I quotidiani e le donnine in prima pagina

Da tempo sono in molti a lamentarsi della contraddizione delle maggiori testate giornalistiche nazionali: ospitano articoli che denunciano i problemi delle donne italiane, lo sfruttamento del corpo femminile, il velinismo eccetera, ma li incorniciano – quasi tutti i giorni – con immagini che espongono nudità o seminudità femminili.

Che si tratti di scelte redazionali o di annunci pubblicitari, per i lettori il risultato è lo stesso. Per il quotidiano no: della scelta redazionale potrebbe – forse – fare a meno. Senza pubblicità non può vivere, specie negli ultimi anni, in cui le vendite del cartaceo continuano a calare. Ma anche la scelta redazionale della donnina senza veli in prima pagina, meglio se adolescente (ricordi la spaccata di Yara Gambirasio?), è sempre motivata dalla speranza di vendere più copie.

Peggio ancora sul web, dove in bella evidenza sulla home page dei principali quotidiani italiani le nudità femminili stanno sempre ai primi posti delle gallerie fotografiche più cliccate. Anche sul web il criterio è sempre economico: più il sito è cliccato, più si alzano le quotazioni degli spazi pubblicitari.

D’altra parte, dicono i responsabili marketing dei giornali, che la gente clicchi molto i nudi femminili e compri più volentieri il giornale con le donnine in prima pagina è un dato: noi che possiamo farci? Volete forse che il giornale licenzi o pre-pensioni altri dipendenti, come già è ampiamente accaduto, anche se i media, per ovvie ragioni, non ne parlano? E come al solito, non se ne esce.

Capisco.

Però qualche regola, sia le testate giornalistiche sia le aziende che acquistano il loro spazi pubblicitari, potrebbero darsela. Specie in questo momento storico, in cui la sensibilità sui problemi delle donne italiane si è acuita molto. In Italia e all’estero.

Esempio di regola: se i fatti di cui si parla in prima pagina sono particolarmente tragici, con centinaia di morti al giorno come sta accadendo ora in Libia, non è opportuno, né vantaggioso per l’immagine del giornale e dell’azienda inserzionista, circondare gli articoli con annunci stampa pieni di tette e culi.

Guarda invece come si presentava il sito web di Repubblica lunedì 21 febbraio. E a proposito di sensibilità: per denunciare la schifezza, a me sola sono arrivate in un giorno ben 18 mail, da studenti maschi e femmine, da lettrici e lettori di tutta Italia. Perciò chiedo ai giornali e alle aziende: non sarebbe ora di smetterla? (clic per ingrandire)

——–

Aggiornamento del post.

Giorgia Vezzoli mi segnala che su Facebook è stata avviata questa iniziativa, che mi era sfuggita (perdono!): Chiediamo coerenza a chi difende la dignità della donne. E che ieri, sul suo blog, aveva trattato l’argomento: Chiediamo coerenza: videomessaggio a Repubblica e Se Non Ora Quando.

Chiedo scusa, davvero: le segnalazioni che ricevo su questi temi sono ormai moltissime. E anche le iniziative, in rete, si moltiplicano. A volte qualcosa mi sfugge. Ma il fatto che le iniziative si moltiplichino è una bella cosa! 🙂

Repubblica home page 21 febbraio 2011

39 risposte a “I quotidiani e le donnine in prima pagina

  1. Ha colpito molto anche me questa pubblicità, la cosa è inoltre andata avanti tutta la mattina. Non ho moltissima esperienza, ma ogni tanto qualche quotidiano straniero online lo apro e non ho mai visto nulla di simile. In più la stessa pubblicità sta passando a rullo su tutte le tv e il minino che se ne possa pensare è che sia stata girata ad Arcore.
    Mala tempora currunt.

  2. Cara Giovanna… concordo pienamente! Su Facebook facevo notare la cosa giusto due giorni fa scrivendo questo:

    “Dunque qualcuno spieghi al responsabile marketing di Intimissimi e a tutti i suoi colleghi così privi di fantasia e di coraggio che vedere due occhi languidi su sfondo rosa mentre leggiamo la notizia di una guerra civile in atto non incrementa le sue vendite. Qualcuno può regalargli la Teoria del Montaggio di Ejzenstejn?
    Il tabellare è un morto che cammina. E non è Lazzaro.”

    Aggiungo a sostegno della tua tesi: il problema non è solo l’ennesimo triste sfruttamento dell’immagine femminile fatta a pezzi, ma anche quello dei formati pubblicitari online, quelli tabellari appunto, ormai vecchi e sempre più inutili, misurati con metriche altrettanto inefficaci (impressions, CTR, etc…) che mettono in scacco le testate giornalistiche in cerca continua di click e di page views, a discapito della qualità dei contenuti (e anche di una certa usabilità). E’ una mia fissa e una mia battaglia, ma credo che questi meccanismi andrebbero analizzati e studiati di più per scardinarli e proporne di nuovi. Sarebbe bello che qualche tuo studente facesse una tesi su questo!
    A presto
    g.

  3. Si, è fastidioso. Mi pare l’avessere fatto notare anche a Striscia la Notizia (loro l’avevano fatto vedere mi pare in risposta a Concita De Gregorio, la quale affermava che lo sfruttamento delle donne era partito con l’era del berlusconismo in tv negli anni 80 con programmi come Drive In e Colpo Grosso.)

    Credo comunque che sia patetico su tutti i livelli.

  4. A proposito di tesi sulle donne, tempo fa me ne capitò tra le Ali una bellissima su Lilith, e sull’emancipazione femminile. Sarebbe bello trovare pubblicazioni come quelle. Gli uomini potranno anche trovare interessanti le donne nude sulle copertine, noi donne dovremmo ” rieducarli ” a capire che dietro quello che vedono ci sono millenni di storia e di pensiero oltre che ad un paio di belle ” Zampe “. Il fatto poi che le donnine nude siano accostati ai drammi è raccapricciante, è come sbattere sullo stesso piano i drammi veri e le fantasie perverse. Di certo si vende molto di più una bella gnocca che una madre disperata. Siamo molto ” moderni “, ma preferiamo guardare le veline che la realtà nuda e cruda.

  5. Scusa Giovanna, ma su questa cosa noi abbiamo in piedi da tempo una protesta e sarebbe bene ricordarla o darne quantomeno notizia:
    http://www.facebook.com/event.php?eid=165696433477984

    E questo è il videomessaggio che giusto ieri una ragazza ha pubblicato per Repubblica e Senonoraquando proprio in relazione alla citata homepage, tra l’altro facendo un confronto anche con le altre testate:
    http://vitadastreghe.blogspot.com/2011/02/chiediamo-coerenza-videomessaggio.html

  6. Decisamente fuori luogo!!

    Ciao, Roberto

  7. Repubblica ha fatto un grosso errore anche a livello di marketing. Per non perdere ricavi sul breve periodo ha rischiato di sprecare tutto il lavoro fatto da quando è scoppiato il caso Noemi-Ruby. Con certi tipi di pubblicità eil famigerato “boxino morboso” si è giocata una parte della reputation e brand image costruita con le varie campagne e raccolte firme. La comunicazione deve avere una certa coerenza, e se lanci messaggi legati all’impegno e all’indignazione con petizioni e appelli di Saviano devi avere una particolare cura di quello che pubblichi, e converrebbe anche rinunciare a un inserzione pubblicitaria per non compromettere il valore del marchio faticosamente costruito. Sul lungo periodo ci guadagni in fidelizzazione e profilazione degli utenti e pianificazioni più mirate di campagne marketing.

