«Stai zitta, cretina». E come sempre, le campagne contro la violenza esprimono violenza

Manca un giorno al 25 novembre, che è la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, e ci risiamo: come ogni anno, siamo circondate da campagne che mostrano volti e corpi femminili tumefatti, donne che strisciano a terra, che si nascondono in un angolo buio, che si riparano col braccio, e altri orrori del genere.

È talmente ovvio, che ormai dovrebbero saperlo tutti, eppure – evidentemente – gli operatori sociali, le associazioni, le istituzioni che si occupano di violenza contro le donne e i consulenti che realizzano per loro queste campagne non l’hanno ancora capito.

Dunque lo ripeto: non si combatte la violenza con immagini che la esprimono. Né si fanno uscire le donne dal ruolo di vittime se si insiste a rappresentarle come vittime.

Di qui poi a dire in positivo come una campagna su questo tema dovrebbe essere, ne passa: fare comunicazione sociale è difficilissimo, ben più difficile che fare pubblicità commerciale. Ma i due «non» che ho appena detto sono fra le poche certezze da cui partire. Eppure, ogni anno, nessuno li prende in considerazione.

Prendo un solo esempio del 2011, la campagna di Intervita. Queste sono le affissioni in zona Milano e gli annunci stampa sui maggiori quotidiani in questi giorni (clic per ingrandire):

Stai zitta, cretina.

Cosa vedo? Il volto di una bella ragazza con gli occhi chiari e la bocca attraversata da grossolani punti di sutura, e una scritta che le dà della cretina e le ordina di tacere.

Certo, l’intenzione di Intervita è mostrare la scena per dire: «Non si fa, non si chiude la bocca a una donna come fosse una cretina». Ma cosa, nel manifesto, dovrebbe indurci a concludere che «non si fa»? Niente: pensa «non si fa» solo chi già lo pensava prima di vedere l’immagine e leggere la scritta, chi è già consapevole di essere di fronte a una campagna contro la violenza sulle donne.

Per il resto, vedo l’ennesima metafora appiattita sulla raffigurazione del suo significato letterale (un po’ come le maniche rimboccate di Bersani e il vento che alzava la gonna del Pd romano).

Ma vedo soprattutto l’ennesimo accanimento fisico (quell’ago che ha cucito la bocca…) su una figura femminile. Bella, per giunta, perché le donne in pubblicità vanno così. E cretina, perché lo dice la headline.

106 risposte a “«Stai zitta, cretina». E come sempre, le campagne contro la violenza esprimono violenza

  1. callocrazia e terrorismo – e una strizzata d’occhio alla body art estrema. sulla violenza alle donne questa roba non dice proprio niente.
    (alla cena di gala per i bambini del Benin che leggo sul sito di Intervita gireranno delle creature denutrite tra i tavoli? il principio sarebbe piú o meno lo stesso)

    povere noi.
    anzi, no.

  2. bello ben scritto!

  3. Giovanna: love!!
    su questa immagine siamo d’accordissimo, appena l’ho vista mi son venuti i brividi!! violenza costruita e ambiguamente estetizzata.
    in questi giorni con l’avvicinarsi del 25 novembre ho dovuto aggiornare il blog di Libere Tutte per un’iniziativa sul tema, e non sono riuscita a trovare un’immagine che mi soddisfacesse, per i motivi che tu dici. Alla fine non ne ho messe.
    Però – e non so se qui secondo te ho sbagliato – sul mio blog, che tratta non solo di immagini mediatiche ma anche e soprattutto di fotografia, ho pubblicato l’autoritratto di Nan Goldin picchiata dal fidanzato perché comunque è una foto vera, e fatta dalla donna stessa. Avevo anzi pensato di raccogliere altre foto d’autore sul tema – Donna Ferrato che ha passato mesi collaborando con la Polizia per documentare la violenza domestica, Annie Leibovitz.

    Cerco di spiegare la differenza secondo me: un’immagine artificiale che rappresenta la violenza, perdipiù estetizzandola e quindi rendendola ambigua, mi trasmette il messaggio opposto alle intenzioni: significa infatti andarsi ad immaginare e a costruire intenzionalmente una situazione di violenza – la direzione opposta a quella in cui si vuole sensibilizzare.

    Una foto che documenta la violenza mi dice invece: è successo (succede) questo = dobbiamo reagire.
    Certo l’ideale sarebbe riuscire a rappresentare la reazione alla violenza – forza, indipendenza, liberazione.

  4. la cosa più incredibile a livello comunicativo di questa locandina è che sotto il cubitale “stai zitta cretina!” c’è in piccolissimo il titolo dell’iniziativa “siamo pari! la parola alle donne” 😀

  5. icittadiniprimaditutto

    Reblogged this on i cittadini prima di tutto.

  6. Sono d’accordo con l’assunto di base: occorre convincere tutti che la violenza non è lo strumento per vincere e che è necessario tentare di farla finire in tutte le situazioni nella quale è presente e quindi fare anche campagne mirate, piuttosto che sparare nel mucchio.
    Premesso questo, occorre fare in modo di far arrivare un messaggio che stimoli positive reazioni e quindi stigmatizzi ateggiamenti ed azioni negative.
    E quì comincia il difficile. Premesso che non sono un attore della comunicazione, ho iniziato a pensare come comporre un messaggio positivo che possa risultare allo stesso tempo efficae ed attrattivo: onestamenta la mia immagginazione non va oltre ad immagini tipo “Mulino Bianco”, ma nel nostro caso, cioè contrastare la violenza, non mi viene nulla in mente. Allora ho pensato che se io stimolo ribrezzo e riprovazione, forse potrei ottenere qualche risultato, ma poi scateno i giusti commenti che precedono questa mia nota.
    UNALTRADONNA dice:”Certo l’ideale sarebbe riuscire a rappresentare la reazione alla violenza – forza, indipendenza, liberazione.” …ma come farlo realisticamente, cioè per farlo leggere, per interessare e per farlo applicare!
    La soluzione….io non la conosco! E’ possibile trovarla….forse? E voi cosa suggerite!

  7. Concordo sulla necessità di cercare un linguaggio diverso. Si potrebbe iniziare, ad esempio, presentando la violenza come un problema che compete in prima istanza a chi la agisce (uomo o donna che sia). Mi sembra che le cause della violenza spesso siano messe in secondo piano.

  8. Sono perfettamente d’accordo. La stessa repulsione l’hanno provocata in me le vignette con Mister B. che violenta l’Italia. Sempre violenza, sempre volgarità.

    Il punto è fornire un alternativa: ogni rappresentazione è un’esaltazione.

