
    Il sistema universitario ha rinunciato a fare una dura selezione, tutto qui. “Libertà di scelta negli studi” è una frase roboante che può piacere al sessantottino con ancora qualche capello in testa ma è una frase ipocrita perché la libertà di scelta è nel lavoro. E quella libertà è data da un sistema che ha fatto selezione prima, perché senza selezione non c’è emancipazione dello studente: c’è solo traslazione dei suoi problemi a valle, dopo averlo spremuto economicamente e illuso intellettualmente. Se voglio la cultura vado a seguire gratis i corsi universitari, non c’è bisogno di condurvi ufficialmente le mie tasse e il mio destino.
    Ma voi docenti vi rendete conto di quale scadente livello è richiesto a uno studente per laurearsi? Ma scherziamo?!? Dovevate bocciare, non aumentare i (per)corsi di laurea e inventare 8000 master, scuole di specializzazione, e altre cazzate con il credo autoassolutorio che una maggiore specificità formativa giovasse al singolo. Ve la siete raccontata e avete accolto la riforma Berlinguer capitalizzandone i vantaggi senza accettare la selezione necessaria che questa implicava, con la scusa che anche all’estero funziona così. C’erano problemi anche prima e avete pensato di risolverli con la sovrapproduzione di laureati. Vi siete consolati con il motto che è meglio essere disoccupati colti che occupati bruti e il risultato è una pletora di disoccupati bruti dove anche un concorso in Magistratura viene invalidato per manifesta incapacità ortografica dei candidati.
    Perciò ben venga il ritorno dell’istituto professionale, che ridimensioni almeno le (dis)qualità dei singoli e disilluda fin dal principio gli onirismi dei mediocri. Sogni che sono pericolose frustrazioni, come molti precari ci insegnano perché non si può diventare tutti dirigenti, tutti con alti stipendi. Mors tua vita mea, o non si insegna più questo motto così elementare della competitività? Molto meglio il talentuoso studente dell’istituo tecnico che finisce all’università rispetto al mediocre universitario che andrebbe retrocesso all’Istituto tecnico, giusto?
    Dispiace parlarne male perché non è mai bello accanirsi su chi già grava in difficoltà, ma cos’è tecnicamente un precario se non uno che ha sbagliato percorso e si ostina a non ammetterlo? Uno che dovrebbe far fuori per primo i Peter Pan che lo hanno ingannato alla ricerca dell’Isola che non c’è. Uno che dovrebbe capire che il suo ruolo è professionalmente pleonastico o superfluo e che dovrebbe commettere apostasia proprio verso quel pantheon che non lo vuole al suo desco.
    E che dovrebbe capire che se un futuro vuol avere, l’errore dovrebbe vedere. Senza cadere nella spirale dell’effetto Macbeth che avendo ucciso una volta continua a uccidere innumerevoli altre.

  4. Non ti fanno bocciare gli studenti incapaci neanche fuori dall`Italia (vivo in Irlanda). La motivazione e`pero`meno nobile della liberta`di studi. Ogni studente di primo livello regala 12 euro in tasse, piu`15000 Euro o piu`all`indotto. Selezione? Giammai, meglio lasciarli arrivare con il minimo alla (poco utile) laurea. Poi li trovo come guardie nei pub, hostess sulla ryanair, tecnici di basso livello nelle industrie farmaceutiche.
    La soluzione non mi e`chiara. Lo spezzettamento della carriera in diplomi e diplomini aiuta a non sentire di aver buttato via anni e soldi, ma costruisce schiere di qualifiche intermedie che non sono ben accettate dalle industrie. Le quali industrie puntano sempre su quelli giovani e svegli, con o senza titolo.
    E`anche vero che, se tornassimo all`Universita`elitaria, 4 universita`su 7 in Irlanda dovrebbero chiudere, con ricadute piuttosto pesanti sul tessuto economico e culturale.

  5. Ugo critica “il motto che è meglio essere disoccupati colti che occupati bruti”.
    Concordo nella critica e anch’io rilancio. 😉

    Ho due cari amici idraulici, conosco bene neo-laureati in scienze politiche e svariati accademici. Se devo ragionare seriamente di politica, preferisco i primi due.

