Quarto potere… maschile

Questi sono i numeri delle presenze femminili in Rai (fonte: CPO FNSI).

  • 33,7 per cento: giornaliste Rai.
  • 4 per cento: donne dirigenti Rai.
  • 2: donne direttore Rai.
  • 3: donne vicedirettore Rai (a fronte di 33 uomini).
  • 63: donne caperedattore Rai (236 gli uomini).

Good Night and Good Luck

Questi sono i numeri delle presenze femminili nelle notizie Rai (dati Monitoraggio OERG Osservatorio di Pavia):

  • 58 per cento: conduzione di Tg da parte di donne.
  • 10 per cento: opinioniste autorevoli.
  • 66 per cento: opinioniste “volanti”, cioè donne interpellate per strada (senza che di loro si sappia nulla: professione, età, scelte politiche).
  • 16 per cento: donne “notiziate” in quanto vittime (contro il 6 per cento degli uomini). 11 per cento: donne “notiziate” per questioni politiche o economiche.

In Rai le italiane non fanno notizia, anche se raccolgono, diffondono, scrivono notizie. Quasi mai potendo scegliere quali notizie, come impaginarle, e in quale gerarchia.

Questa è invece la situazione della stampa nazionale italiana (fonte: FNSI):

  • 5: donne direttore di quotidiani (113 gli uomini).
  • 5: donne vicedirettore di quotidiani (99 gli uomini).
  • 67: donne redattore-capo nei quotidiani (477 gli uomini).
  •  65 per cento: donne giornaliste rimaste dentro le aziende editoriali a seguito di stati di crisi. Tra queste, solo il 30 per cento ha un contratto. Tutte le altre sono precarie.
  • Fino al 40 per cento: gap di stipendio tra giornalisti uomini e donne.

Tirando le somme:

In Italia il quarto potere è in mano agli uomini in percentuali addirittura superiori a quelle che ci sono in politica. Questo giornalismo è mutilato, è un giornalismo a metà.

Non a caso, le donne italiane si stanno allontanando dalla lettura dei quotidiani:

  •  Corriere della Sera: donne che leggono il quotidiano: 25 per cento in meno.
  • La Repubblica: donne che leggono il quotidiano: 15 per cento in meno (fonte: Audipress periodo II/2011).

Proposta:

Le giornaliste tedesche si sono unite per ottenere almeno il 30 per cento dei posti di direttore e caporedattore nelle testate giornalistiche entro i prossimi 5 anni. Facciamolo anche noi, coordinandoci con loro.

Gabor Steingart, direttore del quotidiano economico Handelsblatt, si è impegnato a riservare a una donna un posto su tre nei vertici del giornale: invitiamo direttori e editori a seguire il suo esempio.

Chiediamo alle rappresentanze sindacali, alle CPO, di agire concretamente affinché l’informazione rappresenti donne e uomini, e non solo uomini.

Postato in contemporanea da Femminileplurale, Loredana Lipperini, Ipaziaè(v)viva, Marina Terragni, Un altro genere di comunicazione, Giorgia Vezzoli, Lorella Zanardo. Le blogger che condividono questo post pubblicano periodicamente thread comuni, in particolare sul tema della rappresentazione pubblica della donna e su quello della rappresentanza politica.

————-

Traduzione di Jane Dolman.

These figures represent the number of women working in RAI (Italian State Radio and Television) (Source: CPO FNSI).

  • 33.7 percent: female journalists in Rai.
  • 4 percent: female executives in Rai.
  • 2: female directors in Rai.
  • 3: female assistant directors in Rai (cfr. 33 male).
  • 63: female editor-in-chiefs in Rai (cfr. 236 male).

These figures represent the number of women working in Rai news (data Monitoraggio OERG Osservatorio di Pavia):

  • 58 percent: female newsreaders.
  • 10 percent: female columnists.
  • 68 percent: randomly chosen women giving their opinions (’women-in-the-street’).
  • 16 percent: women in the news, as victims (cfr 6 percent men).
  • 11 percent: women in the news for political or economic issues.

In Rai women do not make news, even though they gather, broadcast and write news. Very rarely can they choose which news, its layout or hierarchy.