  9. Come per sponsorizzare la guerra alla mafia fai vedere la strage di capaci…ma insomma…che ne so, magari far vedere una donna che urla dietro a chi le ha usato violenza portato via dalle forze dell’ordine in manette, come per il mobbing, bisogna incitare a reagire, perchè quell’immagine è un immagine di sconfitta, un constatare che ci sono degli stronzi che infliggono violenze alle donne, invece bisogna mostrare la via d’uscita, e far capire che chi subisce violenza non è sola. Sembra lo spot dello status quo.

  10. forse intanto si dovrebbero diversificare i messaggi, rivolgendosi separatamente a chi subisce violenza e a chi la agisce.

  11. Qualche proposta alternativa ideata per il concorso promosso da alcuni organi dell’UE “Say No to Violence Against Women Ad Competition”: http://www.create4theun.eu/
    Il vincitore prova ad andare oltre la riflessione sterile che “la violenza fa male, imbruttisce e priva della dignità le donne che ne sono vittima”.
    Nel visual vediamo una donna normalissima: nè bellissima, nè giovanissima che ci interpella con lo sguardo. Nessun segno sul suo corpo: non tutto si può mostrare con foto raccapriccianti o raccontare con parole sconvolgenti.
    Mi sembra colga un buon punto, che ne pensate?

    Ilaria

  12. vero, una pubblicità (come al solito) fuorviante

  13. Se proprio dobbiamo discuterne, la questione è già stata centrata da “unaltradonna”: “violenza costruita e ambiguamente estetizzata”. Evitiamo quindi di far precipitare il tutto nella banalità e nella “reazione” che porta poi ad agire compulsivamente nei riguardi della violenza rappresentata per immagine o filmati. Il pericolo è lo stesso di quando le neo-fem si scagliano contro l’immagine sessuale più o meno esplicita. La soluzione non è la censura per gradi ma lo sviluppo della percezione cosciente sui contenuti ideologici veicolati in una determinata immagine. In questa immagine, ad es. non c’è alcuna “estetizzazione” finalizzata a occultare il vero “orrore” vissuto dalle donne (il “taci cretina” è pura ipocrisia reazionaria):
    http://adsoftheworld.com/media/print/rhode_island_coalition_against_domestic_violence_piece_of_meat?size=_original

  14. Pingback: Stai zitta, cretina: il difficile ruolo della comunicazione sociale | Il blog di Raffaele Pizzari

  15. vorrei tanto sapere di chi è stata l’ideona e quanto esperto è di comunicazione!

  16. e fare anche campagne per agire su di lui? perchè possa sentirsi come si sente una lei picchiata? per “rieducarlo”? e magari informarlo pure dei reati che commette con relative punizioni previste?
    e fare una campagna più semplicemente informativa diretta a lei pubblicizzando in modo efficace i centri di aiuto? a chi rivolgersi, dove andare, cosa fare.
    se lei deve prendere coscienza che è una vittima che può ribellarsi e trovare giustizia e salvezza, lui deve prendere coscienza che è un carnefice e che non può contare su consenso, giustificazioni, sconti, scuse e connivenze

  17. Vi passo questa galleria di pubblicità raccolte da El País. Alcune si salvano di più, altre di meno. Per esempio, quella che dice “Violence is not always visible” secondo me riesce a sfuggire alla trappola di cui si parla in questo post. E, già che ci siamo, la protagonista non è precisamente una bella ragazza, ma una donna di mezza età che si potrebbe benissimo definire della media.

    http://www.elpais.com/fotogaleria/Carteles/violencia/genero/elpgal/20111118elpepusoc_4/Zes/11

  18. Non posso che essere d’accordissimo, ma perché quando faccio notare questo tipo di cose all’interno della cerchia di persone che frequento tutti mi guardano come un alieno?
    L’ideologia dell’artificio retorico a tutti i costi crea questo tipo di distorsioni: ci siamo abituati all’idea che il gioco, siccome tende ad essere dappertutto, DEBBA essere dappertutto.
    Comunicazione-spazzatura, il messaggio non passa e passa un po’ del suo contrario.

  19. Pingback: 25 novembre: giornata internazionale contro la violenza sulle donne « infodonna

  20. Sì questa è una riflessione che va fatta, perchè la propaganda serve proprio a far passare il messaggio che viene mostrato, quindi se fai vedere solo un aspetto della faccenda lo riproponi all’infinito… Bisogna pensarci, probabilmente bisogna mostrare immagini che si rifanno a una soluzione (una donna che rompe le catene… che ricomincia a vivere…), alla possibilità concreta che al mondo si può stare bene, la violenza non è un destino ineluttabile… far ricorso alla forza delle donne, al coraggio, e all’utilizzo della loro potenza non per sopportare ma per lottare… immagini anche forti ma positive… E poi sicuramente, di pari passo, campagne in cui si vedano in faccia i violenti, gli abusatori, i molestatori, perchè questa violenza non è un qualcosa di mitico ma è agita da qualcuno, che non è un supereroe ma è molto terra terra! con un volto, degli atteggiamenti, comportamenti tipici (una delle difficoltà nella presa di coscienza delle donne abusate è che il loro caso gli sembra sempre diverso: il mio uomo non è così…) Insomma, come dicevo, c’è da riflettere.

  21. Ci sono due cose che mi hanno colpito.
    – Non si può fare una campagna a favore delle vittime rappresentandole come vittime; occorre dare un segno di riscatto, offrire certezza alle vittime che saranno ricompensate se [ri]-escono da questa subordinazione alla violenza ed anche alla prepotenza in genere
    – Cito il tema del post precedente sulla stigmatizzazione degli invalidi dove ho letto una riflessione circa l’uso dell’immagine violenta come sbagliata a combattere la violenza. Forse sembro in contraddizione con quanto ho appena scritto , ricordo però l’efficacia di alcuni spot visti negli anni 90 in Australia, o al metodo di ri-educazione Giapponese per chi ha provocato un incidente, dove mostrare [fino ad un certo punto] l’impatto cruento non è a mio avviso così sbagliato.

    Penso infatti a commenti che ho sentito da alcuni teen-agers sulle campagne buoniste sull’educazione stradale, li ritengono scialbi [anche se portatori di messaggi positivi], secondo me i giovani hanno bisogno di vedere una “violenza”, presentata come negativa, perchè lasci in loro un tarlo che abbia effetto

  22. La questione è (come ha ben inquadrato @Simona Lancioni) che pare che la violenza sia un problema esclusivo di chi la subisce: cominciamo con il fare capire che il problema ce l’ha innanzitutto chi compie violenza. E’ lui il malato, la persona socialmente debole.

    Questo articolo era stato illuminante (di Marco Deriu, Maschile Plurale, http://www.noidonne.org/articolo.php?ID=03516): perché parlare di “violenza sulle donne” e non di “violenza maschile sulle donne”?
    Sottolineerebbe la responsabilità dell’uomo, suggerirebbe che la violenza nasce in contesti specifici, che spesso sono proprio questi a impedire alla donna di denunciare, farebbe capire che non è “naturale” la violenza nell’uomo, ma patologica.