  8. complimenti per questo blog, di cui pure non condivido spesso gli articoli e le prese di posizione (ad esempio su Vendola)
    circa la pagina di repubblica in questione, onestamente non vedo la connessione con le idee di fondo della manifestazione delle donne di domenica 13. la pubblicità – per fortuna o purtroppo – paga in gran parte (di certo più delle vendite del quotidiano) gli stipendi dei giornalisti (e dei tantissimi precari: ecco, se volessimo concentrarci sulle ipocrisie dei giornali progressisti potremmo cominciare da qui, piuttosto) di Repubblica come di qualsiasi altro quotidiano. La nuova stagione de l’Unità – con l’approdo in direzione di Concita De Gregorio – partì col lancio pubblicitario di un posteriore femminile agghindato in uno strettissimo jeans da cui sbucava una copia del giornale fondato da Antonio Gramsci.
    Insomma, tutto questo per dire che l’uso del corpo (femminile o maschile) non è necessariamente degradante. Il degrado non sta nel corpo nudo di chi pubblicizza un push-up (tra l’altro, vediamo spesso nudi femminili per pubblicizzare siliconi sigillanti, almeno in questo caso l’uso del corpo è appropriato al prodotto che si vuole vendere), il degrado sta nel concedere privilegi o vantaggi di carriera, o posti di potere, in cambio di prestazioni sessuali.
    ecco, magari ho sbagliato, ma il 13 io ho manifestato per la dignità delle donne e delle istituzioni, non per ipocriti ed anacronistici moralismi

  9. Se avevamo (e perdonate l’uso improprio della prima persona plurale) il senso del buon gusto non saremmo arrivati a questa situazione politica… e non solo politica.
    Dov’è finita la nostra millenaria cultura in tutta questa globalizzazione?
    Perché della globalizzazione si devono acquisire solo i lati negativi?
    Mi aspetto da un giorno all’altro di trovare, nello scaffale del supermercato, solo margarina. Niente più olio d’oliva.

    E scusate se nel mio avatar sono nuda come un verme…

  10. Ormai ci leggiamo nel pensiero:

    L’indispensabile /5


    Vedi i commenti.

    Ma anche:

    Giornalate /1

    A me piacciono molto i nudi femminili, le notizie idiote, e tutto quanto proposto dal colonnino morboso di repubblica. Non mi si accusi di essere un noioso bacchettone.

    Ma mettere tutto in un grande frullatore e partorire home page come quelle di Repubblica (sono i più bravi in questo genere di operazioni) è così mostruoso che, lo ammetto, ci sono volte che rimango quasi affascinato. Come guardare in un abisso, una specie di girone dantesco che il povero Alighieri non sarebbe mai riuscito ad immaginare. Ho scritto varie volte alla redazione, non compro più il giornale da anni, ho configurato il mio browser per togliere la maggior parte delle pubblicità (io non potrei mai vedere la pagine che hai inserito nel post), ma non c’è nulla da fare: loro riescono ancora a stupirmi.

    Ma forse il rimedio c’è: non visitiamo più il sito di Repubblica. Ce la faremo?

  11. Ignorare non aiuta.

  12. @il comizietto: magari bastasse boicottare il sito di Repubblica. Cambi quotidiano e la storia si ripete, compresi i siti delle agenzie stampa. Ansa in particolar modo.

  13. Giorgia, hai ragione, scusami: mi era sfuggito! Ormai le iniziative in questa direzione sono molte, le segnalazioni che ricevo sono molte e… non ci tengo più dietro. Ma è bello, che siano molte! 🙂

    Scusami davvero. Integro subito il post.

  14. @giovanna: grazie. se ne parli tu, sicuramente ci aiuti a diffondere la protesta. un abbraccio.

  15. la pubblicità nel web è una cosa così anni ’90

    ecco, risolto il problema:
    https://addons.mozilla.org/en-us/firefox/addon/adblock-plus/

  16. In effetti fa un po’ impressione. Tuttavia voglio credere che sia stato solo un caso di disattenzione e non di una volontaria mancanza di buon gusto.

  17. A onor di cronaca l’inserzionista era presente con la stessa campagna, lo stesso giorno anche sull’home page del Corriere…

  18. Tre premesse – opinabili, specialmente la seconda:

    – le donnine nude, usate come sono usate correntemente, sono offensive per le donne, e magari per gli uomini stessi;
    – i maschi potrebbero vivere benissimo senza queste immagini, però ne sono attratti anche quando capiscono che sono offensive per le donne, e magari per loro stessi;
    – chi vende sfrutterà comunque questa attrazione, se non ne è impedito da una proibizione.

    Ammesso che tutte e tre valgano, una proibizione universale, pornografia inclusa, mi pare problematica (anche in questo potrei sbagliarmi, oltre che nelle premesse).
    Non so se in qualche paese avanzato ci sia.

    Ritenete che basterebbe una proibizione in certi ambiti, quali pubblicità e mass media? O che si debba puntare a una proibizione universale?

    Chiedo perché sono incerto, come si sarà capito. 🙂

  19. tra l’altro in questo modo rendono ancora più facile il contrattacco della TV sulla questione “corpo delle donne” iniziato da Striscia, e che Matrix è intenzionato a rilanciare:
    “La puntata di Matrix, che andrà in onda domani alle ore 23.15 su Canale 5, parlerà del documentario “Il corpo delle donne” di Lorella Zanardo. Alessio Vinci in studio condurrà il dibattito con ospiti Alessandra Mussolini, Ritanna Armeni, Paola Concia, Gianluca Nicoletti e Gabriella Germani: si cercherà di capire se è realmente la tv che sfrutta il corpo femminile o piuttosto, come cercherà di dimostrare Matrix grazie ad un esclusiva inchiesta realizzata dalla redazione di Striscia la notizia, se sono le nefandezze della pubblicità e di altri servizi che compaiono sulla carta stampata a togliere dignità al corpo delle donne.” (dal sito tv Mediaset)

