Archivi del mese: agosto 2008

Generazioni a confronto

Non ho mai sopportato gli steccati generazionali. Per intenderci: il fatto che i ventenni frequentino solo ventenni, i bambini delle elementari solo amichetti della stessa età, i settantenni altri settantenni. Per me un ragazzino di dieci anni dovrebbe divertirsi col nonno, oltre che coi ragazzini della sua età. E giocare a zompagalletto col cugino ventenne e la vicina di casa quarantenne. Più ci si mescola, più si cresce. Da zero a cent’anni.

Perciò, puoi immaginare come ci sono rimasta bene quando ho ripescato questo brano di Pasolini, da un articolo che scrisse il 7 gennaio 1973 sul Corriere, che s’intitolava “Contro i capelli lunghi”:

«Le maschere ripugnanti che i giovani si mettono sulla faccia, rendendosi laidi come le vecchie puttane di un’ingiusta iconografia, ricreano oggettivamente sulle loro fisionomie ciò che essi solo verbalmente hanno condannato per sempre. Sono saltate fuori le vecchie facce da preti, da giudici, da ufficiali, da anarchici fasulli, da impiegati buffoni, da Azzeccagarbugli, da Don Ferrante, da mercenari, da imbroglioni, da benpensanti teppisti.

Cioè la condanna radicale e indiscriminata che essi hanno pronunciato contro i loro padri – che sono la storia in evoluzione e la cultura precedente – alzando contro di essi una barriera insormontabile, ha finito con l’isolarli, impedendo loro, coi loro padri, un rapporto dialettico.

Ora, solo attraverso tale rapporto dialettico – sia pur drammatico ed estremizzato – essi avrebbero potuto avere reale coscienza storica di sé, e andare avanti, “superare” i padri.

Invece l’isolamento in cui si sono chiusi – come in un mondo a parte, in un ghetto riservato alla gioventù – li ha tenuti fermi alla loro insopprimibile realtà storica: e ciò ha implicato – fatalmente – un regresso.

Essi sono in realtà andati più indietro dei loro padri, risuscitando nella loro anima terrori e conformismi, e, nel loro aspetto fisico, convenzionalità e miserie che parevano superate per sempre

(P.P. Pasolini, Scritti corsari, Garzanti, Milano, 1975, p. 10)

Carta vetrata sui conflitti generazionali di allora. E quelli d’oggi?

Sottocultura accademica

In sociologia e antropologia una sottocultura (o subcultura) è un gruppo di persone che si differenziano dalla cultura più ampia di cui fanno parte, perché sono accomunate da credenze e visioni del mondo, che di solito (ma non necessariamente) ruotano attorno alla stessa etnia, classe sociale, appartenenza di genere, età anagrafica, oppure allo stesso credo religioso o politico.

Una sottocultura si riconosce in simboli, rituali e pratiche (semiotico-linguistiche, estetiche, religiose, politiche, sessuali) che esprimono valori ben distinti da (e a volte contrapposti a) quelli della cultura da cui la sottocultura tende a smarcarsi.

Il senso comune attribuisce al termine “sottocultura” anche un significato dispregiativo, secondo il quale è un «complesso di valori e di modelli culturali degradati, deteriori e massificati, spec. con riferimento a frange marginali della società urbane» (De Mauro Paravia).

Detto questo, ecco cosa Henry Jenkins dice a proposito delle attuali università occidentali, dopo aver definito la «produzione teorica accademica» come una «pratica sottoculturale tra le molte possibili», «dotata di linguaggio, obiettivi e sistemi di circolazione tutti propri»:

«Sicuramente l’accademia possiede preziosi livelli di competenza che sono necessari in una varietà di conversazioni nell’attuale periodo, ma onde diventare mobile, tale competenza deve adottare un linguaggio che non parli soltanto agli altri accademici, ma a un pubblico più ampio. Ciò significa ripensare la retorica accademica. E significa riconoscere l’esistenza di altri tipi di competenza capaci di portare qualcosa al tavolo della conversazione… Il problema è che il mondo accademico si è tagliato fuori da quei dialoghi di cui dovrebbe fare parte.»

(Henry Jenkins, Fans, Bloggers, and Gamers. Exploring Participatory Culture, New York University Press, 2006; trad it. Fan, Bloggers e Videogamers. L’emergere delle culture partecipative nell’era digitale, Franco Angeli, Milano, 2008, p. 114 e p. 135).

È con la sottocultura accademica che spesso mi arrabbio.