    Io farei un grosso “Denuncia” su sfondo scuro. E aggiungerei un “Noi siamo con te”, più numeri e recapiti dei centri antiviolenza.

  23. Emy (14:06:30) :
    vorrei tanto sapere di chi è stata l’ideona e quanto esperto è di

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    … più che l’esperto di comunicazione si tratta della responsabilità del committente; scusate ma qui finisce come nel caso dell’anoressia, che poi arriva il pubblicitario e si sfoga con uno a caso. Cmq al link del teatrolitta c’erano questi nomi, che qualcosa sapranno:
    GIOVEDÌ 24 NOVEMBRE 2011
    INAUGURAZIONE SIAMO PARI! LA PAROLA ALLE DONNE
    Ore 19.30 Aperitivo e Inaugurazione
    Interverranno:
    Annamaria Fellegara – Vice-Presidente Intervita Onlus
    CristianoTaglioretti – Direttore Nick
    Gianni Canova – Critico cinematografico e Patron di Siamo Pari! La parola alle Donne
    Francesca Senette – giornalista e testimonial Intervita Onlus
    Comune di Milano
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    Sia chiaro, a me delle polemiche con i responsabili non me ne frega un bip.
    Piuttosto faccio un invito alle photoshoppatrici incallite: modificate il manifesto originale http://www.siamopari.it/
    levando quegli orrendi punti di sutura, appunto stile horror, e quella stupidissima scritta in rosso; lasciando quindi lo splendido volto della ragazza più che espressivo e ingrandendo la frase in piccolo, ovvero SIAMO PARI…. etc….

    Vedrete che cambia tutto, levando il superfluo… il becero superfluo….

  24. su un tema analogo, volevo farti vedere invece il nuovo advert della barnardos che sta circolando in questi giorni in UK, mi piacerebbe sapere che ne pensi: perche’ io lo trovo ad un fortissimo impatto emotivo, e non e’ soltanto perche’ parla di bambini. Il device in questo caso e’ far vedere la storia di un ragazzo che invece va indietro nel tempo, dal presente al passato. Piu’ che controproducente, al confronto, il poster di sopra mi pare banale, ovvio, noioso, freddo, uno tanto per.
    Il link e’ qui:

  25. redazionefemminileplurale

    Quando si parla di violenza sulle donne, chissà come mai, non si parla mai degli e agli uomini che la compiono.
    Noi ci avevamo provato qui: http://femminileplurale.wordpress.com/2011/06/04/una-collaborazione-fp-per-create4theun/

  26. @luziferszorn: e quando mai? non c’è MAI un responsabile in questo paese. chissà chi è che decide boh

  27. beh sulla locandina il nome degli autori c’è:
    http://www.fantasticaratio.it/ (pubblicità sostenibile….)
    dividerei equamente la responsabilità 50% loro e 50% l’organizzazione del festival .

  28. Sarei curiosa di sapere se è stata una donna a ideare questa locandina. Non me ne stupirei. Viviamo in un mondo talmente maschile che finiamo per rappresentarci con gli stessi schemi di significato dai quali vorremmo uscire.

  29. Pingback: Donne che odiano le donne … « La Spugna di Fiele

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  31. “Sarei curiosa di sapere se è stata una donna a ideare questa locandina. Non me ne stupirei. Viviamo in un mondo talmente maschile che finiamo per rappresentarci con gli stessi schemi di significato dai quali vorremmo uscire”
    @Unasudue, sono molto d’accordo con te.
    Aggiungo che per una parte considerevole di donne non è ancora chiaro che il problema della violenza che si esercita contro di loro è un problema degli uomini. Alle donne spetta di affrontarlo nel suo manifestarsi. Ma ho l’impressione che questa confusione regni sovrana. La mia ipotesi è che l’abitudine ad attestarsi all’origine dei problemi – abitudine/attitudine consolidata anche nel lavoro di cura – comporti una identificazione con i problemi medesimi, con la loro origine e con i loro attori/autori. Si tratta di un identificazione che purtroppo ancora parla di una insufficiente soggettività femminile dovuta alla difficoltà di costituirsi una identità autonoma, indipendente dal maschile e quindi, tutto sommato, di una ancora preoccupante scarsa autostima sostituita da continui processi di autosvalutazione.

  32. Pingback: Le blogger e la violenza sulle donne | bloggercreativa

  33. Mi pongo dei quesiti e riflessioni..
    Il primo riguarda il maschile e il femminile che non sanno discriminare il comportamento violento, il quale non sta esattamente nella lesione fisica anche se combacia spesso e volentieri con quella, ma nella limitazione della libertà – in maniera franca per lei, in maniera latente anche per lui. La libertà costa nelle relazioni un tempo psicologico che la patologia dell’aggressore nella sua variante culturale o psicologica, non ha il tempo di sostenere, così come il dubbio e l’eventuale diniego. Così l’atto violento diventa la prova di una schiavitù di un non essere possessori di se stessi, di non saper reggere alla circostanza – di non tollerare il diniego. La violenza quando viene scandagliata per esempio ha spesso a che fare con una crisi della virilità non con una sua affermazione. Detto un po’ rusticamente: la violenza non ha le palle ecco.
    La campagna – che io trovo fastidiosa non perchè fa vedere un comportamento violento ma perchè lo estetizza e lo rende troppo commestibile, avrebbe un senso se non ci fosse un discorso culturale – e anche un tantino svuotato oramai – della violenza di genere. Film sulle poverette, dibattiti sulle poverette, indagini sulle poverette, che non so quanto abbiano giovato – un po’ certamente si perchè hanno fatto riflettere e parlare, un po’ però mostrano la corda, perchè non dicono niente dei movimenti psicologici e non tentano minimamente di modificarli. Mi piacerebbe perciò una campagna che toccasse il maschile nella psicodinamica della violenza, che gli facesse sbattere il grugno come dire, con la schiavitù che essa dimostra. Piuttosto che chiarire uno status quo a cui molti si sono assuefatti come all’evasione fiscale.