    Con questo non dico che la cultura umanistica non serva. Ma non quando è – come troppo spesso è – chiacchiera vuota che si oppone al sapere scientifico e alla competenza tecnico-pratica.

    Benedetto Croce e Giovanni Gentile, ‘domini’ della cultura italiana del secolo scorso, in un congresso della Società filosofica italiana si permisero di umiliare pubblicamente Federico Enriques, scienziato e pensatore mille volte migliore di loro.
    Era cent’anni fa, il 6 aprile 1911, e ancora la scontiamo. 😦

  6. Scusate, “Federigo”, non “Federico”, che è il nipote.
    Sull’episodio: http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2011-07-10/mille-culture-182521.shtml?uuid=Aame83mD

  7. @Enrico Marsili
    La soluzione invece è chiarissima. Ti diplomi con obiettivi realistici, a breve termine, e a costo infinitamente ridotto, constatato il fatto che in Italia c’è una richiesta inevasa di lavori tecnici e manuali. Le industrie tra l’altro vogliono proprio questo.
    Se tornassimo all’Università elitaria (chiamiamola selettiva: test d’ingresso erculei per tutti i diplomi ovviamente) ci sarebbero ricadute piuttosto pesanti sul tessuto economico e culturale, come dici tu. Beh, detta fuori dai denti: cazzi loro. Mi dispiace per chi ha mangiato troppo con le illusioni rifilate a, e finanziate dagli, studenti che il sistema scolastico dovrebbe invece mettere al centro del proprio operato e non contabilizzare a bilancio preventivo con la circonvenzione d’ingenuità e promozione a costo zero.
    Sì, sogno professori cattivissimi ed esigenti, non cazzoni a buon mercato che finiscono in università perché fa status.
    Si facciano la guerra tar loro. Resteranno i migliori, il tutto a beneficio dello studente: ne usciranno pochi e quei pochi lavoreranno subito. Gli altri avranno finito prima di sognare e di pagare.
    Per lo studente sarebbe comunque un successo. Sempre che non si voglia mitizzare l’università come parking a lungo termine: il parcheggio è comunque a caro prezzo e la macchina resta ferma, svalutandosi comunque. Naturalmente non è ciò che direbbe il parcheggiatore.

  8. @Ugo, magari un tale processo andrebbe governato e gradato da un governo, ad avercene uno (vale per l`Italia e per l`Irlanda).
    Aggiungo un elemento di riflessione, perche`le cose non sono mai semplici come sembrano.
    I dati appena usciti qui dicono che il voto di ingresso degli studenti del primo anno si e`alzato di parecchi nell`ultimo anno. In pratica, le intelligenze che prima finivano nella piccola imprenditoria (senza titolo di studio) adesso sono attratti dall`Universita`, dove (in tempo di crisi) investono sul futuro, sperando che la situazione si normalizzi nei prossimi 3-4 anni.

  9. Evidentemente qui, a parte Giovanna, nessuno lavora nel mondo della scuola e non sa del “racket” dei corsi di formazione professionale messo in atto dalla associazioni di categoria e perfezionato dalla Gelmini, il tutto regionalizzato. Ora nemmeno più i titoli di studio valgono sul territorio nazionale…
    E sì cari miei, la cara Gelmini ha ammazzato i professionali in modo che i ragazzi vadano ai corsi di formazione che, guarda un po’, sono privati!
    Mi spiace ragazzi ma lo studio e sempre un valore, specilamente per gli scapestarti, e ve lo dice un insegnante che nel dubbio boccia sempre!
    Piuttosto, dal punto di vista della comunicazione, è interssante notare come anche Confartigianato si inserisca nel giornalismo “marchettaro” e abbiano una bel duble-face (ovvero faccia come il…).

  10. @Fabio P.
    Giustamente ognuno tira acqua al suo mulino. Non vedo cosa ci sia di male a formare dei semianalfabeti specializzati in un lavoro manuale. Giovanna è ottimista ma il destino dell’Italia è prendere il posto della Cina di ieri quindi a parte il Resort a Capri o il Raffaello agli Uffizi, turismo per i cinesi di domani, è bene che le persone si preparino alla dura realtà che li aspetta. Mi sembra un giusto contrappasso, dopo decenni di auto concessione progressiva di diritti e sogni insostenibili.
    Gli inguaribili idealisti ci diranno che società con ampie percentuali di semianalfabeti sono meno critiche e quindi più facilmente manovrabili. Ma come spiegar loro che anche la società da loro propugnata ha prodotto per lo più simili effetti e medesime derive?
    Con una differenza: oggi l’ignorante analfabeta ha comunque una laurea. Domani almeno non l’avrà più e forse si potrà ripristinare il blasone perduto di questo foglietto di carta.
    Cinismo? Magari.

