Quando la crisi e la gente comune entrano in pubblicità

Per la nuova campagna di comunicazione del marchio di abbigliamento Piazza Italia il fotografo Carlo Furgeri Gilbert ha ritratto volti di persone comuni. Sono donne e uomini di tutte le età, presi nei loro luoghi di lavoro o per strada a Milano, sono «l’operaio, la maestra, il papà, il ricercatore, il panettiere, la mamma, l’impiegata, il macellaio e gli stessi dipendenti di Piazza Italia come di tutte le altre aziende», spiega il sito. «Senza utilizzare alcun capo di abbigliamento Piazza Italia», precisa.

Le immagini sono completate dalla headline «I veri miracoli li facciamo noi» e dal payoff «Sponsor della gente comune» (l’agenzia è Diaframma).

Mentre non avevo apprezzato il ribaltamento in «Be intelligent» della campagna «Be stupid» di Diesel, che Piazza Italia aveva fatto l’anno scorso (perché, pur criticando Diesel, ne cavalcava comunque lo slogan), trovo interessante questo modo di adattare la pubblicità al momento che stiamo vivendo.

Per due motivi:

  1. si usano volti normali e non omologati al solito standard pubblicitario per tratti somatici ed età apparente (anche se ovviamente i volti sono abbelliti dalla fotografia professionale);
  2. si allude alla crisi economica, combinando lo slogan «I veri miracoli li facciamo noi» con immagini di quotidianità quasi dimessa, e si esplicita la crisi sul sito, addirittura riferendo i dati della disoccupazione giovanile.

Ora, mentre l’allusione alla crisi è semplicemente coerente col target Piazza Italia, che si rivolge al mercato di massa e cioè a chi (crisi o non crisi) ha meno soldi da spendere in abbigliamento, l’uso di facce normali va incontro al bisogno di uscire dall’estetica pubblicitaria patinata di cui abbiamo più volte parlato. In questo senso è apprezzabile e non a caso Annamaria Testa ha inserito queste immagini fra le proposte positive che ha presentato al «Se non ora quando» di Roma l’11 dicembre.

Però osservo che:

  1. La fotografia meno riuscita è quella che ritrae il papà con le due bambine: pare perplesso, teso, e pure le ragazzine non sembrano così convinte dell’abbraccio; non a caso alcune lettrici mi hanno segnalato l’immagine definendola «strana» e «surreale». Come se la fotografia non fosse riuscita a normalizzare e rendere serena la paternità.
  2. Fare ricorso a volti normali in tempi di crisi implica associarli a significati come disagio, fatica, scarsa felicità. E se avere un volto non patinato né oltremodo photoshoppato implica questi concetti, voi capite.

Quando volti e corpi normali entreranno a pieno diritto anche in contesti di euforia, e ci sembreranno belli, allegri, desiderabili, potremo dire che la pubblicità italiana sarà davvero cambiata. Per ora è solo un inizio. Apprezzabile, ma limitato. (Clic per ingrandire.)

Piazza Italia 1 PIazza Italia 2

Piazza Italia 3 Piazza Italia 4

Piazza Italia 5

22 risposte a “Quando la crisi e la gente comune entrano in pubblicità

  1. Ciao Giovanna,
    premetto che sono sostanzialmente d’accordo con le tue osservazioni e, di pancia, la campagna mi piace. Però io ho anche un altro rinculo, che tu non hai evidenziato. L’uso del plurale nel titolo mi crea una certa ambiguità sul soggetto della frase: i veri miracoli li fa la persona nella foto o PiazzaItalia? Se fosse al singolare, la headline “batterebbe” di più sul soggetto in foto e il tutto risulterebbe non solo pi coraggioso, ma più etico: PiazzaItalia firma e sponsorizza, ma non “vende”. Così invece mi lascia il dubbio: non è che PiazzaItalia voglia dirci, sotto traccia, che i miracoli li fa lei perché propone abbigliamento a prezzi popolari? Forse è solo deformazione da vecchia copy, la mia. Forse.