  34. Chissà quante persone vedendo questa pubblicità penseranno “ben le sta, troia”

  35. la ricerca per immagini su Google mostra che siamo ancora sulla strada sbagliata: pochissime le idee originali. A proposito di ciò che dice Zauberei, si può trovare lo slogan “chi umilia una donna non è un uomo”.
    Per il resto, molto make up e immagini assurdamente leziose, quando non addirittura ammiccanti.
    Una foto di cronaca almeno “arriva”, e in quanto vera può smuovere, se non è così cruda da far girare la testa – però è necessario andare oltre.
    http://www.google.it/search?q=violenza+contro+le+donne+&ie=utf-8&oe=utf-8&aq=t&rls=org.mozilla:it:official&client=firefox-a

  36. “Mi piacerebbe perciò una campagna che toccasse il maschile nella psicodinamica della violenza”

    – – – –

    Sì, certo. Piacerebbe a molti di noi uomini che si entrasse nel merito. Ma evidentemente non c’è interesse a scavare a fondo. Leggo l’articolo della Marzano su Repubblica e ho dei dubbi sull’efficacia comunicativa del passo in cui analizza il “comportamento maschile”. Leggo sull’Unità un articolo sul tema e mi cascano le braccia. Sulla Stampa idem, sul Corriere non trovo nulla… Ma forse è meglio così. Cmq sì, sarebbe bello se si potessero affrontare questi problemi scavando nel profondo dell’origine della violenza. Però vedo che anche su questo blog, alle 12 di oggi già si passa ad altro. Arrivederci allora. Al prossimo anno. Nel frattempo cercate di sopravvivere :-/

  37. beh luz, forse un contributo a rappresentare iconicamente “il maschile nella psicodinamica della violenza” potrebbe arrivare da qualche uomo che rifletta su queste cose, no?

  38. Luziferszorn, scrivi: «Però vedo che anche su questo blog, alle 12 di oggi già si passa ad altro. Arrivederci allora. Al prossimo anno. Nel frattempo cercate di sopravvivere :-/ »

    Vuoi dire che sono/siamo superficiali anche qui? Perché non sto scrivendo un trattato sul perché e il per come della violenza maschile sulle donne? perché ho scritto il post di oggi su un altro tema?

    Faccio una battaglia quotidiana, su questo come su altro, ma non metto la bandiera alla finestra né uso la grancassa per annunciare ogni cosa che faccio, Sto partendo per Roma, proprio a parlare di questo e lavorare su questo. Non basta? lo so da me, ma faccio il possibile. Ho una sola vita, al momento.

    Il blog non è il solo strumento. E tu non hai la verità in tasca.

  39. Provocazione (ma non troppo): sono una donna ma anche animalista. E sinceramente, a una che abbandona il cane, a una ricercatrice che fa vivisezione, a una che indossa la pelliccia, a uan schifosa che fa il crushing (schiacciare animali anche gatti e cani sotto i tacchi a spillo) un paliatone sonoro glielo farei eccome. Certo, lo stesso varrebbe anche per un uomo, ci mancherebbe, solo che io penso, che in questi casi che ho detto, da donna a donna, la violenza sarebbe non solo giustificata ma doverosa.

  40. Il tuo post mi ha fatto riflettere. E’ vero, quel bel visino perfetto stona. Hai ragione.

  41. ho provato invece a cercare immagini con le parole “donne forti”, e quello che viene fuori è pure da mani nei capelli:
    http://www.google.it/search?q=donne+forti&hl=it&client=firefox-a&hs=mrb&rls=org.mozilla:it:official&prmd=imvnsfd&tbm=isch&tbo=u&source=univ&sa=X&ei=6pLPTu2DKY_GtAbRnIiCDQ&ved=0CGMQsAQ&biw=1280&bih=857

    fotografi (soprattutto di stock) e grafici di tutto il mondo: c’è tutto un mondo da creare!

  42. Pingback: 25 novembre 2011 Violenza attraverso maschili e femminili « PONTITIBETANI

  43. Credo anch’io, come suggerito da alcune, che la violenza vada trattata, anche o forse principalmente, come problema maschile.

    Assocerei, con parole e immagini, la virilità alla gentilezza.
    Volendo passare dal positivo — che generalmente nella comunicazione è meglio — al negativo, assocerei la violenza dei maschi sulle donne alla loro insicurezza, o addirittura impotenza,

    Lo dico in una prospettiva maschile, mestamente autocritica. 😦
    (Non che le donne siano poi tutte rose e fiori, ma questo problema ce l’hanno molto molto meno.)

  44. intanto il bello di un blog è che quando si aggiunge un post nuovo le discussioni su altri post possono continuare a vivere nei commenti. Quindi il problema non credo si ponga qui ecco. Non è come un giornale che poi lo butti.
    Pensavo a quello che diceva Ben – è rischioso Ben per due cose. La prima è che emani un messaggio che surriscalda le femministe: “le donne si toccano solo con li fiori”. Le donne so’ delicate etc. Il secondo è che castra il tasto aggressivo della sessualità che c’è e che piace, e che se tu quando parli di sesso lo butti fuori dalla porta quello ti ritorna dalla finestra. Io non sono pubblicitaria non è il mio campo, ma insomma il concetto da chiamare in causa è quello di tenuta, di capacità di stare con l’impulso violento senza dargli azione.

  45. come diceva un vecchio slogan di pneumatici: “non esiste potenza senza controllo”
    🙂

  46. (pardon, era “la potenza non è niente senza controllo”…ma insomma ci siam capiti)

  47. Quello quello! E se fai un sondaggio a tema erotico alle donne vedi che guizzi all’uomo che tiene. (Che non deve chiedere mai! tzk! 🙂

  48. mi hanno appena passato questo, volevo condividerlo, scusate se ho gia’ postato un video prima 😦 Questo e’ girato dalla associazione “we are man”, una associazione di uomini che dicono basta alla violenza delle donne. Per chi magari si perde il breve parlato alla fine, dopo aver mostrato tutti i modi in cui gli uomini fanno cazzate (e ci ridono sopra), nella scena nel parco il ragazzo che suscita quella reazione negli amici dice “ora ci andrebbe proprio bene un bello stupretto”. Come prima, mi piacerebbe sapere che ne pensate (specie tu giovanna), come messaggio fuori dagli schemi:
    http://www.youtube.com/user/weareman2011

  49. ok ok! Gentilezza, associato a virilità, non era il termine migliore.
    Fate voi ragazze. 🙂

  50. Pingback: Contro la violenza: realtà e rappresentazione « Un'altra Donna

  51. Dopo aver visionato il video della Comencini non mi rimane che del lurido sarcasmo luciferino: sono cazzi acidi vostri. In altre parole, sbrigatevela da sole. Io mi autotermino colandomi nell’acciaio fuso.

  52. Beh almeno c’è quel “io non ti amo più” finale, che è forte, mi piace! Forse c’è una versione estesa del video con tutte le protagoniste che lo dicono? Così mi pare tagliato…

  53. Ottimo intervento, chiaro e preciso, concordo 🙂

  54. E’ vero lo spot Stai zitta cretina e’ proprio brutto e lascia il tempo che trova. Come al solito punta al far sentire la gente ancora piu’ male perche’ quella e’ una bella ragazza, come se fosse brutta chi se ne frega. Ci sono spot piu’ intelligenti che circolano. Questo per esempio della comencini e’ molto bello perche’ intanto c’e’ una carrellata di donne diverse e poi punta sul rendere coscienti le donne che continuano a pensare ci sia dell’amore in situazioni di violenza domestica e a perdonare che e’ una cosa che a me manda particolarmente in bestia.

    http://video.repubblica.it/cronaca/violenza-sulle-donne-lo-spot-della-comencini/81567/79957

    quest’altro non so se e’ passato in Italia ma era sulla bacheca FB di “Donne per Milano” punta invece sull’educazione dei figli maschi altra cosa intelligente.