  11. Sono d’accordo con Ugo al 100%, ma sarei appena un po’ meno pessimista di quel che sembra essere lui, forse per sua comprensibile reazione polemica alle illusioni prevalenti.

    L’Italia ha grandi risorse di capitale umano, anche nelle scuole e nelle Università (insieme con tanta zavorra, ovvio). Risorse terribilmente frustrate e sottoutilizzate, ma nonostante questo ancora notevolissime.
    E’ proprio vero quello che comunemente si dice: gli italiani migliori che giustamente fuggono all’estero, preparati nelle nostre scuole e Università, non sono secondi a nessuno.

    Allora? Allora vale la ricetta di Ugo. Scuola media, inferiore e superiore, molto più orientata alla scienza e alle competenze tecnico-professionali. All’Università, numero chiuso dappertutto, selezione severa, tantissime borse di studio per i meritevoli, se necessario finanziate dall’aumento delle tasse universitarie. E competizione serrata fra le

    Con questa e altre riforme — le ricette giuste ci sono già tutte! — l’Italia può tornare ad essere competitiva anche ad alti livelli, nel giro di pochi decenni.
    Però va fatto subito, come ha detto Napolitano.

  12. Scusate, ho lasciato un pezzo di frase nella tastiera
    …E competizione serrata fra le Università lasciandole libere di competere per accaparrarsi i migliori docenti e studenti.

  13. Credo che la Gelmini e tutti i suoi adepti non abbiano capito il succo del problema: le aziende non trovano forza lavoro non perché non sia qualificata, ma perché non esiste la mentalità giusta.

    Da sempre il gioco è stato: l’impiegato con esperienza insegna al giovane (lavorativamente parlando) più inesperto. Oggi manca in alcuni casi la mentalità dell’impegno e dell’interesse nel lavoro, è questo il vero problema. Non c’entra la laurea (che dai vostri discorsi sembra la kryptonite che rimbecillisce i ragazzi). Nessun diplomato è mai arrivato sul posto di lavoro come esperto dei massimi sistemi della tornitura. Ma da una parte le aziende non hanno tempo, soldi e voglia di insegnare ai nuovi arrivi, dall’altra il lavoro precario fa perdere qualsiasi voglia di impegnarsi in un’occupazione che non garantisce la minima crescita.

    Ma la cultura serve veramente solo per guadagnare soldi?
    Chissà, forse con un po’ più di pensiero formato, una giusta dose di valori e un po’ meno di cultura alla buona, oggi l’Italia sarebbe un posto diverso.

  14. Qui ci troviamo di fronte ad un problema di paradigma.
    Credo che il mio modo di interpretare la realtà, e quindi il futuro, sia lo stesso di fabiana. Concordo pienamente con lei quando dice (che dai vostri discorsi sembra la kryptonite che rimbecillisce i ragazzi) e ancora il lavoro precario fa perdere qualsiasi voglia di impegnarsi in un’occupazione. Questi dati inoltre sono suffragati da dati ampiamente testati, quindi non siamo più nel campo delle opinioni ma della realtà oggettiva.
    Abborro nel modo più assoluto la scuola classista presessantotto, tanto quanto lo sfascio postsessantottino, ma mi viene la pella d’oca a pensare una scuola che divide in intelligenti e somari, con che diritto poi?
    Lo vedo tutti i giorni negli occhi dei miei allievi, alla fine è solo questione di fortuna, nasci in una famiglia e ti laurerai, nasci in un’altra vai a rompere le scatole nei professionali… O in carcere!
    Sì, certo ci sono poi le eccezioni, ma sono appunto eccezioni, e nel nostro sistema Italia non è solo con bacchettate che risolveremo i problemi, anche (al dire il vero, semplifico, basterebbe spegnere la tv e chiudere i centri commerciali la domenica), ma soprattutto con le mani tese verso chi è nato nel posto sbagliato.
    Come disse una mia insegnate, che al liceo ci ha distrutto a furia di farci sgobbare, quasi in lacrime per ciò che stava capitando alla scuola:”Se esistono studenti di serie A, B e C, significa che chi la pensa così crede che esista un’umanità di serie A, B e C.”
    Me lo ripeto ogni giorno prima di varcare la soglia della scuola.
    Sì, è un problema di paradigma, quindi è politica: che fututo vogliamo? E come lo vogliamo?