This, instead, is the situation of the Italian national press (source: FNSI):

  • 5: female newspaper editors (cfr. 113 male).
  • 5: female newspaper deputy editors (cfr. 99 male).
  • 67: female newspaper news editors (cfr. 477 male).
  • 65 percent: women journalists remaining on the editorial staff during economic crises, only 30 percent of them having a contract. The rest are considered temporary.
  • Up to 40 percent: the difference in wages between male and female journalists.

Summing up:

In Italy the press is in the hands of men at a percentage superior even to that of politics. This journalism is mutilated, it’s a half-way journalism.

It’s no coincidence that Italian women are reading the daily papers less and less:

  • Corriere della Sera: women who read the daily – 25 percent fewer.
  • La Repubblica: women who read the daily: 15 percent fewer (source: Audipress periodo II/2011).

Proposal:

The German women journalists have united in order to obtain at least 30 percent of the positions as chief editor and news editor of the newspapers over the next 5 years. Let’s do the same, co-ordinating with them.

Gabor Steingart, chief editor of the economic newspaper Handelsblatt, is committed to reserving one executive position out of three for a woman: we invite our executives and editors to follow his example.

18 risposte a “Quarto potere… maschile

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  2. Vista la condizione della stampa e dall’informazione italiana io non trovo che lo sforzo debba essere mirato ad aumentare le percentuali di donne, ma di individui competenti.
    Inutile chiedere un dirigente su tre che sia femmina, proviamo a chiedere che un dirigente su cinque si occupi realmente di raccogliere e diffondere informazione, piuttosto che essere uno dei tanti vassalli di questo o quel gruppo/partito/personaggio politico.
    Che siano uomini, donne, nani, ballerine, alieni o idee platoniche non mi farà alcuna differenza.

  3. C’è un’argomentazione molto poco convincente: “Non a caso, le donne italiane si stanno allontanando dalla lettura dei quotidiani”.
    Sembra implicare che:
    – le donne tempo fa (data indefinita) leggevano i quotidiani più di quanto li leggano ora;
    – ciò dipende dal fatto che nello stesso periodo le giornaliste sono diminuite, oppure (se ciò non fosse vero) dal fatto che le lettrici si sono accorte, più di quanto se ne fossero accorte tempo fa, che le giornaliste sono troppo poche e i giornali hanno un’impronta troppo maschile. O qualcosa del genere.

    A meno che “Non a caso, le donne italiane si stanno allontanando dalla lettura dei quotidiani” vada inteso come: “Le donne italiane leggono i quotidiani di meno degli uomini perché nei quotidiani ci sono molto più giornalisti che giornaliste”. Che è un po’ diverso.

  4. dire che la percentuale femminile è bassa e vada alzata per combattere il maschilismo secondo me è una boiata in tutti i campi e, così come sembra essere espressa nell’articolo, obbligare ad assumere una donna ogni tot uomini è un offesa allo stesso sesso femminile
    Dire invece, sia valutato più il merito senza badare al sesso, invece, avrebbe molto più senso e, se come penso c’è discriminazione sessuale, si risolverà tutto in automatico

    Approfitto di un piccolo aneddoto per far capire come la penso, sperando di non andare troppo fuori argomento
    Nella mia facoltà la percentuale femminile è inferiore all’1%, ma le borse di studio sono ditribuite metà a femmine metà a maschi. Probabilmente ciò sarà nato perchè qualcuno, come qui, ha detto che le percentuali di borse di studio vinte da donne sono bassissime e quindi dobbiamo obbligare ad assegnare una borsa di studio a una donna ogni tot uomini.
    Alla luce di questo esempio, io, se fossi donna, mi sentirei offesa perchè la vedrei come un “sono costretto ad aiutarti altrimenti da sola non ce la fai” e allo stesso modo lo vedrei nel campo giornalistico
    La cosa giusta, come in tutti gli ambiti, è chiedere un rapporto più meritocratico che prescinda da sesso,nazione religione, colore della pelle e chi più ne ha più ne metta

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  8. “Non a caso, le donne italiane si stanno allontanando dalla lettura dei quotidiani: Corriere della Sera: donne che leggono il quotidiano: 25 per cento in meno. La Repubblica: donne che leggono il quotidiano: 15 per cento in meno (fonte: Audipress periodo II/2011).”