Come ti aggiro Google

Su segnalazione di Giacomo – a proposito di ciò che abbiamo discusso mesi fa su Luci e ombre di Google – copio e incollo dal Corriere:

Ecco come usare il motore di ricerca di Mountain View (e non solo) senza finire nella sua banca dati

 I 4 software per evitare la «profilazione» di Google. 1) Privoxy (un proxy installabile sul pc); 2) Track me Not (invia ricerche simulate nascondendo quelle reali); 3) Scookies  (scambia a caso i cookies degli utenti); 4) Sgroogle (cripta le ricerche)
I 4 software per evitare la «profilazione» di Google. 1) Privoxy (un proxy installabile sul pc); 2) Track me Not (invia ricerche simulate nascondendo quelle reali); 3) Scookies (scambia a caso i cookies degli utenti); 4) Sgroogl (cripta le ricerche).

Smettere di usare Google perché traccia la nostra navigazione è un impresa impossibile. Come rinunciare alla comodità del più famoso motore di ricerca al mondo? Eppure il problema esiste. Sono milioni i dati relativi alle nostre ricerche che ogni giorno immettiamo nella banca dati di quello che qualcuno chiama il nuovo Grande Fratello del Web. I dati profilati attraverso la navigazione servono per fare pubblicità mirata come AdWords, Adsense e molti altri. Ma per alcuni tra i più smaliziati cittadini della rete la propria privacy è più importante di ricevere degli accurati consigli per gli acquisti. Così sono nati alcuni applicativi per ovviare al problema quasi senza controindicazioni. Il problema dello User Profiling poi, va ben oltre Google e i grandi player dell’ IT, riguarda le nostre sessioni di navigazione in generale, per questo molti dei software proposti sono validi anche per tutti quei siti internet che fanno net tracking.

RICHIESTE FANSTASMATrack Me Not è un’estensione per il browser Firefox pensata per proteggerci dal data-profiling attivato dai motori di ricerca, funziona per tutti i motori, non solo per Google. TMN lavora in background quando Firefox è aperto ed invia periodicamente delle ricerche casuali. Il motore di ricerca riceverà le nostre ricerche reali mescolate a molte altre, simulate dal programma. In questo modo Google non sarà in grado di recepire nitidamente quali siano gli argomenti che ci interessano, poiché questi compariranno in modo offuscato. In altre parole l’applicazione nasconde il percorso di ricerca in un insieme indistinto di domande fantasma rendendo difficile l’aggregazione di tali dati in un profilo preciso che identifichi l’utente.

IL DONO DELL’ INVISIBILITA’. Scroogle è un sito internet che si colloca tra l’utente e Google rendendo anonime le ricerche. Dal sito si può scegliere la lingua di ricerca (compreso l’italiano) e se usare connessioni criptate HTTPS. Passando attraverso Scroogle si diventa praticamente invisibili a Google perché sarà il sito stesso a raggiungere il motore di ricerca per noi. In più sono eliminate pubblicità, cookie e ogni sistema di tracciamento lesivo. Navigando su Scroogle si avranno gli stessi risultati di Mountain View, senza pubblicità e profilazione. Scroogle è stato creato da Daniel Brandt, creatore di un altro sito anti-google: Google Watch questa sorta di osservatorio si occupa di raccogliere tutte le malefatte più o meno note di Google offrendo sempre ottima documentazione aggiornata e validi suggerimenti per difendere la propria privacy.

SCAMBIAMOCI I COOKIE!Scookies è un’ estensione per il Browser Firefox e funziona per tutti i motori di ricerca e siti internet che cercano di tracciare gli utenti tramite i cookie. Scookies cambia i cookie degli utenti mescolandoli gli uni agli altri. In questo modo vengono alterati i profili di ciascun utilizzatore intorbidendo il tracciato originale. Inoltre ogni user può segnalare nuovi siti internet che fanno profilazione contribuendo a migliorare l’anonimato di tutti gli altri. Scookies aumenta la sua performance ogni volta che un nuovo utente si aggiunge alla comunità. Questo applicativo è una creazione di Andrea Marchesini coautore del volume Luci e Ombre di Google, edizione Feltrinelli un utile saggio sui pericoli che si incorrono nel fidarsi troppo di Google.