  15. Scusate fabiana e Fabio P., ma potreste provare a rispondere a queste precise domande:
    – secondo voi c’è qualcosa che non funziona nel come la scuola prepara al lavoro? che cosa?
    – quali sono le cause di questa cosa?
    – che fare concretamente per realizzare un miglioramento al riguardo?

    (Astenendosi da discorsi come “basterebbe spegnere la tv e chiudere i centri commerciali la domenica” o “non esiste la mentalità giusta”. Oppure traducendo questi discorsi in proposte concrete. Che però non si riducano a “mettiamoci tutti più impegno a fare quello che stiamo già facendo”)

    Ugo e io abbiamo dato una risposta precisa a tutte e tre queste domande, magari sbagliando di poco o di molto.
    Ma le vostre risposte quali sono? Non è una domanda polemica. E’ una domanda seria.

  16. @ Fabio P.

    Rispondi, se lo ritieni, senza ripararti dietro la “diversità di paradigma”, che immagino significhi che i tuoi valori sono diversi dai miei e quindi non serve ragionare con me.

    Il mio valore fondamentale è la massima felicità possibile, o la riduzione delle sofferenze, per quanti più esseri umani possibile sulla faccia della terra. E’ un valore incompatibile con qualcuno dei tuoi?

    Allora rispetta me come io rispetto te, prendendoti sul serio.
    Se offrirai buoni argomenti, traducibili in azioni operative prevedibilmente efficaci, riguardo al tema in questione, li farò miei.

  17. @Ben, ecco, proviamo:

    – Iniziamo sul particolare: ci sono scuole che preparano bene e altre che preparano male al lavoro.
    Conosco ragazzi che scappavano nel liceo accanto e i loro 4 si trasfiguravano in 8 (tanto per intenderci). Queste scuole preparano male al lavoro, non perché non creano provetti grecisti, ma perché realizzano l’assunto “minimo impegno, massimo costo, massima resa”.
    Oppure volevi una considerazione più ampia sull’utilità della falegnameria e l’inutilità del greco antico? Utilità o inutilità sono dettati da chi li incontra. La scuola probabilmente ha pochi punti di contatto con il mondo del lavoro, ma avrei timore a proporre troppi legami scuola-industria: troppo facile scivolare nel baratro degli stage a basso costo.

    – Cause della lontananza scuola-lavoro: pochi fondi per stare al passo con la tecnologia industriale, mancanza di laboratori attrezzati, aule di informatica adeguate etc. Però non è screditando i licei che si ottengono questi fondi. Questo per le scuole professionali.
    Per i licei? Poco dialogo genitori-figli: se Tizio non ha voglia di trascinarsi dizionari sotto il braccio ma sogna di assemblare dei motori, il signor Caio (padre e chirurgo famoso) dovrebbe lasciarlo andare per la sua strada senza imporgli istruzione blasonata.
    Infine, le Università: conosco laureati incompetenti che hanno il potere di prendere decisioni importanti. Purtroppo non sono neo-laureati, ma terribili 40-50enni che quindi provengono da quell’Università selettiva che tanto lodiamo. Il problema di fondo credo sia in una deformazione mentale incapace di calcolare nel lungo periodo.

    – Sono un’incredibile idealista: insegnare noi per primi ai nostri ragazzi che bisogna fare le cose con impegno e responsabilità.
    Trovare fondi per migliorare le scuole, perché non sono tagli degli ultimi mesi quelli che pesano sull’istruzione.
    E soprattutto ristabilire l’importanza della Cultura, considerata ultimamente sempre più accessorio inutile. Allora forse i professori si sentiranno incaricati di un nobile compito: Vorreste professori cattivissimi? Magari invece agli esami gli studenti si trovano davanti professori e assistenti frustratissimi…
    In termini pratico-mediatico-sociale: ristabilire in tv il giusto equilibrio tra programmi di vincita casuale e programmi dedicati alla cultura, avere politici capaci di parlare in termini comprensibili e non offensivi, riportare in Italia quei cervelli emigrati con allettanti proposte lavorative. Dimostrare che chi insegna bene e chi studia bene può farcela.