  20. La pubblicità che sfrutta il nudo femminile è una questione davvero complessa. Infatti si fonda su un adescamento primario, e cioè l’istinto maschile che viene ‘agganciato’ e ‘stimolato’ dalle proposte in scena (e quindi non oscene, tant’è che quasi tutti le si apprezza) del corpo biologicamente attraente del femminile. Qui la sfida è tra neocorteccia e sistema endocrino primario: hai voglia a trovare un sostituto adeguato al richiamo sessualmente inciso nel cervello! Richiamo che, grazie ai media di oggi, è quanto mai facile innescare.
    A questo punto la domanda diventa: perché non si utilizza la stessa astuzia utilizzando il richiamo sessuale del corpo-in-scena maschile? Apparentemente banale, questa domanda è invece significativa. Giornali, tv, internet sempre di più sono usati dalle donne, il che dovrebbe indirizzare i pubblicitari verso una rotta includente il corpo maschile, se lo stimolo biologico è lo stesso (il che potrebbe anche essere vero, mutatis mutandis). Questo in parte accade. Ma sono i corpi statuari ereditati dalla bellezza greca, quelli ad essere messi in scena: ossia, i pubblicitari, non osano mostrare il corpo maschile al di fuori di quel canone. Perché è percepito come ‘pornografico’. Osceno. Infatti raramente è esposto. Si potrebbe pensare che ciò avvenga perché le redazioni e i pubblicitari risentano ancora del ‘Mad Men’ pensiero. Peccato che anche i giornali femminili e diretti da donne, sfruttino quasi naturalmente sempre il segnale del corpo femminile.
    Il che fa pensare che l’asimmetria biologica tra il corpo di sesso diverso, percepita attraverso i media, sia ancora radicata, oltre che culturalmente promossa. A questo proposito, per far prendere una direzione nuova al pensiero, mi viene in mente una scena di un B-movie, di cui ora non ricordo il nome, che presentava elementi non del tutto superficiali, a notarli bene. Il film è ambientato in un futuro in cui la specie umana deve combattere contro dei mostri pieni di acido (no, non è Alien! Lì semmai c’è la metafora della mamma); l’ambiente ripropone una sorta di ambientazione nazisteggiante (accidenti! Se qualcuno mi ricordasse il nome del film…). In esso l’esercito (veicolo simbolico e forse neanche troppo simbolico dell’eredità biologica del maschio predatore) è ormai costituito, paritariamente, da donne e uomini. In una scena, nella doccia, uomini e donne si lavavano in uno spazio comune, così come comune è lo spogliatoio e ogni altro medium, inteso sia come spazio di azione sia come mezzo di comunicazione. L’assenza di vergogna proposta nel film indica la negazione del sesso quale elemento discriminante. Ora, mi sembra che questa visione sia oltremodo futuristica. Ma pensiamoci. Se davvero il segnale sessuale diventa identità di una struttura umana biologica comune, allora il nudo diventa tratto neutro, seppure rilevante. Se il nudo diventa neutro, allora esso non è più soggetto alla “per-versione”, unica espressione laterale e lateralizzante in grado di sostanziare la nudità “mercenaria” sino a farla esplodere nel non-accettabile, come sta accadendo adesso (tagli fotografici sempre più spinti, scene sempre più ammiccanti al basso ventre della natura umana, erosione della bellezza in nome della animalità della ‘bella’ scena…). Con l’offesa del corpo femminile, reso feticcio e propaganda di un mondo lussu(ri)oso. Il fatto che questa per-versione del corpo femminile stia dilagando è, a mio parere, segno che il corpo della donna sta per riprendersi ‘naturalmente’ la propria dignità, in simmetria con il maschio che, per-vertendo, sta per cedere al moto verso un eccesso che neppure il maschio percepisce più come accettabile. Se la donna agisce ora, la donna in breve ritornerà in pari rispetto alla propria dignità biologica e sostanziale. Il maschio cederà ‘lo scettro’ rubato durante una casuale evoluzione. E forse, di regole e di auto-censura, non ci sarà nemmeno bisogno. Certo, nell’intermezzo che precede la caduta, la neocorteccia e le regole etiche o di buon senso che essa produce, sicuramente saranno utili. Ma il corpo femminile, che non coincide con la donna, credo sia verso la fine dello sfruttamento, perché non è più in grado se non di inviare segnali primordiali di sesso e di lussuria, di rabbia e di malpensiero. La biologia umana segue un primordiale principio di sensibilizzazione e di assuefazione. Una volta risolto nel non messaggio, neanche primordiale, la donna riprenderà come è corretto il pieno possesso anche della sostanziale forma che ci dona. E il maschio vedrà inficiato il senso stesso dello sfruttamento del corpo femminile. E forse, non fra molto, ci si accorgerà che il corpo serve ad altro che non allo svendere un prodotto. Me lo auguro con tutto il mio corpo.

  21. Il corpo non è volgare in sè, non siamo nell’800. Il punto è come lo guardi e come lo usi. Tempo fà ci fu un balletto criticatissimo, perchè il ballerino ( una volta tanto era un maschietto ) era ben poco vestito. Il giorno dopo c’è stato un putiferio e mi sono chiesta se qualcuno, apparte osservare lo splendido Adone ha guardato anche la danza eseguita con una maestria da far venire le lacrime agli occhi. Anche il più famoso Bolle ha danzato nudo ( totalmente ) e spero che quelli in teatro siano rimasti sconvolti più dalla bravura che dai centimetri di pelle scoperta. Premesso ciò ribadisco, dobbiamo iautare gli altri a guardare oltre e a capire dove un bel corpo può essere mostrato con eleganza e dove è fuori luogo. Se le veline vallettine, letterine ecc fanno il calendario sono cavoli loro, ma tutte le donne che vogliono essere rispettate per come sono e non per come sembrano hanno il diritto di esserlo. E dovremmo chiedere di smetterla con l’abbinamento cronaca sconcertante- donnina nuda. Qui in Italia si preoccupano purtroppo di censurare solo quello che non dovrebbero. Il Moige tal volta fa battaglie assurde, ci oscurano i siti internet, ci imbavagliano la stampa, si cerca di vietare le intercettazzioni e poi non si riesce a controllare le immagini fuori luogo?

    Dallo Stagno con perplessità!

  22. Ciao a tutti ragazzi, io penso che queste pubblicità che strumentalizzano il corpo femminile siano più che offensive!
    Ormai si tende solo a valorizzare il “corpo” rispetto al resto che è molto più interessante(secondo me).
    Che agli uomini possa piacere vedere queste ragazze seminude, si sa è un dato di fatto,però è anche vero che fino a quando si valorizzerà solo questo lato della donna, il resto verrà ignorato.
    Spero che tutti si rendano conto che è arrivata l’ora di cambiare rotta e di scoprire ciò che questo corpo contiene!!!

  23. Alessandro Beria: il film e`Starship troopers. Suggestiva la tua analisi, anche se non so dire quanto sia tecnicamente corretta. Il problema e`, al solito, viziato dalla nostra posizione e cultura provinciale. Segnalo in Germania e in Francia ostelli con camere miste (da almeno 15 anni). Lo spazio e`comune, ma certo non si finisce tutti a fare sesso insieme. Una volta abituatisi al fatto che ci si puo` “mostrare” senza esibizionismo, il corpo diventa una parte del discorso, che (si spera) e`gestito dalla testa. Riguardo alla pubblicita`, qui in Irlanda si usa mooolto di meno il corpo femminile, con le robuste eccezioni delle fellatio al gelato. Prevale invece una publicita`macho/gay (rugby, birra) e si usano di piu`bambini e adolescenti (e`un paese giovane). In generale, uno stile piu`sottovoce anche se (immagino) non meno efficace.

  24. credo che Antonio Ricci ti sia in qualche modo debitore per la segnalazione, Giovanna, anche se per ovvi motivi si è soffermato solo su “La Repubblica” nel suo ultimo documentario/parodia “Il corpo delle donne 2” andato in onda ieri 24/02 durante la trasmissione Matrix.

  25. @Valeria
    Caspita ci ho pensato anche io!