RISOLVERE IL PROBLEMA ALLA RADICEPrivoxy è un proxy anonimizzante. Ovvero un applicazione che si colloca tra il nostro browser e i siti internet che vogliamo raggiungere. Con questo proxy possiamo davvero controllare la privacy della navigazione. Consente di cambiare lo user agent (nome del browser e del sistema operativo) , bloccare banner pubblicitari, filtrare cookie e molto altro. Può essere installato anche sul proprio computer in semplici passaggi ed è altamente configurabile. Privoxy è uno strumento essenziale per qualunque progetto che miri a proteggere la navigazione dell’utente.

CHE COSA MANCA? – Gli applicativi descritti non garantiscono una certezza riguardo la protezione della privacy. Rappresentano un segnale d’attenzione circa il comportamento spesso non propriamente trasparente di chi ci offre servizi «gratuiti». Manca la protezione verso servizi utili (mappe) che non richiedono l’autenticazione, manca ancora un vasto fronte di opposizione al monopolio della ricerca da parte di pochi motori. Manca soprattutto una conoscenza critica riguardo i sistemi di profilazione e una visione d’insieme delle sottoreti costituite dai grandi player dell’IT che spesso vengono scambiate per l’interezza di Internet

Hanay Raja

24 agosto 2008

Seven, di Barack Obama

Nel giro di un giorno il repubblicano John McCain ha fatto alcune uscite infelici. Il 20 agosto ha dichiarato qualcosa come “Le basi dell’economia americana sono solide”; a distanza di poche ore, non ha saputo rispondere in modo preciso a un giornalista che gli chiedeva quante case possiede: “Non ricordo, devo chiedere al mio staff”.

Prontamente, ieri i democratici hanno lanciato questo spot televisivo, che s’intitola “Seven”, come il celebre thriller sui peccati capitali. La cifra in questo caso indica il numero di case di proprietà McCain.

Non potevo non postarlo: un montaggio astutissimo che associa le frasi incriminate di McCain ai timori della middle class americana per la crisi dei mutui, creando almeno un paio di cortocircuiti intertestuali e linguistici (oltre al gioco su “Seven”, ti segnalo quello su “house”). Un gioiellino, soprattutto se pensi che è stato concepito, prodotto e messo in onda in un giorno.

Bagnasciuga o battigia? Un po’ e un po’…

Nei giorni scorsi il servizio Una parola al giorno di Zanichelli mi ha mandato questa:

battìgia

[da battere; 1839]

s. f.
(pl.
-gie o -ge)
·
Parte della spiaggia battuta dalle onde. SIN. Bagnasciuga, battima.

bàttima

[dal battere delle onde sulla spiaggia; 1922]

s. f.

·
Battigia, bagnasciuga.

bagnasciùga

[comp. di bagna(re) e asciuga(re); 1797]

s. m. inv.

1
(mar.) Zona compresa tra la linea di galleggiamento massima e minima dello scafo.
2
(impropr.) Zona di una spiaggia di costa bassa ove si rompono le onde e che per questo appare ora asciutta e ora bagnata. SIN. Battigia, battima.

È successo questo. Per anni, se qualcuno diceva “bagnasciuga” per dire “battigia” faceva lo stesso errore che per primo fece Mussolini quando disse, nel celebre “Discorso del bagnasciuga” del 24 giugno 1943, che se gli anglo-americani avessero tentato uno sbarco, sarebbero stati bloccati “sulla linea che i marinai chiamano bagnasciuga”. Di fatto, poi, gli anglo-americani non furono fermati e sbarcarono fra il 9 e il 10 luglio sulle coste siciliane. Per anni la parola fu collegata allo svarione mussoliniano, con tutti gli impliciti negativi del caso.

Da allora però (potenza della comunicazione di massa, anche quando diffonde errori), le persone hanno cominciato a dire sempre più spesso “bagnasciuga” per “battigia”, tanto che i dizionari (non so da quando) hanno finito per accettare l’uso improprio. Sarà, ma io continuo a chiamare battigia quel pezzo di spiaggia.

Mutatis mutandis, faccio una previsione.

Prima o poi, sarà registrato come corretto anche il famigerato un pò (sbagliato) al posto di un po’ (giusto: ci vuole l’apostrofo, perché po’ è il troncamento di poco). Complice il T9 dei cellulari, che ti impone “pò” anche quando non vuoi.

Mi disturba l’idea che questo avvenga, ma temo non manchi molto. 😦

Tuttavia ancora non è successo.