    Non a caso un tubo. Il testo è capzioso perché lascerebbe intendere che le donne si stanno allontanando mentre resta da dimostrare quanto si siano mai avvicinate alla lettura di quei quotidiani.
    http://www.audipress.it/upload/File/Audip%202011_II%20DATI_invio.xls

    Allora, facciamo due conti. Il rapporto tra i generi dei lettori del Corriere ci dice che lettori maschili sono bel il 38% in più di quelli femminili. Per Repubblica il 20%.
    Stendiamo un velo pietoso sul rapporto che emerge negli altri quotidiani, che vi siete guardat* bene dal citare. Allora ve lo dico io: la percentuale maschile che legge i giornali è del 45,5 % in più di quella femminile.
    Mi sembra logico che le gerarchie e i redditi di un sistema simile tenda a emulare la platea dei propri lettori a prevalenza maschile.
    Insomma, non trovate scuse. Portate le donne a leggere più quotidiani e un nuovo equilibrio seguirà di conseguenza.
    Mi piacebbe molto che Giovanna Cosenza commentasse i seguenti dati, che sono stati omessi in questo vostro comunicato ma che sono presenti in quello da cui avete tratto i vosti dati (CPO.FNSI). Lascio al parola alla Presidente : “Negli ultimi due anni il 95% delle persone mandate a casa dai giornali sono stati uomini – spiega Lucia Visca, presidente CPO FNSI – Il 65% di chi è restato è donna, ma questa crisi ha generato un mostro con teste molto piccole, tutte maschili, e corpi molto larghi femminili, con differenze salariali del 40% e carriere, per le donne, bloccate da soffitti di cemento”.”
    Oibò, uomini. Il 95% dei licenziati sono Uomini. NOVANTACINQUEPERCENTO.
    E il 65% di chi è rimasto è donna.
    Letto bene? Capito capito capito?
    Per il resto, che dire: in tempi di crisi sta diventando conveniente cambiare sesso, e diventare donne, a leggere i dati che mi proponete.
    Voi non avete capito ancora che il dato che dovete cercare non è la dispareità tra uomini e donna in RAI o nell’informazione, ma l’età media di chi occupa i ruoli dirigenziali che tanto vorreste. Il sistema non è tanto maschilista quanto è gerontocratico. Perciò finchè non muoiono i maschietti anziani che occupano tutte le casematte del potere editoriale (RAi e non) nn c’è spazio per le donne, ma nemmeno per noi maschietti giovani.

  9. Un appunto velocissimo per esprimere il mio sostegno ai commenti che pongono l’accento su:
    – la gerontocrazia come problema principale;
    – lo scarso valore assegnato al merito nelle nomine.

    Inoltre, d’accordissimo con chi si chiede se le donne siano mai state appassionate lettrici di quotidiani. La situazione socio-economica italiana, dove la donna tende ad essere meno remunerata e ad occupare posizioni di livello inferiore, offre una valida spiegazione del perché le donne non leggano i giornali tanto quanto le loro controparti maschili.

    Poi, rimane da vedere il peso della Gazzetta dello Sport nelle statistiche…

  10. Commento veloce ma esattissimo, Sefrj1!
    Sono certa che la Gazzetta dello sport conti in queste statistiche, tanto quanto i dati auditel nella visione di programmi estenuanti dedicati sia al calcio che alla martellante trasmissione di stereotipi sessisti. Sono da considerarsi delle vere e proprie dittature nell’imposizione di una cultura che si fa beffe delle donne e che, anzi, si costruisce ai loro danni. Altro che osservare che le donne leggono poco i quotidiani! Le donne leggono moltissimo, più degli uomini, come altre autorevoli statistiche rilevano e che taluni commentatori, con ogni evidenza, trascurano ada drte per portare il discorso su piani a loro congniali, atti alla riproposizione di un quarto potere, che è sempre lo stesso e che del merito se ne infischia grandemente. Nella PA, dove l’interesse collettivo è mistificato e reso imparagonabile a quello, produttivo, delle imprese, i maschi sono al potere solo perché maschi, mentre le competenze, anche quelle maschili, vengono sottoposte a mobbing, a bullismo e a una lunga e imbarazante, oltre che dannosissima serie di nefandezze.