  26. In merito, questo è quanto scrivevo alcuni anni fa.
    _______________

    Riguardo alla questione della “donna oggetto” (veline, etc.), vorrei far notare alle femministe in ascolto che questo è ciò che credete, anzi, che volete far credere.
    In realtà si tratta di una celebrazione permanente, ossessiva, capillare che tutti i media occidentali fanno della donna sia attraverso la pubblicità sia direttamente con la raffigurazione permanente del corpo femminile anche senza fini pubblicitari.
    Questo fatto viene negato rovesciandone il senso e denunciato come “cultura della donna oggetto”, secondo cui il corpo femminile viene strumentalizzato a fini di pubblicità.
    Scambiando lo scopo (la promozione del prodotto) con l’effetto (la presenza, la visibilità pubblica, la valorizzazione, la celebrazione) si nega che la pubblicità sia uno strumento di promozione permanente del sesso femminile.
    Scambio e negazione quanto mai utili.
    Se divento testimonial di uno spot quello spot mi rende famoso, mi celebra e mi esalta, e come è vero che io pubblicizzo un prodotto (sono “strumentalizzato”) così è vero che quella pubblicità pubblicizza me stesso. La pubblicità mi rende famoso, tant’è vero che, se non sono famoso o popolare e lo voglio diventare, devo farmela e pagarmela.
    Se è vero che le campagne elettorali si fanno diffondendo la propria immagine, allora le donne, attraverso la pubblicità (e non solo) sono in una permanente campagna elettorale di dimensioni colossali, una campagna promozionale ininterrotta, sistematica, capillare ed ovviamente gratuita.
    Quello che voglio dire è che è giunta l’ora di vedere che la pubblicità tanto “usa” le donne quanto viene usata da esse per la propria pubblicizzazione.
    Il corpo femminile è un testimonial e questo indica appunto che è un valore, il valore estetico, il quale, proprio perché rappresentato permanentemente cresce di valore.
    Fare da testimonial non mi svaluta, al contrario, mi valorizza.
    Si nega l’effetto reale e cioè la reale celebrazione, la reale glorificazione della donna, esaltata ogni giorno in una fantasmagoria di immagini del sesso femminile che, se dovesse essere pagata, costerebbe alle femmine occidentali centinaia di migliaia di milioni di euro ogni anno.
    La si nega e la si rovescia in un capo di imputazione contro gli uomini.

  27. Anche la propaganda nazista usava battere in maniera pressante sull’immagine stereotipata del corpo ariano, delle sue forme e della sua estetica; nessuno, però, si è mai sognato di dire o di scrivere che così facendo il nazismo riducesse l’ariano ad oggetto.
    E’ ben chiaro a chiunque sia in possesso di un cervello pensante, che lo scopo di tale propaganda fosse di trasformare il semplice corpo di una persona bionda in un valore assoluto, in un modello di riferimento.
    Stranamente, però, mai nessuno/A coglie questo nell’esasperazione sistematica dell’immagine del corpo femminile…

  28. Questo, invece, è quanto ha scritto recentemente un mio collega virtuale.
    ———————

    Sulla “mercificazione del corpo delle donne”
    1.2.2011

    Negli ultimi tempi si sente sempre più spesso parlare di una cosa chiamata “la mercificazione del corpo delle donne”, che sarebbe, secondo i propagandisti femministi che hanno inventato questa espressione, una sorta di vilipendio contro la “dignità delle donne”, e che si consumerebbe negli schermi televisivi nazionali con la presenza di giovani ragazze seminude nelle varie trasmissioni.

    Chi parla della “mercificazione del corpo delle donne”, solitamente dice anche che questa presunta mercificazione sia colpa del solito, onnipresente e mitologico “patriarcato”, una sorta di mafia maschile internazionale (cioè, il Genere Maschile nella sua interezza) che avrebbe lo scopo di “opprimere” le povere e innocenti donne, queste creature incapaci di intendere e di volere (secondo le femministe), che non essendo dotate di libero arbitrio (secondo le femministe) sono sempre e comunque “vittime” dello “sporco maschio”.

    Ovviamente, sono “vittime” solamente quando implicate in qualcosa di “negativo”, quando invece compiono qualche lodevole impresa invece di punto in bianco ridiventano “donne forti indipendenti ed emancipate”. Come a dire, “dietro ogni donna di merda c’è sempre un uomo di merda”, ma “dietro ogni grande donna c’è la meravigliosa natura femminile”, mentre “dietro ogni grande uomo c’è invece sempre una grande donna”[1].

    Pertanto, come abbiamo visto, alla denuncia della “mercificazione del corpo delle donne”, segue sempre l’accusa (con conseguente automatica condanna) al Genere Maschile, colpevole a prescindere di ogni evoluzione negativa di questo “liberalismo sessuale” imposto proprio dalle femministe all’intera società occidentale.

    Con questo articolo intendo dimostrare che non esiste alcuna mercificazione del corpo femminile nei media, ma esiste invece una gravissima, sottaciuta e letale mercificazione del corpo maschile. Insomma, la tanto sbandierata “mercificazione del corpo femminile”, su cui autentiche teste vuote si sono costruite una carriera di “indignate in servizio permanente” (lavoro molto richiesto in Italia), altro non è che l’ennesima arma propagandistica femminista creata ad hoc per continuare nell’opera di demonizzazione del Genere Maschile e soprattutto della Sessualità Maschile. Arma propagandistica che ha come scopo quello di cementare ulteriormente quel senso di colpa maschile creato ad arte dalle architette del Totalitarismo Ideologico Femminista per “paralizzare” gli uomini in uno stato di mutismo e auto-denigrazione di genere di fronte alle discriminazioni che subiscono.

    Che cos’è, dunque, questa “mercificazione del corpo femminile” di cui tanto parlano le femministarde ?

    Prima di tutto, dobbiamo dimostrare che se anche esistesse una cosa simile, la colpa non sarebbe degli uomini, e tanto meno del mitologico “patriarcato”. Dimostrare questo è molto semplice, basta vedere cosa succede nei paesi dove la struttura patriarcale della società è ancora molto forte, cioè nei paesi dove l’autorità paterna all’interno della famiglia non è ancora stata sradicata e rimossa (oggi nelle società occidentali il padre è buono solo come bancomat umano o per sketch comici alla Homer Simpson).

    L’esempio che più salta all’occhio è quello dei paesi a maggioranza islamica: in quei paesi, denunciati dalle femministe come “inferni maschilisti”, non esiste alcuna presenza di donne mezze nude nei canali televisivi, le donne non vengono presentate in bikini per vendere un dentifricio, e le strategie di marketing utilizzate non contemplano lo sfoggio di tette e culi per vendere un prodotto. Nell’occidente pre-femminista le cose non erano molto diverse. Negli Stati Uniti, che fino alla Seconda Guerra Mondiale erano ancora un paese fortemente patriarcale, nelle spiagge giravano poliziotti che misuravano la lunghezza dei costumi da bagno delle donne:

    foto_usa_washington_1922

    La foto risale al 1922 e venne scattata a Washington Beach. Tutti i piagnistei femministi sul “patriarcato” che “mercifica il corpo delle donne” come si può ben vedere non hanno alcun senso, perchè proprio nelle società patriarcali, come facilmente dimostrabile, le femmine vengono incoraggiate (e talvolta anche “costrette” tramite l’imposizione per legge di codici d’abbigliamento) a coprirsi, e non invece ad andare in giro seminude come avviene nelle società femministe occidentali. Parlare di “patriarcato” che “obbliga” le donne a spogliarsi è un controsenso, dato che le società patriarcali da sempre hanno fatto l’esatto opposto.