  55. PS pecco anch’io di non leggere i commenti. Vedo che lo spot della comencini e’ gia stato riportato in altri commenti.

  56. Mi è piaciuto molto il manifesto dei movimenti artistici S.P.A. (Società Per Azioni Artistiche) e la propaganda per la ©ivilizzazione delle masse.

    Il manifesto per invitare gli uomini ad avere più cervello
    http://oltreviola.blogspot.com/2008/11/25-novembre-giornata-internazionale.html

    Violenza sulle donne: quello che è manca l’uomo
    http://www.giornalesentire.it/2008/aprile/618/quandoel-uomoavergognarsi.html

    Diverso e centrato sul problema, non sull’effetto del problema.
    Credo la soluzione passi attraverso l’individuazione e la stigmatizzazione della causa (violenza maschile), non dell’effetto (donna violentata, malmenata, ecc.).
    Il manifesto addita e mostra la bestialità del carnefice, invece della sofferenze della vittima; è centrato sull’uomo invece che sulla donna e lo trovo più efficace e “rivoluzionario” anche del video della Comencini.

  57. Non è semplice affrontare un tema così forte, ogni idea realizzata diviene criticabile è normale ma credo che le intenzioni siano sempre “vere” se si spende tempo (tanto) per dire qualcosa su questo triste e difficile argomento:

    il manifesto:
    http://www.violadimassimo.com/popup/popup.php?codgalleria=995

  58. @supermambanana: il video di Barnardo e’ molto bello. In UK pero’ c’e’ un problema con la violenza domestica spesso associata all’alcohol che va oltre quello che io ho mai visto in Italia o sentito in Italia. Una buona percentuale di donne Inglesi ha avuto esperienze di violenza e/o e’ scappata da una relazione di violenza. La mia vicina aveva il fratello che ogni due settimane le veniva a spaccare la casa finche’, stufa di sentirmi minacciata io stessa (non avete idea di che parti primitive del cervello reagiscono a sentire un uomo infuriato ed una donna che piange dall’altra parte di un muro) non ho cominciato a protestare con il trust che le affitta la casa e sono ufficialmente intervenuti. Gli spot contro la violenza domestica specialmente contro i bambini vanno in onda tutto l’anno non c’e’ una giornata speciale. Se una donna si presenta con un occhio nero al lavoro tutti assumono automaticamente che e’ stato il compagno/marito o qualche altro uomo in casa e non dicono niente. Purtroppo spesso se anche si chiama la polizia le donne poi dicono che “no, non era niente, non voleva, mi vuole bene……”. Le poche che scappano da una situazione veramente abusiva e’ perche’ hanno dei figli ed ad un certo punto decidono di salvaguardare i figli altrimenti restano li prigioniere della loro paura. Oltretutto se come la mia vicina non vengono toccate fisicamente e’ difficile per la polizia intervenire.

  59. Forse questo va nella giusta direzione:

  60. Monica sono contenta tu abbia apprezzato il manifesto, mi fa piacere.
    L’idea infatti era quella di non mostrare una donna picchiata e ovviamente, neanche quella di offendere l’uomo in quanto uomo: si è cercato di far ricordare con un’immagine dal volto coperto (senza identità) che si può e si deve scegliere fra istinto e ragione e che a volte, la ragione, deve prevalere sull’istinto più brutale e meschino di cui l’uomo (inteso come genere umano) è dotato.

  61. Presupposto: penso sia difficilissimo trovare le parole e la forma giuste per trattare un tema che in molti paesi non è considerato reato e nemmeno in Italia trova la comprensione di altri reati contro la persona.

    Detto questo, trovo che neppure questi ultimi manifesti/spot siano giusti:

    – lo spot della Comencini non mi convince perché mostra la solita immagine di donna, e l’unica che si ribella è l’ultima, non quelle ammaccate e piangenti. Insomma, comunica la solita debolezza, e permette addirittura di personificarsi con le vittime. Mal comune mezzo gaudio per chi vittima la è. “Non ti amo più”. No. Basta donne romantiche che subiscono l’amore. “Ti denuncio, ti mando in carcere, ti faccio pagare i danni”, questo va detto.

    – l’immagine dell’uomo con il cervello tra le gambe.
    1. Riduce la relazione patologica su cui si fonda la violenza alla sfera sessuale, ma non sempre è così, si tratta di forme di possesso e dominio più ampie
    2. Ecco di nuovo lo stereotipo dell’uomo che ragiona con il membro, ribadendolo quindi come “principio naturale” da cui bisogna distaccarsi, ma così facendo lo giustifica come implicito nell’uomo stesso.

    – UniFEM (@M. Cristina Caimotto): lodevole il voler accostare le violenze immediatamente percepite come tragedie alla violenza sulla donna.
    Eppure non rende, perché?
    Perché ancora una volta sottintende un ruolo dipendente per la donna: “Chi sarà la prossima? Tua madre? Sorella? O tua figlia?” Come dire: se l’uomo ha il diritto di vita e di morte sulla propria parente stretta, allora facciamo in modo che scelga la vita.
    Senza considerare poi che tra quasi tutte le violenze elencate (delitto d’onore, infibulazione, mutilazione genitale, sfruttamento sessuale, stupro, violenza domestica) avvengono proprio grazie alle attenzioni di fratello, padre o marito.

  62. Riguardo l’uomo col cervello, in realtà l’idea non era quella di dire che l’uomo ragiona con il membro, sarebbe stato offensivo (ma siamo tanti ed ognuno carpisce cose diverse), in realtà l’immagine è di un uomo che coperto nasconde la propria coscienza e razionalità. Il cervello sul membro dice (o suggerisce) di far prevalere la ragione sull’istinto.

  63. Quello che mi ha colpita nel manifesto “uomo con cervello” (per la giornata contro la violenza sulle donne) è, in ordine:
    1. L’uomo (e non la donna)
    2. La nudità dell’uomo
    3. La posizione delle mani sulla testa coperta
    4. Il cervello (la testa) tra le gambe

    E il messaggio che ne deduco è: se non vuoi vergognarti di te stesso (mani e volto coperto) non mettere la testa fuori posto; non trasformare il tuo membro nel tuo cervello.

    Citando Woody Alllen: Il mio cervello e’ il mio secondo organo preferito.