  2. L’ambiguità c’è, cara Laura, certo. Tipicamente pubblicitaria. Ma non mi pare sposti il mio ragionamento. È solo un giochetto in più, che ovviamente mette al centro il marchio. Cosa normale in pubblicità.

    D’altra parte non potevano scrivere: «i miracoli li faccio io», come se li facesse solo quel/la tizo/a lì fotografato/a e basta. È un noi inclusivo, in cui siamo chiamati tutti a identificarci, riconoscendoci anche nel volto normale.

  3. secondo me l’ambiguita’ di cui parli (laura grazioli) e’ assolutamente pensata e voluta. E funziona.
    Arianna

  4. icittadiniprimaditutto

    Reblogged this on i cittadini prima di tutto.

  5. la campagna mi è piaciuta molto e speravo che tu ne parlassi. Hai ragione però nel sottolineare il pericolo dell’associazione persona normale-situazione di crisi – in effetti come slogan sottotraccia mi era venuto in mente “è di moda lo sfigato”.

    Riguardo al papà con le bambine, immagine che l’effetto sia dovuto alla scelta di non farli sorridere (perché “la situazione è seria”, sottintende la campagna), per cui le espressioni risultano un po’ forzate. Ma non ci vedo assolutamente nient’altro.

  6. La storia di Luigi delle Bicocche di Caparezza, praticamente. Ma, si sa, in pubblicità nulla si crea dal nulla.

  7. Trovo anch’io questa campagna più matura rispetto al precedente “be intelligent”. Quest’ultimo, infatti, oltre a essere dichiaratamente follower, mi pare il solito consumer benefit “se-acquisti-value-for-money-allora-sei-furbo”, probabilmente più adatto a un bene meramente funzionale come il detersivo General (“il modo intelligente di lavare”) piuttosto che a un capo d’abbigliamento. Non dico che la gente non compri vestiti a prezzo basso, ma semplicemente che questo non può essere il primo driver di scelta nella categoria merceologica.

    Mi pare che invece la nuova campagna vada a comunicare un posizionamento della marca almeno direzionalmente più consapevole, in quanto poggia su di un vissuto (di sacrifici e vita quotidiana) realmente sentito da molti e di facile condivisione da parte di un target molto ampio (“la gente comune”). In altre parole mi pare possa riuscire a risvegliare un sentimento di complicità se non in certi casi di identificazione.

    Il trattamento è diverso e coraggioso e si fa notare, forse è vero che non tutti i soggetti sono riusciti al meglio, ma tutto sommato da parte mia l’impressione sulla campagna stampa è positiva. Sarei curioso di vedere come questa comunicazione si riflette in maniera coerente su tutti i canali: web, punti vendita…

  8. In risposta a Brando (16:27:04)
    Rileggi attentamente il tuo commento. Non volermene, ma l’uso di termini stranieri (follower – consumer benefit – value-for-money – driver-target) hanno davvero, in questo caso, reso poco chiara ed efficace la comunicazione.

  9. Ciao Giovanna,
    la foto del papà con i due bambini mi ha subito fatto venire in mente un post di un amico che ho letto qualche giorno fa su facebook, diceva più o meno così: l’unica cosa bella dell’essere in cassa integrazione è che in pieno pomeriggio posso andarmene a spasso con i miei figli e vivermeli anche io un po’. L’ho trovato molto commovente. Se vedo una donna in pieno giorno al parco con i bambini il primo pensiero che mi viene è che sia casalinga, e da mamma che lavora la guardo anche con una certa invidia. So bene che una donna libera il pomeriggio potrebbe anche lavorare in altri orari, o essere pure lei in cassa integrazione, disoccupata, in ferie, e so anche che la foto del papà potrebbe essere stata scattata di domenica, o ancora che quel uomo potrebbe fare i turni di notte. Eppure i suoi occhi tristi, quel disagio di chi non pare abituato a quella situazione mi pare raccontino più la crisi di tutte le altre immagini.

  10. Tomasa, non volermene tu se ripeto un termine straniero nel rivolgerti questa semplice domanda: dici che la mia comunicazione è stata inefficace, ma rispetto a quale target?