    Ma per le femministe, nella loro profonda malafede, tutto ciò ha poca importanza. Perchè farsi limitare da cose come la logica e il buon senso quando strillando istericamente la parolina magica e maledetta, “patriarcato”, si possono riversare su di essa tutti i mali dell’universo ?

    Dunque, cosa si vuole dimostrare con tutto questo discorso ? Che l’accusa delle femministarde che strillano contro la “mercificazione del corpo delle donne” non può essere rivolta né agli uomini e tantomeno al “patriarcato”, dato che quest’ultimo in occidente non esiste più (esiste solo, sotto forma di fantasma, nelle teste bacate delle femministe). Quindi se proprio si volesse parlare di “colpevoli”, il principale imputato sarebbe proprio il femminismo e la conseguente “rivoluzione sessuale”.

    Adesso che abbiamo dimostrato che gli uomini o il “patriarcato” non sarebbero comunque colpevoli di questa nuova delirante accusa femminista, andiamo a dimostrare il perchè non esiste alcuna “mercificazione del corpo delle donne”. Per fare ciò, andiamo direttamente a vedere l’etimologia del termine “mercificazione”. Secondo il vocabolario Devoto-Oli 2009 la mercificazione è un “desolante deprezzamento di valori o beni spirituali, visti nella sola prospettiva dell’interesse economico che se ne può trarre”.

    Domanda: il corpo delle donne è un “valore o bene spirituale” ?

    Ovviamente no, quindi già da qui si capisce che parlare di “mercificazione del corpo della donna” non ha alcun senso. Il “corpo della donna” non è un “bene spirituale”, e nemmeno un “valore”, è solo un ammasso di carne e organi sorretto da un’impalcatura ossea, proprio come il corpo maschile. Esiste invece la “mercificazione dei rapporti umani”, perchè l’amicizia è un valore, ed esiste la “mercificazione dei sentimenti”, perchè questi fanno parte della più profonda vita interiore di ogni essere umano. Mercificazione dei sentimenti che, questa sì, viene fatta in Tv con la cosiddetta “tv del dolore”, e che guarda caso vede proprio le femmine come protagoniste di questo disgustoso teatrino [2]. Ma non esiste e non può esistere la “mercificazione del corpo della donna”.

    Che le femministe vogliano elevare a “valore spirituale” la materia, la dice lunga sulla gravità dei loro disturbi mentali, e sull’intenzione, nemmeno tanto velata, di dare una connotazione “femminile” all’idea del Divino, cioè una forza soprannaturale misteriosa e insondabile, al di fuori della capacità di comprensione dell’essere umano. Non è un caso che il marxista antifemminista Ernest Belfort Bax, autore del saggio “La Frode del Femminismo”, definiva proprio le femministe come “le supreme idolatre del proprio sesso”. Ed è anche per questo motivo che le supreme idolatre del proprio sesso considerano “l’offesa ad una donna” come “una offesa a tutte le donne”. Essendo le donne, per le femministe, una sorta di “popolo divino”, sulla falsa riga del “popolo eletto” ebraico, violare la dignità di una donna significa violare un intero blocco monolitico divino, appunto il “popolo delle donne”. Ma su questo argomento ci ritornerò in seguito con un articolo apposito, perchè è vasto e intricato.

    Per parlare inoltre di “mercificazione”, e volendo forzatamente applicare questo concetto agli esseri umani, potremmo dire che lo schiavismo era una forma di mercificazione, che includeva comunque un qualche tipo di coercizione violenta. Gli schiavi neri che raccoglievano il cotone nelle piantagioni americane erano ridotti a “merce”, esattamente come, forzando un pò il concetto, viene ridotto a mero strumento da lavoro pesante per paghe miserevoli il corpo maschile (circa il 93% dei morti sul lavoro sono uomini), a cui non viene data inoltre alcuna dignità umana [3].

    Le femmine che vanno in Tv a mostrare il proprio corpo vengono pagate profumatamente, per un “servizio lavorativo” che costa loro una fatica pari a zero. Nessuno punta loro una pistola alla tempia costringendole ad andare seminude in Tv, al contrario di quanto accadeva con gli schiavi, che invece venivano costretti attraverso la violenza. Una femmina che va in televisione a mostrare cosce e tette rappresenta inoltre il contrario della mercificazione, come spiegato prima: siamo piuttosto nel campo della “venerazione”.

    Le vallette o le ballerine della Tv italiana, invece che paragonarle offensivamente agli schiavi, come lasciano intendere le femministe, vanno paragonate alle stars del mondo dello sport. La femmina che si presenta mezza-nuda in Tv viene adulata ed esaltata esattamente come vengono idolatrati i grandi campioni dello sport: la prima per la sua avvenenza fisica, i secondi per le loro performance sportive. Entrambe queste categorie hanno poi in comune il fatto di guadagnare esorbitanti somme di denaro.

    Avete mai sentito qualcuno parlare di “mercificazione del corpo degli sportivi” ? E avete mai sentito qualcuno accusare un tifoso di un campione sportivo di stare “mercificando il corpo di quello sportivo” ? Ovviamente no, perchè non avrebbe senso.

    Va inoltre aggiunto che le trasmissioni della Tv italiana abbondano di baldi giovani ignudi che fanno gran sfoggio di muscoli e pacchi, in tutte le ore del giorno e in ogni canale, senza che nessuna femministarda dica niente o parli di “mercificazione del corpo dell’uomo”:

    Si può facilmente notare come non ci sia canale televisivo dove non venga fatto ampio uso di uomini nudi, letteralmente in mutande e anche senza in certi casi, ad ogni ora del giorno, dalle trasmissioni di prima mattina a quelle pomeridiane e poi oltre. Rai o Mediaset il discorso non cambia, l’esposizione del corpo nudo maschile è una costante. Si son mai lamentate di tutto ciò le femministe ? Avete mai sentito qualcuno denunciare questo profluvio di corpi maschili ignudi in Tv come una “mercificazione del corpo degli uomini” ? Ovviamente no.

    E sapete perchè le uniche che si sentono parlare di “mercificazione del corpo delle donne” sono le femministe, accompagnate come sempre dai loro servizievoli cagnolini maschi ?

    Perchè negli ultimi decenni, proprio gli uomini, cresciuti a pane e lavaggio del cervello femminista, hanno smesso di ricoprire la funzione di argine alla demenza femminil-femminista. E’ un problema culturale diffuso, e la colpa non va data solo agli uomini o alle donne, ma è innegabile che da quando gli uomini si sono trasformati in degli ‘yes men’, sempre pronti a giustificare e plaudire ogni immensa stupidaggine vomitata da una femmina, queste ci hanno preso gusto e hanno metaforicamente alzato l’asticella, sparandole sempre più grosse e vedendo come reazione dei maschietti stupidamente giubilanti di fronte alle loro vaginate.