  11. @Donatella/Sefirj1
    Mi duole contraddirvi ma il peso della Gazzetta non ha nulla a che vedere con il risultato della statistica Audipress circa la distribuzione di genere tra i lettori di quotidiani. Non occorre laciarsi in ipotesi che suonano alibi, con l’idea di rimanere ancorati ai propri pregiudizi.
    Basta leggere. E scoprire che nemmeno un solo quotidiano vede minamente raggiunta la parità di genere tra i suoi lettori. Sorry
    http://www.audipress.it/upload/File/Audip%202011_II%20DATI_invio.xls

  12. ps
    Pardon, a parte Avvenire, in cui i lettori donna battono gli uomini. Il che è tutto dire. E nella free press, “giornali” come Metro e Leggo. E anche qui è tutto dire. Vogliamo congetturare che le lettrici convinte di quotidiani si dividono in baciapile e scroccone?

  13. Ma per carità…dove andiamo con questi argomenti, hommequirit? il tuo interesse è chiarissimo, per fortuna siete sempre di meno a pensarla come te. Resta il fatto che chi la pensa come te è RESPONSABILE di un degrado senza fine, nei rapporti fra i sessi e nelle conquiste democratiche necessarie a che non si precipiti più in basso di dove siamo. Siete rimasti in pochi, ripeto, per fortuna. Avete il potere, è vero, ma non manca molto che ve ne accorgiate persino voi a quale punto ci avete portati, tutti.

  14. Buongiorno a tutti, sono Manuela Mimosa Ravasio, autrice del blog ipaziaevviva.com e tra le firmatarie e pubblicatrici di questo post. Intervengo perché mi spiace vedere come anche la semplice ripubblicazione di dati, oggettivi dati, riesca a trascinare in uno scontro uno-contro-una senza innescare invece una riflessione e una crescita di consapevolezza comune. Pubblicare i dati (e i link ai relativi file da cui erano stati presi) ci pareva un’opera di assoluta trasparenza, oltre che di riconoscimento verso il lavoro di ricerca svolto da associazioni sindacali e osservatori. E invece anche nella pubblicazione dei dati, che quasi parlano da soli, nasce il fraintendimento, l’accusa di capziosità, la volontà di nascondere chissà che cosa. Si tratta di una sorta di deformazione culturale, come la chiamo io, che ci riguarda tutti ovviamente, uomini e donne, e da cui, se vogliamo progredire a mio avviso, dovremmo ripulirci. In ogni caso… rispondo ai commenti. Phoeniz Fire pare molto dubbioso sulle “quote rosa” (le chiamerò così per semplicità) in generale. Mi par di capire che le interpreta quasi come un’offesa nei confronti delle donne che “da sole non ce la fanno”. È un’argomentazione diffusa, come quella (Tales Teller), che la regola delle “quote rosa” sia un ostacolo alla meritocrazia o all’affermazione delle competenze. In questo caso, io ribalto sempre la questione invitando a porsi alcune domande: pensate che le regole del gioco attuali siano garanti della meritocrazia? Pensate davvero che non sia un’anomalia (qualcuno sostiene persino un’anomalia democratica) che, nel Paese dove le donne si laureano meglio e in maggior quantità, le stesse donne ricoprano in minimissima parte posizioni di rilievo, finendo agli ultimi posti delle classifiche europee? E ancora, posto che si decida di dividere equamente tra i generi posizioni di rappresentanza, culturale o politica, perché il problema della competenza si pone solo nel caso delle donne e non degli uomini? Oppure pensate che il talento o l’intelligenza (così come la stupidità è ovvio) non sia equamente distribuito tra uomini e donne? Quando i Paesi del Nord Europa sperimentarono le “quote rosa” lo fecero proprio perché avevano rilevato che le condizioni esistenti non erano sufficienti a garantire a tutti, uomini e donne, un giusto e equo accesso a tutti gli aspetti e luoghi della società. La qualcosa, non è vista come un danno per le donne, ma un danno per tutti, perché è un danno per tutti quando si perde per strada metà del talento e dell’intelligenza di un Paese. E questo vale, anche e soprattutto, per un potere importante come l’informazione.