    Vogliamo creare un paese-manodopera per il resto d’Europa? E’ inutile, la Cina costerà sempre meno.

  18. Rispondo a Ben in ritardo, e me ne scuso.

    Scrive Ben: A Giampaolo Colletti chiederei: cosa intendi per “perdere la libertà di scelta degli studi”?

    Ben, credo che se la scelta degli studi non debba essere necessariamente condizionata dalle opportunità professionali, credo invece che si debba – nella attuale società della conoscenza – non sottovalutare le proprie predisposizioni, le inclinazioni verso percorsi formativi che possano apparire senza un immediato sbocco occupazionale. Mi rendo conto che è rischioso, soprattutto in questa particolare congiuntura economico-politica, ma la libertà individuale di scelta del proprio percorso formativo è una conquista importante a cui non credo si debba rinunciare.

  19. Grazie fabiana delle precise risposte.
    Alcune obiezioni sparse:
    – l’Università d’élite, che era più selettiva, è finita negli anni ’60, giustamente. Gli ultimi laureati di quella Università hanno almeno 65 anni.
    – pochi fondi: non è il problema principale, credo che tu sia d’accordo.
    – dialogo genitori-figli: come cambiare? Se i figli di papà non avranno più l’Università quasi gratis, di facile accesso e poco selettiva – almeno in certe Facoltà e Università – vedrai che qualcosa cambierà in quel dialogo.
    – legami scuola-industria: paura ingiustificata, l’industria ha interesse alla migliore formazione possibile, è nel suo interesse. Un maggiore legame in questo senso non c’entra niente con la piaga degli stage non pagati.
    – non essere così sicura che la Cina costerà sempre meno: fra 10 o 20 anni sarà più ricca degli USA e i salari saranno cresciuti molto, mentre i nostri saranno calati.
    Per il resto, mi sembra che tu esprima desideri condivisibili (“cambio di mentalità”, “tv”, “politici più seri”), ma resta la domanda: cosa fare per realizzarli?
    Secondo me, il fattore di cambiamento più potente sarà il cambiamento dell’Università, che si propagherà gradualmente verso il basso.
    In breve, Università migliori, di qualità molto più alta, in questo senso anche più impegnative e selettive per gli studenti, con tasse molto più alte, ma quasi gratuite per i migliori, quelli che tengono meglio il passo con voti migliori — questo per equità sociale. Cosa ottenibile mettendo le Università in competizione fra loro, libere di pagare di più i professori migliori e di cacciare i peggiori.
    Questo può avere effetto anche sulle cose che giustamente auspichi.
    Naturalmente altre ricette sono possibili. Devono però essere ricette operative, non appunto semplici auspici.
    Te lo dico con franchezza, per autentico rispetto nei tuoi confronti. 🙂

  20. @ giampaolocolletti
    Grazie della risposta, che però è un po’ evasiva.

    Nessuno ovviamente potrà togliere la libertà di scegliere secondo i propri criteri personali, tenendo più conto delle proprie inclinazioni o invece degli sbocchi.
    Nessuno infatti propone che lo Stato decida d’imperio chi mandare a Ingegneria, chi a Medicina e chi a niente di più di una scuola professionale.

    Il punto è un altro: vuoi che ognuno sia libero di iscriversi dove vuole, senza numeri chiusi o altri filtri selettivi? E’ una posizione sostenibile, che ha i suoi pro e i suoi contro.
    Tenendo presente che questo avvantaggia i figli di papà e i meno bravi e/o impegnati, a scapito di tutti gli altri — dato che le risorse sono limitate, oggi come e forse più di ieri.

  21. HAHA

    quando leggo queste panzane che i nostri (anzi i vostri) ministri partoriscono mi faccio delle grasse e grosse risate!

    certo l’italia non ha proprio bisogno di laureati, anzi tornate pure all’eta’ della pietra cosi’ non servira’ neanche leggere e scrivere!