  11. La tecnica di usare persone comuni come testimoni del prodotto non è nuova. Anche in Italia “Dove” usa da anni donne normali come modelle.
    A parte il caso di Dove (che comunque è una campagna internazionale) forse la tecnica è relativamente poco usata in Italia perché andare a fare casting e cercare persone normali in genere richiede tempo ed è anche relativamente costoso. Organizzare il solito servizio fotografico urgente nel weekend è più rapido e probabilmente anche meno costoso che mandare un fotografo in giro per un mese a fare ritratti di cuochi e sottocuochi negli alberghi.

    Devo osservare, da grande ascoltatore della radio, che le voci “normali” negli
    spot radiofonici ultimamente sono sempre più frequenti.

    Un’ultima osservazione. Forse questa tecnica appare particolarmente innovativa in Italia perché in genere i committenti della pubblicità italiana sono molto orientati al “controllo”. Usare modelli professionisti e illustrare una realtà artefatta offre all’azienda una sensazione di maggior controllo della comunicazione, rispetto a sguinzagliare fotografi per cercare volti comuni. La tecnica dei volti comuni comporta anche il fatto di non sapere esattamente cosa aspettarsi, e dover lavorare con le foto che emergono dal servizio fotografico, invece di avere la possibilità di controllare maniacalmente i dettagli del set.

  12. Bella. Solo una cosa: non si vede un richiamo ai prodotti. Cosa vende Piazza Italia? Vestiti? Auto? Prestiti? è una Onlus? Ossia, chi fa “i veri miracoli”? L’azienda o i testimonial? Puntare su soggetti “veri” è senza dubbio un passo avanti, così com’è ottima l’idea di cavalcare il sentimento nazional popolare (il popolo che si carico dei problemi del paese) ma se il rinascimento – o i tentativi di – della pubblicità italiana deve passare per comunicazioni che non mettono in luce i prodotti ma solo il brand, non parliamo più di advertising ma di ottime operazione di pr (o brand image, se preferite). E anche la possibile obiezione che si crea curiosità intorno alla marca, spingendo il target ad autoinformarsi, può reggere fino ad un certo punto, poichè se più aziende puntassero su una strategia probabilmente le reazioni diventerebbero opposte, perchè soddisfare una singola curiosità è un conto, soddisfarne 10 richiede impegno, tempo e 10 comunicazioni assolutamente memorabili. Sono sempre convinto che la pubblicità, se porta a farsi una domanda, debba offrire anche la risposta. Altrimenti è comunicazione sociale. Da questo punto di vista, sarebbe bastato far indossare ai testimonial un capo e metterne in evidenzia, magari come subhead, il prezzo.

  13. In risposta a Brando (00:18:15) :
    Quale target?
    Penso sia sufficiente anche quella che tu chiami “la gente comune”.

  14. Tomasa,
    per come la vedo io, un messaggio per tutti è un messaggio per nessuno.
    Ma magari questa è la mia personalissima interpretazione del concetto di target, o “pubblico di riferimento” se preferisci, che dipende dagli obiettivi e dal contesto.

    un saluto
    Brando

  15. Vado controcorrente. Trovo anch’io più maturo questo trattamento ma ritengo la campagna molto furba e priva di coerenza. Mi è parso uno stratagemma confezionato ad arte per guadagnare visibilità, slegato da un vero discorso di marca. Sul sito istituzionale, ad esempio, non c’è nessun elemento – a parte una spiegazione nella sezione “Comunicazione” – che faccia da collante valoriale con il progetto.