  64. interessante citazione Monica e grazie per l’osservazione.

  65. Monica66, mi dispiace molto che tu porti come esempio il terribile manifesto con l’uomo nudo e il cappuccio nero.

    Il manifesto a cui ti riferisci (http://oltreviola.blogspot.com/2008/11/25-novembre-giornata-internazionale.html) è un altro triste esempio che cito sempre, nelle conferenze in cui mi invitano a parlare di questi temi, come esempio negativo e terribilmente controproducente, perché ancora una volta risponde con la violenza alla violenza, semplicemente spostandola su un soggetto maschile.

    Il cappuccio nero ricorda:
    (1) il boia
    (2) il klu klux klan,
    (3) una setta satanica.

    Cioè conferma e rinforza l’uomo nel ruolo del carnefice, del mostro, dell’assassino. Ma scherziamo?

    D’altra parte, con ambivalenza ancor più raccapricciante, l’uomo denudato, umiliato e privo di identità perché ha il volto coperto, ricorda le torture inflitte (anche da donne) ai prigionieri di Abu Ghraib. È questo messaggio che vogliamo diffondere?

    Sono questi gli orrori con cui una campagna contro la violenza deve rispondere agli orrori della violenza contro le donne? Vogliamo propagandare una cultura che tratti gli uomini come prigionieri di Abu Ghraib?

    Una delle peggiori cose da fare, nel tentativo di combattere la violenza sulle donne, è rispondere alimentando una cultura della violenza semplicemente ritorta sugli uomini. Così non se ne uscirà mai, signore e signori, ragazze e ragazzi. Non scherziamo con le cose serie.

    Niente da fare, vedo che dalla cultura della violenza molte/i di voi non riescono a uscire. Anche le persone animate dalle migliori intenzioni, e in apparenza più attente e sensibili a questi temi. È un indice forte di quanto la comunicazione (e la cultura) della sopraffazione reciproca e della guerra fra i sessi ci stia dominando da decenni. Ci tornerò, eccome se ci tornerò. Anche sul video della Comencini.

    😦

  66. Succede come in un dipinto: l’osservatore osserva e ne deduce qualcosa, in realtà ciò che ne deduce spesso non è l’idea dell’autore ma la proiezione di sé, è ciò che si è propensi a vedere a seconda di come si è e chi si è dentro. Al boia non avevo pensato, al klu klux klan tanto meno e neanche ad una setta! Non sono pensieri che mi appartengono fortunatamente, il nero con cui è coperto l’uomo in questione è l’assenza di luce, quindi di illuminazione, di identità.
    Quel manifesto terribile è stato pubblicato sulla Stampa Nazionale, molti hanno criticato come, giustamente, fai tu e molti no. In quel caso il direttore del giornale ha visto altro (fortunatamente) e lo ha pubblicato consapevole degli assenzi e consapevole dei dissensi. Io, ovviamente, ne ero felice perché le mie intenzioni (e dell’altro artista con cui l’ho creato) erano le più pure e le più motivate visto che chi ha a che fare con l’arte lo fa unicamente mosso da un movimento interiore assolutamente puro.
    Mi dispiace che a te non arrivi quello a cui ho pensato creandolo ma quando ci si “butta” nella vastità di un pubblico sarebbe strano il contrario.
    Speriamo sempre comunque in comunicazioni migliori e ricezioni migliori perché l’apertura mentale fa creare meglio e anche comprendere meglio. In ogni caso, ti ringrazio molto per l’attenzione che hai dato al manifesto.

    p.s. specifico tre cose:
    1) che la frase “quando è l’uomo a vergognarsi” scritta sul giornale Sentire è una frase che non condivido affatto, ma si sa che c’è libertà di pensiero e parola fortunatamente per cui, ognuno scrive ciò che crede.
    2) la performance realizzata in seguito che ho postato qui sulla giornata internazionale contro la violenza sulle donne (in cui con dei palloncini biodegradabili sono stati fatti volare 300 manifesti), si conclude con una frase che non rende settoriale la violenza.
    3) il manifesto è creato da una donna non femminista, che non fa distinzioni fra uomo/donna perché crede prima di tutto nel senso dell’individuo. Una donna che di violenza qualcosa ne capisce, e da un uomo che non si è sentito offeso né ha creduto che la violenza fosse relegata ad una questione unicamente maschile.

  67. Anche questa volta mi tocca (: concordare con Giovanna.
    Premesso che non sono un pacifista mi sembra giusto ricordare che opponendo violenza a violenza fa vincere il più forte, il più abile o meglio il più abituato a combattere. Nell’ambito rapporti donna-uomo gli uomini sono stati dalla parte dei vincitori per qualche migliaio di anni e le donne hanno imparato a combattere da solo 100 anni. Sulla base di queste premesse se ci poniamo sul piano dello scontro non arriviamo a niente e ci saranno altri 100-1000 anni di donne che vogliono la rivincita.
    La più visibile differenza fisica tra uomo e donna è nell’organo sessuale e, talvolta come simbolo di riconoscimento (le mani a triiangolo del ’68) talvolta come voce offensiva “testa di c***o”, sono usate per contrastare i ragionamenti.
    Trovo difficile, quando scrivo qualcosa, indicare per semplicità l’essere umano con il generico vocabolo “uomo”, forse il giorno in cui saremo stati capaci di superare questi problemi lessicale, inizieremo ad essere esseri umani e non più donne vs. uomini.
    Io provo a venire in pace, ma se chi mi viene incontro è armato………

  68. viola, scusa se sono stata troppo dura. Lo so che non hai/avete pensato a quelle associazioni. Lo so che avevi/avevate le migliori intenzioni. E sono pure consapevole che non tutti erano né sono in grado di produrre attivamente le associazioni che ho menzionato in modo esplicito e consapevole.

    Queste associazioni, questi significati, queste emozioni si assorbono in modo inconsapevole e sotterraneo. E si riproducono altrettanto inconsapevolmente.

    Non vengono in mente a tutti/e a volte non per ignoranza (a volte sì, ma non sempre), ma perché si guarda l’immagine condividendo il background culturale e valoriale, condividendo le intenzioni di chi ha prodotto l’immagine. È quello che dicevo anche rispetto all’affissione di Intervita: ci vede un’immagine contro la violenza, e non a favore della violenza, solo chi già parte dal presupposto che quella sia un’immagine contro la violenza. Solo chi parte dal presupposto che le campagne contro la violenza si fanno così, e punto. Insomma, a volte non è mancanza di cultura visiva, ma semplice autoreferenzialità: chi produce immagini come la vostra e come quella di Intervita parla solo a chi già condivide la lotta contro la violenza. E gli altri?