    L’uomo deve tornare a ricoprire il ruolo di ‘argine’ alla demenza femminil-femminista, perchè se questa viene lasciata a “briglie sciolte” poi travolge tutto e tutti, elevando il ‘nonsenso’ a discorso comune, come ampiamente testimoniato dalla “produzione letteraria” delle femministe, che pare solo un colossale monumento alla malattia mentale.

    Come detto prima, anche questa ennesima “battaglia” delle femministarde ha scopi ben diversi da quelli esplicitamente dichiarati. Le femministe vorrebbero elevare il “corpo delle donne” ad un simbolo mistico-religioso, qualcosa che vada a colmare la “mancanza di fede” che attualmente vige nelle società occidentali (e il femminismo è una religione, con i suoi dogmi, i suoi testi sacri e le sue profetesse…). Il tentativo folle sarebbe quello di sostituire l’immagine del Cristo nella croce con una donna nuda in croce, la nuova divinità dell’Era Femminista che tutti i “maschietti” dovrebbero venerare (e che le “supreme idolatre del proprio sesso” già venerano da tempo). Ecco perchè si parla tanto di “corpo della donna” e di una sua presunta “mercificazione”: secondo le femministe il desiderio sessuale maschile, “sporco e rozzo per sua natura”, proiettato sul “corpo della donna” sarebbe un sacrilegio, l’equivalente di una messa nera in chiesa.

    Anche la recente campagna pubblicitaria del femminista Oliviero Toscani va in questo senso. Il noto fotografo ha pubblicato un calendario dove in ogni mese c’è il primo piano di una fregna, con lo scopo da lui dichiarato di “combattere tutto quello che svilisce la donna”. Non capite il senso di tutto questo, cari lettori ? Il Toscani, al pari delle sue colleghe femministe, mette in mostra un nudo femminile, e poi lancia l’accusa agli uomini: non guardate questo primo piano di fiche con lo sporco desiderio sessuale maschile, poiché esse sono sacre, vanno venerate.

    Bisogna guardarle come se si stesse guardando un’immagine sacra, senza coinvolgere gli ormoni e il “rozzo desiderio sessuale maschile”. Che sia in atto, in tutto l’occidente, una colossale opera di ingegneria sociale femminista, nel tentativo di riscrivere la natura umana, è ormai innegabile. Il mondo del Nuovo Ordine Mondiale dovrà essere “unisex”: così vogliono gli architetti dell’ingegneria sociale femminista.

    Ma la campagna pubblicitaria di Toscani era talmente “avanti”, in senso femminista, che quella sempliciotta della Carfagna non l’ha capita, e infatti ha subito protestato contro il fotografo.

    Carlo Antonelli, il direttore di Rolling Stone, la rivista che ha venduto in allegato il calendario di Toscani, ha subito precisato lo scopo di questo nuovo tentativo di divinizzazione del corpo delle donne:

    “In Italia regna la doppia morale. A casa di Oliviero Toscani e di Rolling Stone invece no. Nei media nostrani da trent’anni la rappresentazione del corpo femminile è oltraggiosa, barbara, troglodita, a partire dai calendari diffusi dalle riviste maschili con le solite giovani signorine ritratte come cagnette pronte ad essere possedute”

    Capito ? La rappresentazione del corpo femminile (non delle donne, ma del loro “corpo”: come il “corpo di Cristo”…) nei media italiani è “oltraggiosa”: in realtà il messaggio che si vuol far passare è che ad essere “oltraggiosa” è la sessualità maschile, e in ultima istanza gli uomini stessi, che ancora oggi, dopo 100 anni di femminismo, non hanno ancora del tutto elevato il “corpo delle donne” a simbolo religioso, da guardare con deferenza, come si guarda un crocifisso.

    Insomma, alla fine abbiamo dimostrato che la “mercificazione del corpo delle donne” non esiste, ed esiste invece una mercificazione del corpo degli uomini sotto forma di sfruttamento lavorativo, che ogni anno produce circa 1’400 uomini morti sul lavoro. Abbiamo dimostrato che se per assurdo esistesse una “mercificazione del corpo delle donne”, la colpa non si potrebbe ascrivere né al “patriarcato” né agli “uomini”, ma alla “rivoluzione sessuale” tanto cara alle femministe. Abbiamo dimostrato inoltre che quella che le femministe chiamano “mercificazione” è invece un’attività lavorativa simile a quella degli sportivi, che mettono in mostra le proprie doti atletiche a scopo di intrattenimento e per questo vengono “adorati” da orde di tifosi, al pari delle ragazze che vanno in televisione per mostrare la propria avvenenza fisica a scopo di intrattenimento e che per questo vengono “adorate” da orde di spettatori. Abbiamo altresì dimostrato che dietro gli strilli uterini delle femministe si cela l’intenzione di divinizzare il “corpo delle donne”, elevandolo a simbolo sacro da contemplare in silenzio e assoluta deferenza.

    E in tutto questo, per pietà umana, ho evitato di approfondire una questione tutta interna al femminile, e cioè di quelle femministe cesse che temono la concorrenza sessuale delle ragazze più giovani, le quali mettendosi in mostra fanno inflazionare il “valore” di quelle più in là con gli anni e poco gradevoli alla vista (oltre che all’udito e all’olfatto), che poi si lamentano della “mercificazione” del corpo delle donne perchè a non venire “mercificato” è il loro di corpo. Sono le stesse femministe che si lamentano delle prostitute, perchè queste vendono a basso prezzo una cosa che le femministe vorrebbero vendere a peso d’oro. Anche qui, a preoccupare le femministe è l’inflazione del Potere Sessuale Femminile: un uomo dovrebbe “sputare sangue”, secondo queste megere, prima di infilare l’uccello in un buco.

    Parlare, come fanno le femministe, di “mercificazione del corpo delle donne”, riferito a delle ragazze che guadagnano cifre assurde solamente mostrando una scollatura o una mezza coscia, è un insulto e un’offesa a tutti quegli uomini, operai, muratori, pontisti, carpentieri, minatori, che ricevono una paga da fame e rischiano ogni giorno la vita facendo lavori pericolosi e usuranti.

    Far passare le veline come “vittime” di una presunta “oppressione patriarcale” è una delle vaginate più repellenti e offensive partorite dalla feccia femminista. Offensiva in primo luogo contro i lavoratori di sesso maschile, che muoiono in silenzio per costruire le case di queste merde ingrate che cianciano di “mercificazione del corpo delle donne”.

    E che i giornalisti maschi prendano atto di questa Verità, e la smettano una volta per tutte di farsi complici di queste ripugnanti e volgari farneticazioni femministe.

    Note
    [1] Fatevi quindi due conti facili, e capirete che l’espressione “dietro ogni grande uomo c’è sempre una grande donna” è il parto malato dell’invidia femminista verso le opere dell’ingegno maschile, un trucchetto patetico e miserevole con cui la femminista invidiosa e piena di complessi di inferiorità verso gli uomini vorrebbe usurpare una “quota rosa del 50 o addirittura 100%” delle straordinarie creazioni fatte dagli uomini nel corso della storia. Se, come dicono le femministe, “dietro ogni grande uomo c’è sempre una grande donna” e “dietro ogni grande donna c’è la meravigliosa natura femminile”, allora significa che l’uomo non esiste, non esiste l’Identità Maschile, e non esistendo dunque niente che si possa definire specificatamente come maschile, non c’è nulla che sia degno di rispetto negli uomini. E’ la demonizzazione misandrica e disumanizzante espressa in modo esemplare nella pubblicità della Pangea Onlus.

