Poiché la comunicazione funziona sempre in modo sistemico, si capisce perché ultimamente le uscite di Bersani possano apparire meno deprimenti di mesi fa: a fronte della comunicazione ormai disastrosa del centrodestra, lui svetta.
Se poi consideriamo il guadagno d’immagine che gli hanno procurato le imitazioni di Maurizio Crozza – l’unico che sia riuscito a strappargli un sorriso in pubblico – capiamo meglio da dove viene l’idea, sempre più diffusa, che Bersani sia all’improvviso migliorato: più morbido, disteso, perfino simpatico, con tutte quelle fantasiose metafore sui giaguari smacchiati e le lucciole fotovoltaiche, che se l’è inventate Crozza, lo sappiamo, ma che importa: ormai è come se le avesse dette Bersani.
Ieri pomeriggio stavo seguendo in rete una delle tante dirette sul referendum, quando, dopo le 16, comincia a circolare questa sintesi: «Bersani: “È stato un referendum sul divorzio, divorzio tra governo e Paese”».
Sorrido pensando a Crozza, e subito rilancio su Facebook ottenendo in pochi minuti decine di «Mi piace»: «Bersani: che stia finalmente imparando da Crozza a fare battute decenti?».
Mi precipito a cercare il video della conferenza stampa e torno alla realtà: una faccia tesa, tutta sforzata, come se Bersani fosse preoccupato e addirittura un po’ addolorato, come se pensasse che i risultati del referendum gli porteranno solo guai, perché ora sì che gli tocca fare proposte concrete. E infatti le promette per l’ennesima volta.
O forse Bersani stava solo maledicendosi per non aver fatto come Di Pietro, sostenendo i referendum dall’inizio:
«Era il 22 aprile 2010 quando aveva detto: “Noi non abbiamo una strategia referendaria perché in 15 anni si sono persi 24 referendum e poi perché il referendum manca dell’aspetto propositivo. Detto ciò, noi guardiamo con simpatia a tutti coloro che si stanno muovendo contro la privatizzazione forzata dell’acqua pubblica”» (Il Fatto Quotidiano, 4 giugno 2011).
Altro che giaguari.
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