    Ho cercato di articolare meglio il mio pensiero con questo post:

    «Qualche giorno fa ho scoperto il nuovo lavoro di comunicazione Piazza Italia, azienda di abbigliamento campana che offre prodotti “italian style” a prezzi popolari. Il brand in questione è lo stesso che qualche tempo fa è balzato agli onori delle cronache di settore per avere reinterpretato il discusso “Be stupid” di Diesel, sovvertendolo in un ironico e paraculo “Be intelligent”.
    L’ultima creazione (firmata Diaframma, ndr) della società di Nola è la campagna “I veri miracoli li facciamo noi”. Dodici soggetti che raffigurano altrettante persone comuni (l’operaio, lo studente, la mamma, ecc.) ritratte in uno scarno layout composto dalla perentoria headline di cui sopra e dal marchio Piazza Italia, corredato del payoff: “Sponsor della gente comune.” (probabilmente una novità o una soluzione estemporanea, poiché sul sito istituzionale non vi è traccia).
    I volti di questi uomini appaiono segnati, foschi, in alcuni casi apocalittici. Palese l’intenzione dell’emittente di schierarsi a fianco del macro-target composto da individui economicamente deboli (ahinoi, una buona fetta di Italia); chiaro l’obiettivo emozionale di condividerne la sofferenza, le difficoltà e l’incertezza per il futuro. Un tono ruffiano e consolatorio che cavalca con furbizia la crisi economica in cerca di larghi consensi dietro una maschera da demagogo unconventional.
    Scatta il meccanismo palliativo dell’identificazione. Scocca la scintilla aggregante del malcontento comune. Sono dell’avviso che certi exploit servano sicuramente a guadagnare notorietà ma rimangono delle tattiche dopanti percorribili una tantum nella vita della marca.
    In questo senso, indicativo che sul brand website non ci siano elementi stilisticamente collegati tra le immagini patinate che scorrono in rotazione sulla home page (attenzione: i soggetti ritratti sono modelli stranieri e in un caso uno di essi sfoglia l’olandese “De Telegraf”!) e la melanconica atmosfera di “piazza dei miracoli”.
    Andando sul sito non mi aspettavo di incrociare l’occhietto spiritato paterno del soggetto barbuto ma neanche di imbattermi – alla faccia della coerenza – in un ambiente così cosmopolita, modaiolo e artefatto.»

  16. L’osservazione di Nicola Di Francesco ha senso. L’estemporaneità e la tendenza a ragionare solo in termini tattici sono tipici delle aziende italiane.

  17. Capisco la perplessità/diffidenza. Sono curioso di vedere se si tratta del primo passo di una nuova strategia (magari declinata poco tempestivamente) o di un’episodio isolato.

  18. Che belle queste immagini. Persone normali, padri con figli (stereotipo di genere sfatato) e non più modelle sessualizzate, donne oggetto eccetera…un passo avanti sembrerebbe, anche se sono d’accordo con le tue considerazioni :).

  19. Cara Giovanna, guarda anche la campagna del Caf Acli 2011.
    Persone comuni, omonimi di personaggi illustri italiani, veri clienti e non trattati come “sfigati di moda”. Anzi sono ” persone importanti” anche se operai pensionati, impiegati ecc.

  20. Io vorrei che invece si mettessero da parte false ipocrisie. Nei mesi scorsi son state tante le iniziative di singoli cittadini per richiamare in modo positivo il tema della crisi, anche questo di Piazza Italia lo è. Azioni come queste andrebbero apprezzate e non incriminate. E’ chiaro che l’azienda o il singolo abbia la sua visibilità, ma cose del genere andrebbero fatte dalle istituzioni stesse per ringraziare tutti noi. I VERI MIRACOLI LI FACCIAMO NOI. Di sicuro un doppio senso da legare sia ai soggetti che al brand. Anche le loro comunicazioni passate lo erano con il “BE INTELLIGENT”. Io non ho visitato il loro sito. Ho scoperto la campagna tramite un magazine, uscito per altro poco prima della caduta del Governo. Quindi credo che sia stata studiata già da prima. Ma avete visto la loro fan-page su facebook. Li non si parla che della campagna. Si comprende davvero l’importanza che hanno dato alla gente comune, sacrificando soprattutto il prodotto. In un periodo come questo chi investirebbe per non far vedere il proprio prodotto per un messaggio “sociale”? Staremo a vedere gli sviluppi. Per me 10 a questa campagna.

  21. La risposta per i più scettici sul loro sito. È comparso un video.

  22. Io l’ho trovato su youtube.

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