    Ben e Hommequirit rilevano poi un errore nell’aver riportato i dati della lettura dei quotidiani da parte delle donne. Forse per far capire meglio il dato avremmo dovuto inserire i dati che evidenziano come nel nostro Paese le più assidue lettrici siano le donne. Donne che leggono tutto evidentemente, eccetto i quotidiani. Ecco, se fossi un direttore o un editore, qualche domanda me la porrei. O almeno, in tempi di crisi e caduta libera della carta stampata, mi chiederei come recuperare quella parte di lettorato che, da altri dati, risulta essere molto interessato e non analfabeta. Come sempre, anche in questo caso, i dati non sono una sentenza, ma un’occasione per riflettere…

    Qualche parola in più invece la vorrei spendere con Hommequirit che afferma persino che avremmo “omesso” dei dati. A parte il fatto che se avessimo voluto omettere dei dati non avremmo linkato i documenti, che certo non sono di facile recupero nella Rete essendo molto specifici, mi limito a osservare il fatto che forse non è stato ben inteso il senso di quanto detto da Lucia Visca. Il senso era esattamente questo: NONOSTANTE negli ultimi anni, per raggiunti stra-limiti di età o prepensionamenti conseguenti a stati di crisi (non licenziamenti quindi, e assicuro che le pensioni dei giornalisti ORA sono decorose), il 95 per cento delle uscite abbia riguardato gli uomini, mentre il 65 per cento dei giornalisti rimasti dentro le aziende siano donne, NONOSTANTE questo appunto, il 35 per cento di quel 65 rimasto ha un contratto precario, nessuna ricopre ruoli importanti, e a PARITA’ di ruolo si hanno differenze salariali fino al 40 per cento. Questo è il mostro con teste molto piccole, tutte maschili (che comandano), e corpi molto larghi femminili, (che lavorano con contratti precari e pagate poco) che sta generando questa situazione. Lei chiede per ben tre volte se avevamo capito. Sì, le assicuro, per quanto mi riguarda, io ho capito benissimo. Ho capito che nemmeno quando siamo numericamente in maggioranza, quando restiamo dentro a lavorare il doppio per pagare le ricche pensioni di una gerontocrazia che si è mangiata pure il nostro futuro e che ha consolidato il suo potere siringando nell’informazione e nella società una cultura maschilista, nemmeno in questo caso appunto, riusciamo ad arrivare laddove si decide. Sarà che siamo meno intelligenti e meno competenti… che dite?

  15. @Manuela Mimosa
    Per la verità, non ho rilevato “un errore nell’aver riportato i dati della lettura dei quotidiani da parte delle donne”.
    Ho criticato un’argomentazione presentata come centrale (in grassetto: “Non a caso…”) che non sembra stare in piedi.
    Non è polemica, sarebbe collaborazione, se venisse raccolta, a vantaggio anche di chi (come me) ha preso sul serio il vostro documento.

  16. @Manuela
    Più che le regole attuali, vedo il problema della meritocrazia come mentale/sociale
    Nel senso che, con le quote rosa, sicuramente aumenteranno le donne nei campi in cui sono inserite, ma ciò non garantisce che siano le donne meritevoli a “scalare la vetta”, al pari appunto di come il sistema oggi gestisce gli uomini.
    Se obblighiamo i giornalisti a assumere giornaliste, ciò non garantirà che assumeranno la brava, ma magari potrebbero assumere la bella o la figlia/nipote/cugina/ziadiventesimogrado.

    Riassumendo il mio pensiero, le quote rosa, sicuramente raggiungono l’obiettivo di aumentare la partecipazione femminile, ma non portano automaticamente la meritocrazia, al contrario, se ci fosse una seria applicazione della meritocrazia, si avrebbe un “pareggio” di opportunità e quindi anche l’altra metà del paese, potrebbe gareggiare con l’altro sesso e, meritatamente, accaparrarsi i posti che gli spettano

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