    [2] “La tv è donna”, La Repubblica

    [3] “La colpa di nascere maschi non è emendabile. Tollerati saranno coloro che rinnegheranno l’appartenenza al loro sesso”, disse la femminista Ida Dominijanni nel 2002

  29. Questo, invece, è l’articolo scritto da un altro uomo di mia conoscenza.
    ——————–

    Il corpo delle donne

    E’ stato in qualche momento degli anni sessanta che una disegnatrice di moda, a nome Mary Quant, ha ideato la minigonna mettendo sostanzialmente in mutande, con una certa abituale frequenza da allora in avanti, le donne di mezzo mondo.
    Sino a quel momento “il corpo delle donne” non aveva conosciuto un’esposizione ed una visibilità pubblica tanto pronunciata, mentre il pudore femminile nel mettersi in mostra era ancora considerato un valore sociale positivo.

    Coerentemente con quella tradizionale discrezione dei costumi, anche il rapporto tra i sessi si era svolto, nell’Italia in divenire del dopoguerra, all’insegna di un galateo delle maniere che posizionava l’erotismo – preceduto e disciplinato dalla sfera del sentimento – nella sede separata ed esclusiva dell’intimità di coppia; allo stesso tempo, il sesso commerciato come genere di consumo era vissuto da una ridotta minoranza sociale nella zona grigia e marginale delle “case chiuse”, a distanza di sicurezza dalla vita ordinaria, dall’esibizione pubblica e da altre forme di trasgressione.
    La minigonna, invece, diventa da subito uno dei simboli della liberazione femminile dal giogo della moralità “borghese, reazionaria e repressiva”, contro la quale il femminismo – in alleanza con i movimenti contestativi dell’epoca – scatena quella “rivoluzione sessuale”, che ha come obiettivo prioritario l’affrancamento dalle regole patriarcali della famiglia ed il distacco dai ruoli tradizionali di moglie e madre.
    Saranno intere generazioni di ragazze a cavalcare, con entusiastica e leggerissima frivolezza, quella moda all’insegna della libertà trasgressiva che segnerà figurativamente la linea di confine tra un’epoca e l’altra; tra la donna moderna al passo coi tempi e la “madre di famiglia”, tra l’apertura mentale e la chiusura al “nuovo”, tra la donna laicamente protesa al progresso incessante e la comare bigotta.
    «Io sono mia», lo slogan che prende piede in quegli anni e si radica nella coscienza collettiva femminile in modo indelebile, stava anche a significare «il corpo è mio e ne faccio quello che voglio, compreso metterlo liberamente in mostra nei modi che preferisco».
    Conseguente alla “conquista” della minigonna, infatti, avrà luogo la battaglia per il topless – il diritto a denudarsi il seno in spiaggia – in nome del quale verranno bruciati i reggiseni nel corso delle manifestazioni femministe dei decenni successivi e che si protrarrà, come un anelito insoddisfatto di libertà femminili negate, sino ai nostri giorni (come dimostra il recente episodio di cronaca estiva che abbiamo trattato, frettolosamente, con un breve articolo a cui facciamo rinvio).
    Nel frattempo, le coordinate del “comune senso del pudore” – su cui si impegnerà anche l’industria cinematografica con il noto film – vengono spostate in continuazione in nome di libertà femminili asseritamente conculcate dalle culture repressive ed oscurantiste della tradizione, della moralità cattolica e della sua asserita ipocrisia perbenista.
    Alla guida di questa ribellione costante in nome delle “libertà femminili” e delle ostentazioni spregiudicate del corpo si metteranno proprio le intellettuali femministe; nasce la letteratura erotica al femminile, con i libri scandalo di Erika Jong e “Porci con le ali” di Lidia Ravera, solo per citarne alcuni, sino ad arrivare al femminismo pornografico di Annabelle Chong.
    Sarà con la fine della prima repubblica e con il declino della DC che anche alla RAI si potrà, con grande sollievo del pubblico progressista, assistere a spettacoli di ballerine in mutande, pubblicità ammiccanti e, in tarda serata, persino a spettacoli di spogliarello parziale nei quali si distinguerà – ne ho perfetta memoria – l’allora celeberrima Rosa Fumetto.
    Con gli anni novanta arriva anche la moda dei pantaloni a vita bassa, un altro modo di mettersi in mostra ai confini estremi delle parti intime; “il corpo delle donne” oramai sembra non avere più segreti da svelare che non siano già rivelati pubblicamente in tutti i possibili modi dall’abbigliamento delle donne comuni.
    I pochi, timidi ed isolati tentativi che alcuni presidi mettono in atto per evitare che le studentesse arrivino nelle classi con il pube in bella mostra vengono stigmatizzati dai genitori per primi – madri in testa – e dai nuovi perbenisti istituzionali della psicologia antiautoritaria poi.
    Diventa una moda ancora più pruriginosa e sfacciata, in tempi più recenti, quella delle dive pop senza mutande che sfidano apertamente, sotto l’occhio di riflettori e telecamere, un senso comune del pudore ormai svuotato di qualunque significato condiviso, per dare coscientemente e deliberatamente scandalo di fronte al mondo.

    A dispetto di una storia così impudicamente protesa a giustificare ogni forma di narcisismo ed esibizionismo femminile, dalla minigonna in poi, oggi ci vengono a raccontare che “il corpo delle donne” sarebbe offeso ed umiliato dal maschilismo imperante (sic!), la Zanardo ci va facendo persino i filmati denuncia e quello stesso femminismo urlante che ha fatto la rivoluzione sessuale e sdoganato ogni puttanata femminile va gridando “basta” nelle piazze, animato da un vittimismo che, se non fosse strillato a voce così alta, sarebbe da considerarsi una pura e semplice barzelletta.
    Sembra impossibile che vengano a raccontarci la realtà in un modo tanto grottescamente mistificatorio, eppure è esattamente questo che succede e un esercito di gonzi – sordi e ciechi alla realtà dei fatti – ci casca con tutte le scarpe esercitandosi in un mea culpa quotidiano senza alcun senso.
    Da notare che la carrellata di “corpi femminili” in bella mostra, liberamente estratti dal web e parte integrante di questo resoconto della realtà, ci parla di immagini di vita comune, non di induzioni televisive perpetrate dalla spectre segreta del maschilismo, come vanno farneticando femministe senza memoria, senza ritegno e senza logica.
    Tanto da precisare per quelli o quelle che ancora non se ne fossero accorti.

  30. Bronson, uso poche parole contro migliaia: pessima fede, autogiustificazione patetica. E pochissimo ritegno da parte tua. Ciao ciao e complimenti a Giovanna per l’ottimo lavoro che svolge.

  31. @ Bronson: grazie per il contributo illuminante.
    La notizia che tutte le televisioni italiane, tutte le imprese coi loro investimenti pubblicitari, tutta la stampa nazionale sono al servizio di un complotto femminista è sorprendente, e ti ringraziamo di avercela data.
    Sulla desiderabilità del modello islamico per quanto riguarda la parità dei generi, e anche su tutto il resto, i lettori del blog sapranno farsi una loro opinione. Così come, leggendoti attentamente, me la sono fatta io.
    Un caro saluto a Giovanna.