    In ogni caso, pur vagamente e oscuramente, sarai d’accordo con me che il manifesto è volutamente angosciante, cupo. E questo lo è per tutti. Anche se non si è in grado di nominare esplicitamente i contesti che ho nominato io, il manifesto con l’uomo nudo incappucciato suscita emozioni di angoscia e morte e di queste avvolge una figura maschile. E queste emozioni le suscita in tutti: persone consapevoli e inconsapevoli, colte e incolte, inclini alla violenza o lontanissime dalla violenza, serene dal punto di vista affettivo o patologicamente scosse da problemi personali e psicologici di vario tipo.

    Io mi limito semplicemente a spiegare perché quel manifesto evoca angoscia, disperazione e morte, dando un nome a ciò a cui molti/e non riescono a dare un nome. Ma l’emozione c’è anche in chi non sa dire perché. C’era in chi ha prodotto il manifesto, mentre lo produceva, e c’è in chi lo guarda.

    E allora? Non è forse ciò che sto dicendo? Dalle emozioni che intridono la cultura della violenza e della guerra fra i sessi non siamo quasi più in grado di uscire: persino chi – con le migliori intenzioni, ripeto – vuole combattere la violenza riproduce queste emozioni per inconsapevole automatismo.

    Io non sono affatto felice di dover dire queste cose, credimi. Non mi compiaccio affatto di dover criticare immagini come queste. Preferirei di molto esultare, gioire additando a tutti una campagna – finalmente! – contro la violenza, che fosse ben fatta. Sarebbe molto più bello. Sarei più felice.

    Ma ti dirò di più: una campagna ben fatta non avrebbe bisogno di me per essere additata. Esploderebbe sotto l’attenzione di tutti/e in pochi giorni. Detto questo, ovviamente una campagna sola non basterebbe contro decenni di immagini controproducenti: ce ne vorrebbero non una, ma dieci, cento, mille. Occorrerebbe insistere, continuare, ripetere. Ci tornerò anch’io, ripeto.

  69. Viola: tu dici “l’osservatore osserva e ne deduce qualcosa, in realtà ciò che ne deduce spesso non è l’idea dell’autore ma la proiezione di sé, è ciò che si è propensi a vedere a seconda di come si è e chi si è dentro.”

    Ma chi fa comunicazione deve occuparsi e preoccuparsi degli effetti che le immagini che produce creano in chi legge e interpreta le immagini. Le associazioni che ho evocato io, a partire dall’uomo nudo col cappuccio e il cervello sopra l’inguine, non stanno nella mia testa, stanno nella cultura che condividiamo.

    Fare appello alle proprie “intenzioni d’autore” per spiegare un’immagine lascia il tempo che trova: un testo, una volta prodotto, viaggia per conto proprio. E chi lo produce non può certo prevedere tutte le interpretazioni che quel testo permetterà, ma deve farsi carico di prevederne il maggior numero possibile, se non vuole sbagliare. Specie nel campo della comunicazione sociale, dove sono in gioco in modo più pesante che in altri campi, questioni di responsabilità e etica, visto che si toccano temi e problemi molto delicati, e di grande impatto sociale.

    Poi capisco che, nel vostro caso, vi muovevate su un sottilissimo confine fra produzione artistica e comunicazione sociale, nel senso che la vostra non era una campagna sociale nel senso classicamente inteso, con un’istituzione o associazione che commissiona e un ‘agenzia che realizza… lo so. Però.

  70. Per la seconda volta in pochissimo tempo mi sembra giusto dare ragione a Giovanna: il valore del messaggio è in quello che arriva e non in quello che parte. L’arte ed il valore del comunicatore sta nel fare in modo che l’ascoltatore, con la SUA capacità di intendere e di volere, interpreti il messaggio nel modo esatto e congruente con il volere di chi lo ha scritto…..e non c’è produzione artistica o comunicazione sociale che tenga.
    Uno spendido esempio di questa legge è il gioco “del telegrafo senza fili” che si fa da bambini: il primo dice una parola all’orecchio del secondo, che la ripete al terzo e così via: normalmente il primo dice gatto e l’ultimo capisce transatlantico.
    Penso che maestri, politici, comunicatori debbano tener ben presente questa regola …..altrimenti le parole sono semplici “foglie al vento”!

  71. io penso che una differenza tra produzione artistica e comunicazione sociale vada tracciata. E’ giusto che l’artista si preoccupi della maniera in cui verrà recepita la sua opera ma non può neanche farsi bloccare dalla paura che la sua opera possa non piacere e/o essere interpretata in maniera sbagliata che tanto ci sarà sempre chi vede in un’opera cose diverse da quelle che ci vedo io
    Personalmente amo due cineasti diversissimi come Woody Allen e Quentin Tarantino, i loro film mi comunicano determinate cose, un altro fan potrebbe vederci cose che io non ho visto..e naturalmente chi non ama il loro cinema, se mai dovesse vedere un loro film ci vedrà ancora altre cose e proverà emozioni opposte a quelle che provo io, ed è normale che sia così, ognuno ha la sua sensibilità.
    Ciò che dico,forse non sarà condiviso qui, ma non credo che un artista, un autore debba sentirsi responsabile di ogni singola interpretazione data da chi fruisce della sua opera, diverso è il caso di chi fa comunicazione sociale e pubblicità progresso, in quel caso cè quella responsabilità uteriore di cui parlava Giovanna Cosenza

  72. Posso confermarti, con tutta sincerità, che non avevo pensato a nessuna delle associazioni che hai elencato.
    Se le ho fatte inconsciamente, comunque non posso riferirle.

    Lascio certamente a te il compito di fornire una lettura professionale e esperta della comunicazione e delle sue implicazioni, io posso solo testimoniare il mio pensiero da “fruitrice”, che spero possa comunque esserti di aiuto.
    Molte delle associazioni che hai richiamato, ovviamente, le riconosco come vere, ma non le avevo in mente finché non le hai elencate (richiamate?).

    Quello che mi aveva colpita, più di tutto, è il senso di vergogna della posizione delle braccia e del volto nascosto, forse perché è proprio quello vorrei leggere in una campagna contro la violenza sulle donne; forse è quello che io ci ho voluto leggere, avendo a disposizione pochissimi esempi di immagini senza donne pestate, ma con l’uomo al centro.

    Sarò molto lieta se approfondirai il tema, magari fornendo anche a me uno strumento per riconoscere in me stessa i sintomi dell’abitudine-assuefazione alla violenza e alle immagini che la rappresentano.

    Un saluto e buona domenica.

  73. Io non ho trovato il manifesto dell’uomo nudo angosciante. Piuttosto ho pensato fosse troppo intellettuale. A me sembra la locandina di un pezzo di teatro sperimentale (se si chiama ancora cosi’). Il simbolismo del cervello tra le gambe a rappresentare la prevalenza della ragione sull’istinto non funziona neache tanto, decisamente non e’ la prima cosa che ho pensato vedendo l’immagine e non ci sarei arrivata senza spiegazione. La violenza e’ una cosa viscerale non e’ intellettuale.