    Tanto al mondo e’ pieno di gente che ha voglia e coraggio di andare avanti. Voi state pure con le vostre piccole imprese in nero finche’ non sarete comprati dai cinesi o dagli indiani che hanno studiato come si gestisce un business.

    Saluti da Londra
    Fiero di essere laureato in scienze della comunicazione.

  22. condivido appieno ciò che ha detto Fabiana, Federico, Fabio P, giampaolo colletti.
    Tutto ciò che non imparerai oggi è un calcio in culo domani (don Milani)

  23. “Tutto ciò che non imparerai oggi è un calcio in culo domani (don Milani)”. Sacrosanto, elena.
    Il punto è che fra le cose da imparare c’è anche come si fa un incastro a coda di rondine, e non solo cosa dicesse Kant.
    Farebbe male ai ragazzi italiani avere più accesso ai saperi tecnici, al sapere fare i conti, alle conoscenze scientifiche di base, e alla loro PRATICA?

  24. @ben: io ho fatto il liceo scientifico, perciò credo di avere una conoscenza di base scientifica, ma anche umanistica, date le svariate ore di letteratura italiana, latina, inglese e filosofia che si facevano. certo non ho conoscenze tecniche, ma perchè sono negata, altrimenti avrei potuto frequentare scuole diverse, nel mio territorio ce ne sono, nessuno me lo vietava.
    sono convinta che tutte le discipline siano correlate tra di loro e tutte servano. certo è che finchè si continua a fare la guerra fra filosofi e scienziati non si va molto lontano. seguire il proprio talento no ? il problema secondo me è la scarsa qualità di insegnamento in tutti gli ambiti ormai da tanto tempo.
    ho trovato un bellissimo articolo che condivido
    http://d.repubblica.it/dmemory/2011/08/27/lettere/lettere/158dan756158.html
    e un video

    ciao

  25. elena, appunto.
    U. Galimberti ha una cultura filosofica sofisticata, scrive benissimo, le sue tesi sono ammalianti. Ma sono incompatibili con le molte conoscenze scientifiche ormai acquisite su emozioni e processi cognitivi. Vedi, solo per fare un esempio, Antonio Damasio, Emozione e coscienza, Adelphi 2000.

    L’uno può permettersi di sparare le sue idee senza nessun controllo. (E’ anche un plagiario confesso, scandalosamente solo censurato per questo, e non cacciato, dall’Università cui appartiene.)
    L’altro invece propone, con molta maggiore cautela, idee basate su faticose ricerche empiriche, che sono state vagliate severamente punto per punto dalla comunità scientifica internazionale che si occupa di questi temi.

    Il punto, elena, è che lo scarso peso di un atteggiamento scientifico nella cultura italiana non consente di separare nettamente il loglio degli U. Galimberti dal grano degli studiosi seri.
    Anche questo è un effetto dello scarso riconoscimento del valore della cultura tecnico-scientifica, che talvolta la cultura umanistica pretende di poter ignorare.

    Bada bene, Dante e Einstein stanno benissimo insieme.
    Ma fra Antonio Damasio e Umberto Galimberti bisogna scegliere.
    E scommetterei che il primo sa collegare un portalampade alla rete elettrica, il secondo no. 🙂

  26. @ben: leggerò antonio damasio allora ! guarda che io sono aperta a tutte le discipline, e cerco di imparare un po’ da tutti quelli che penso ne sappiano + di me !

  27. @ Ben
    “Università migliori, (…) con tasse molto più alte”: avere tasse accessibili da tutti non significa avere la laurea in regalo. In quanti si iscrivono e poi non finiscono?

    “l’industria ha interesse alla migliore formazione possibile”: ma in quanti lo sanno?

    Cosa significa “il fattore di cambiamento più potente sarà il cambiamento dell’Università, che si propagherà gradualmente verso il basso”? Che, anziché permettere ai più di misurarsi con l’istruzione universitaria, saranno i pochissimi laureati a propagare cultura tra la folla illetterata?

    Infine, @ Ben, ho l’impressione che accomuni Università e istruzione umanistica, come se non esistessero le lauree scientifiche e tecnologiche. Sarà mica che il “l’Italia non ha bisogno di laureati in materie umanistiche” della Gelmini avrà ottenuto il suo effetto persuasivo?

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