Perciò scrivi un po’, mi raccomando. 🙂

Pittate di scrittura

Non avevo mai letto niente – l’ignoranza non è mai poca – del mio amico di blog Attilio Del Giudice, noto scrittore, oltre che pittore e filmaker. Molti lo conoscono per Morte di un carabiniere (Minimum Fax, 1998), Citta amara (Minimum Fax, 2000) e Bloody muzzare’ (Leconte, 2004), una trilogia che mette in scena le indagini del commissario De Grada e del brigadiere Capece, con invenzioni linguistiche che lavorano sulla mescolanza fra il dialetto casertano e l’italiano, come Gadda fece col romanesco. Più di recente ha pubblicato La vita incagliata (Leconte, 2006) e Una barchetta di carta (Gaffi, 2008).

Fra una nuotata e l’altra nel canale di Sicilia, in questi giorni mi sono letta Una barchetta di carta. Un libro minuscolo, che poco ti chiede (in termini di ingombro fisico e tempo di lettura) e molto ti dà: se ho contato bene, 11 fra racconti, novelle e ritratti, più un romanzo in miniatura, ripartito in ben 16 microscopici capitoli.

Tutte le storie sono ambientate in Italia, fra gli anni Cinquanta del secolo scorso e il decennio che stiamo vivendo. Dice Attilio nella nota introduttiva:

“Ho immaginato che gli anni, dal 1950 al 2000 e oltre, attraverso i pochi indizi che ero in grado di scorgere, potessero alimentare la materia narrativa delle mie fabule inquiete. In realtà è stato come portare un po’ d’acqua dall’oceano e riempire il catino di casa per avventurarmi in un viaggio. Il viaggio di una barchetta di carta, in un catino, appunto.”

In realtà ti immergi in quel catino e nuoti in mare aperto. E nuotando nuotando, ti vengono pensieri, ricordi e fantasie. A volte ti scopri a sorridere come una scema. Oppure senti gli occhi bruciare, credi sia l’acqua salata ma ti accorgi che è una lacrima.

E nuotando nuotando, incontri pesci che hanno i colori delle Pittate d’ogni giorno. Una pittata apre gli anni Cinquanta:

“C’era un prete col basco e una bicicletta. Il prete pedalava come un pazzo su un filo, a cento metri d’altezza o, almeno, così sembrava a lui, tanta era l’ansia. In realtà, correva lungo una strada asfaltata di fresco e il suo bel profilo si specchiava, con rapidi flash, nelle finestre sbarrate dei pianoterra di giallastri caseggiati per civili abitazioni, che l’Istituto Case Popolari doveva assegnare, spulciando da una lunghissima lista di senzatetto.” (p. 3)

Il ritratto de “La fachira” non è di quelli che si scordano:

“Nonostante l’età – diceva – mi mantengo agile e snella, perché sono moderata: un tè senza zucchero al mattino e un solo pasto al giorno alle sette di sera”. In realtà era spaventosamente magra e, per questo, le mie sorelline e io la chiamavamo la fachira.” (p. 12)

Con un’altra pittata comincia il romanzo piccolo piccolo, ambientato negli anni Novanta, che s’intitola “Lo scrittore e la realtà”:

“Quando Riccardo comprò quella casa di pietre, rude come una torre saracena, lontana dalle giungle d’asfalto e anche (almeno un mezzo chilometro) dall’unica stradina asfaltata dell’isola, gli parve di realizzare un desiderio che, nemmeno, sapeva di avere.” (p. 71)

Però non devi credere che le pittate di Attilio stiano ferme a non fare niente. Si muovono moltissimo, invece. Guarda come l’“Autistico” diventa tale:

“- Statti zitto, che ne sai tu! – Così dicevano. Me lo dicevano sempre. Effettivamente che ne sapevo io, ma a starmi zitto non me ne teneva, per questo decisi di andare a parlare da solo nella mia stanza.” (p. 31)

E che dire delle “Varianti del Male”, interpretate da Paco negli anni Ottanta?

“Paco nel suo campo era il migliore. Un artista s’era detto. Il suo campo, la professione che sin da ragazzo aveva esercitato con indiscutibile successo, era l’assassinio. Non per sé, per i fatti della sua vita, ma per altrui committenza.” (p. 55)

Accadono cose strane nel catino di Attilio.

Holidays with Forest Love

Sono in partenza per il mare, da dove posterò qualcosina ogni tanto, giusto per non perdere l’abitudine.

Sul blog di Marco Valenti ho trovato l’ultimo video di Greenpeace, che mi pare adatto per augurarti buone vacanze. Fra il serio e il faceto, come sempre.

😉

Ciao!