    Siete tutti contro il video della Comencini ma per come la vedo io e’ riuscita a rappresentare svariate cose:

    1) La tipologia di donne estremamente varia rappresentata fa capire che la violenza domestica e’ un male comune e non confinata ad un solo tipo di donna e non solo ad una fascia di eta’. Puo’ succedere a tutti di mettersi con la persona sbagliata e quando si e’ in quella situazione e’ difficile uscirne. La societa’ non aiuta, tende a negare e a scaricare il problema su qualcun altro.

    2) La reazione e’ sempre la stessa ed e’ reale. La maggior parte delle donne in situazioni di violenza domestica dice “ti amo” per una varieta’ di ragioni ma anche e sopratutto perche’ e’ intriso nella nostra cultura che le donne perdonino e che si possa riscattare il proprio uomo con l’amore. Quante pensano anche in situazioni meno gravi, ti cambiero’ col mio amore? Metterci delle donne che dicono di no da subito come vorrebbe Fabiana parlerebbe a donne che in una relazione cosi’ non ci si metterebbero neanche non a donne che si fanno picchiare.

    3) Alla fine una donna dice “no non ti amo piu'” e quel no e’ forte proprio perche’ viene dopo una carrellata di donne che dicono “ti amo” e quel no finale e’ una liberazione. E infine lo spot conclude con “non chiamarlo amore” per me un chiaro messaggio alle donne che insistono a chiamarlo amore e che sono tante.

    A me piacerebbe uno spot dove si vede una donna in una relazione violenta, che fa le valigie e se ne va e quando esce dalla porta ha tutti gli amici che la accolgono a braccia aperte e che guardano malissimo l’uomo che viene lasciato solo sulla stessa porta non solo da lei ma da tutti come si merita. Oppure uno spot dove l’uomo vilento viene arrestato, processato e condannato. Sempre circondato dalla disapprovazione generale.

    Ma spot cosi’ rappresenterebbero davvero la realta’? Non direbbero tutti si ma questo accade solo nei film? Parlerebbero alle donne che sono in una situazione violenta?

  74. Paolo1984 dici: «io penso che una differenza tra produzione artistica e comunicazione sociale vada tracciata». Certo che va tracciata e se stiamo dal lato della produzione artistica sono d’accordo con te.

    E tuttavia il manifesto con l’incappucciato è stato proposto e veicolato *anche* come campagna sociale. Dunque dalla responsabilità verso i suoi effetti non può mica tanto sfuggire… pena una «falsa coscienza» che i due autori non credo proprio abbiano.

  75. Giovanna non sei stata dura figurati! anzi stiamo comunicando i ché non è cosa da poco. Sono comunque sempre dell’idea che l’immagine venga percepita a seconda di chi osserva e del proprio essere, è proprio per questo che un’immagine viaggia da sola come giustamente dici. E l’inconscio è diverso per ognuno.
    Ho accolto molte critiche e molti consensi e ti assicuro che anche i più negativi mi hanno fatto “bene” perché il mio intento non era e non è mai la “gratificazione” ma arrivare a capire cosa suscita un’immagine negli individui che la osservano così, attraverso ciò, comprendo meglio l’animo umano (me compresa). Unica vera fonte di ispirazione per il mio lavoro.
    Poalo, è vero che la comunicazione pubblicitaria e artistica sono due cose molto diverse ma sottolineo che io non voglio assolutamente essere compresa per forza e non voglio imporre la mia idea originaria (mai fatto!) . Anzi!
    In questo caso mi sono arrivati dei link a questo blog e mi faceva davvero piacere raccontare un po’ ciò che avevo pensato durante la nascita di questa opera/figlio/ennesimo lavoro sentito e rapportarmi con il fruitore. So bene che “buttandomi” nel pubblico avrei suscitato di tutto e tutte le idee più svariate “setta” compresa, va bene così perché il mio guadagno é la crescita: Rifletto io, riflettete voi. Nulla di più sano poteva accadere.

    Vi ringrazio e buona domenica a Monica e tutti sperando magari di potervi conoscere dal vero per poter approfondire dal vero questo argomento e magari mille altri.
    Viola

  76. se il manifesto è stato proposto sin dall’inizio come campagna sociale, hai ragione Giovanna, chi lavora in questo settore ha il dovere, secondo me, di evitare interpretazioni ambigue o opposte a quelle che vuol dare (fermo restando che incognite ci saranno sempre non si possono prevedere nè controllare le reazioni di ogni fruitore,e ognuno ha il suo inconscio come dice viola)
    La produzione artistica anche quando tocca temi”forti” o di impegno civile può permettersi di essere ambigua o di essere interpretata come tale, in molti casi lo è volutamente ed è pure un pregio, per le campagne sociali il discorso è diverso: se faccio una pubblicità progresso o una campagna di manifesti contro la violenza sulle donne e mi accorgo che viene recepita in maniera opposta a quello che avevo in mente , mi pongo il problema.
    Poi come dice viola nel suo bell’intervento, l’importante è che ogni critica, ogni “ricezione” negativa o positiva, aiuti a crescere

  77. Una differenza importante, forse anche qui, è quella fra connotazione positiva e negativa.
    Ad esempio, invece che un’immagine negativa di un uomo violento, si può dare un’immagine positiva di un uomo appassionato, ma senza nessuna violenza coercitiva.
    (Oppure di una donna che si fa più o meno tranquillamente valere, invece di una vittima.)
    Modelli positivi.

    In questi giorni, mentre seguo questa discussione, sto vedendo per lavoro un vecchio film di Lubitsch, La vedova allegra (1934), molto molto pre-femminista ;-).
    Il protagonista, che allora si sarebbe detto donnaiolo impenitente, impersonato da Maurice Chevalier, in varie scene è un modello meraviglioso di seduzione maschile, audace e decisa, ma profondamente rispettosa, anche in assenza di amore romantico..
    Mi piacerebbe postare dei fotogrammi, espressivi di questo, ma non ci riesco.
    Specialmente la scena della camera da letto al Maxim, a metà film.

    Voi del mestiere, guardatelo. E’ un mondo così diverso dal nostro, riguardo ai rapporti fra donne e uomini, ma può forse darci qualche idea.

  78. Non piace neanche a me quest’immagine. Ma tu, che sei esperta di comunicazione, come l’avresti riprodotta?

  79. Assolutamente d’accordo, l’immagine che bisogna dare è tutt’altra.

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  84. cara giovanna, sono d’accordo con te. Mi piacerebbe individuare qualil campagne riescono a centrare questo punto. Esempi in questo senso sarebbero utili per riflettere !

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