  32. A Bronson.

    Alcune critiche che lei fa ad alcune tesi di certe femministe, a me sembrano sensate.

    Ma mi sembra debole la sua tesi centrale, secondo cui certi usi del nudo femminile in pubblicità e in TV, denunciati come offensivi nei confronti delle donne, siano invece una celebrazione delle donne stesse.

    La sua tesi è vera solo in parte. E’ ovviamente vero che il corpo delle donne è bello, e che quelle immagini contribuiscono a celebrare questa bellezza – anche se rappresentata, diciamolo, in modo un po’ stereotipato. Ed è vero che non poche donne contribuiscono a questo. Chi potrebbe negarlo?

    Ma il punto principale è che quei certi usi del nudo femminile suggeriscono che il valore delle donne SI RIDUCA A QUESTO, cioè a una versione semplificata e unilaterale della bellezza del corpo femminile. Gambe lunghe e snelle, culo e tette alte, un bel faccino.
    Ottime e desiderabili cose, naturalmente, fra mille altre.

    Ma non l’alfa e l’omega delle donne!!! Non la loro quintessenza!!! Non il metro principalissimo del loro valore!!! Le donne sono anche molto molto molto altro!!!

    Anche per un maschio ancora primitivo come me! 😉

  33. @Bronson, confesso che sono arrivato con fatica, alla fine dei lunghi interventi. Sinceramente le tue tesi mi sembrano un misto tra Vittorio Sgarbi (per la tesi “è mia e la do a chi voglio” e l’Oriana Fallaci degli ultimi anni (per le opinioni sull’islam).
    Concordo con quanto diceva Ben qui sopra: le donne sono *anche* questo, ma non *solo* questo e aggiungo che fa davvero riflettere che simili livelli siano stati raggiunti solo nel nostro Paese.
    Anzi, voglio aggiungere una cosa che mi dimentico sempre di fare: ringraziare pubblicamente Giovanna Cosenza perchè da quando leggo i suoi interventi sulla strumentalizzazione del corpo femminile (ma anche di quello maschile, visto che ha scritto pure di questo) sono arrivato ad una consapevolezza maggiore di queste problematiche e siccome mi piace imparare volevo dirglielo.
    Sono questioni serie che meritano di essere trattate seriamente, le provocazioni lasciamole ai talk show.

  34. @Bronson
    Sebbene animati da un rancoroso livore e da una provocazione che fa terra bruciata diversi tra i suoi argomenti sono corretti e sarebbe ingiusto liquidarla con un’alzata di spalle solo perché ha sfondato la porta quando poteva bussare. L’eccessivo vittimismo, l’attribuzione d’ogni colpa al maschio alpha patriarcale, una rilettura storica traballante e troppo sovente cieca alla contestualizzazione, il doppio pesismo del ti-posso-tentare ma tu-non devi-guardare, aggiungo troppa indulgenza di genere verso la violenza psicologica e l’opportunismo uterino femminili.
    Tutto vero, nulla da eccepire. Mi iscriverei al suo club senza battere ciglio se non fosse per l’evidente lacuna che lei non ha mai letto lo storico Carlo Maria Cipolla, non ne conosce la teoria della stupidità. Sa, è molto stupido accompagnarsi a soci non abbastanza colti da conoscere la propria. La seconda legge della stupidità sancisce che la probabilità che una certa persona sia stupida è indipendente da qualsiasi altra caratteristica della persona stessa perciò ogni gruppo umano contiene una determinata percentuale di individui stupidi. Come corollario capirà da sé che anche il femminismo possiede la sua Curva sud, la componente più vaniloquente e ottusa. Non vorrà mica continuare a sprecare le sue energie cercando di convincere la tifosa ad abbracciare il suo tifo, la sua malattia?
    Vede, è alla componente stupida della causa femminile, a quella e solo a quella che lei sta abbaiando.
    Si faccia un favore. Si alzi dalla Curva sud e si guardi attorno. Ma non vada nei distinti perché non la troverà neanche lì. Non è nello stadio che deve cercare una donna, così come non è la donna che guadagna in televisione che lei deve difendere dalla mercificazione.
    È invece la donna che probabilmente non le siede ora accanto quella che avrebbe più bisogno di lei. Di un compagno che non sbavi inseguendo con lo sguardo il culodella starlette di turno. Di un amante che non ha bisogno di degradarla a buco per avere la meglio nel confronto con le sue impotenze. Di un amore che non la condanna all’insicurezza del suo corpo imperfetto umiliandola a rincorrere il viso di un’altra e il tempo che fugge. È sempre la stessa donna cui farebbe bene un alleato capace del gesto galante di aprirle la porta cedendole il passo non solo al ristorante ma anche nella vita lavorativa, quando e se vi è il merito.
    Una Donna, insomma, a cui farebbe bene avere a fianco un Uomo.
    Si sente all’altezza?

  35. @Bronson

    mi dispiace che lei proprio non riesca a percepire quanto sia offensiva per noi uomini l’immagine della donna che il potere politico, i media ci hanno consegnato in questi anni. Il lavoro della Zanardo ha una rilevanza educativa altissima. E così, Loredana Lipperini, Giovanna Cosenza. Me ne rendo conto quando, facendo teatro nelle scuole, vedo gli adolescenti raccontare se stessi nelle forme precotte dei programmi tv – posture, ammiccamenti, parole, tutto già visto, inquadrato.
    Non trovo gratificante – per il mio “orgoglio maschile” – la visione ormai seriale di un capopartito o un conduttore tv circondato di donne come fossero un olio tonificante, un’essenza inebriante. Effimera.
    Mi sono scocciato degli spot della pasta che ripropongono tenacemente la donna solo come mamma, cuoca e badante.
    Odio che sul corpo delle donne giochi la sua partita un potere avvizzito, delegittimato, senza vergogna.
    Capissimo che la manifestazione del 13 febbraio ha salvato anche la dignità maschile, saremmo già un po’ avanti

  36. Ciao annamaria e ciao Lara: 🙂

    Bronson: non avrei saputo trovare parole e argomentazioni migliori di quelle addotte da Ben, Ugo, Angelo, donMo, che ringrazio di cuore, sia per avermi anticipata nel replicare ai suoi commenti, sia per i ringraziamenti e il riconoscimento che fanno al lavoro di Lorella Zanardo, Loredana Lipperini e mio.

    La mia risposta è un po’ la somma delle loro. Trovo particolarmente significativo, fra l’altro, che risposte così interessanti, condivisibili e articolate vengano da uomini: i problemi delle donne italiane, caro Bronson sono rilevanti per tutti, non solo per le donne. Non si tratta, insomma, della guerra fra maschi e femmine che si faceva da bambini.

  37. in effetti ho sempre pensato che un certo genere di immagine collocata in un certo spazio sia controproducente per l’Azienda che la propone. Su di me l’effetto è quello (mi è capitato recentemente di imprecare alla vista di associazioni deliranti tra notizie e pubblicità). Ma non sarei sicuro che l’effetto sia uguale su tutti. Forse alcuni non ci fanno prprio caso e ad altri piace.

  38. Pingback: Donne e media: trasformare il caos in progetto creativo | Nuovo e Utile

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.