Non ho mai sopportato gli steccati generazionali. Per intenderci: il fatto che i ventenni frequentino solo ventenni, i bambini delle elementari solo amichetti della stessa età, i settantenni altri settantenni. Per me un ragazzino di dieci anni dovrebbe divertirsi col nonno, oltre che coi ragazzini della sua età. E giocare a zompagalletto col cugino ventenne e la vicina di casa quarantenne. Più ci si mescola, più si cresce. Da zero a cent’anni.
Perciò, puoi immaginare come ci sono rimasta bene quando ho ripescato questo brano di Pasolini, da un articolo che scrisse il 7 gennaio 1973 sul Corriere, che s’intitolava “Contro i capelli lunghi”:
«Le maschere ripugnanti che i giovani si mettono sulla faccia, rendendosi laidi come le vecchie puttane di un’ingiusta iconografia, ricreano oggettivamente sulle loro fisionomie ciò che essi solo verbalmente hanno condannato per sempre. Sono saltate fuori le vecchie facce da preti, da giudici, da ufficiali, da anarchici fasulli, da impiegati buffoni, da Azzeccagarbugli, da Don Ferrante, da mercenari, da imbroglioni, da benpensanti teppisti.
Cioè la condanna radicale e indiscriminata che essi hanno pronunciato contro i loro padri – che sono la storia in evoluzione e la cultura precedente – alzando contro di essi una barriera insormontabile, ha finito con l’isolarli, impedendo loro, coi loro padri, un rapporto dialettico.
Ora, solo attraverso tale rapporto dialettico – sia pur drammatico ed estremizzato – essi avrebbero potuto avere reale coscienza storica di sé, e andare avanti, “superare” i padri.
Invece l’isolamento in cui si sono chiusi – come in un mondo a parte, in un ghetto riservato alla gioventù – li ha tenuti fermi alla loro insopprimibile realtà storica: e ciò ha implicato – fatalmente – un regresso.
Essi sono in realtà andati più indietro dei loro padri, risuscitando nella loro anima terrori e conformismi, e, nel loro aspetto fisico, convenzionalità e miserie che parevano superate per sempre.»
(P.P. Pasolini, Scritti corsari, Garzanti, Milano, 1975, p. 10)
Carta vetrata sui conflitti generazionali di allora. E quelli d’oggi?