Scienze della Comunicazione: amenità contro dati

Martedì sera, a Ballarò, Mariastella Gelmini ha dichiarato che la riforma della scuola ha voluto dare «peso specifico all’istruzione tecnica e all’istruzione professionale», perché il ministero ritiene che «piuttosto che tanti corsi di laurea inutili in Scienze delle Comunicazioni (sic) o in altre amenità, servano profili tecnici competenti che incontrino l’interesse del mercato del lavoro». Infatti, ha aggiunto, i corsi in «scienze delle comunicazione non aiutano a trovare lavoro», perché «purtroppo sono più richieste lauree di tipo scientifico, lauree che in qualche modo servono all’impresa» e «questi sono i dati».

Sollecitata da molti studenti e dottorandi – alcuni arrabbiati, altri avviliti – e da molti ex studenti del settore della comunicazione che lavorano da anni, sono andata a vedermi i dati.

Ho consultato innanzi tutto quel meraviglioso strumento on line che è Almalaurea: oltre ad avere un’interfaccia di rara semplicità, ha un database che restituisce in pochi secondi (provare per credere) i risultati di qualunque ricerca. Ho poi parlato con Andrea Cammelli, direttore di Almalaurea, che mi ha inviato un suo articolo sul rapporto fra le lauree in comunicazione e il mercato del lavoro italiano, appena uscito su Comunicazionepuntodoc, n°3, dicembre 2010, pp. 35-42. Eccolo: «Laureati per comunicare», di Andrea Cammelli.

Cosa emerge dai dati? L ‘opposto di quanto detto da Maria Stella Gelmini: i laureati del settore della comunicazione lavorano in media più degli altri.

Cammelli ha confrontato la situazione dei laureati del 2008 (post-riforma 3+2), intervistati dopo un anno, con quella dei laureati del 2004 (pre-riforma 3+2), interrogati a 5 anni dalla laurea. Come premessa va detto che, data la crisi dell’ultimo biennio, la situazione del 2009, confrontata con quella del rapporto precedente, è più preoccupante per tutti, anche per coloro che escono dalle cosiddette «lauree forti» come Ingegneria e Economia.

A parte questo, dall’osservatorio Almalaurea emerge innanzi tutto che i laureati del 2004 in Scienze della Comunicazione, a cinque anni dalla laurea, lavorano nell’87% dei casi, mentre la media nazionale è dell’82%.

Anche i neolaureati triennali in Scienze della Comunicazione del 2008 lavorano più  della media nazionale: 49% contro 42,4%.

Quanto alle lauree specialistiche nel settore della comunicazione (Cammelli ha preso in esame le classi di laurea in Editoria, comunicazione multimediale e giornalismo, Pubblicità e comunicazione d’impresa, Teoria della comunicazione, Scienze della comunicazione sociale e istituzionale), anche qui i dati confortano i comunicatori: 60% di occupati nel settore della comunicazione, contro il 57% della media nazionale.

Se infine guardiamo al profilo dei laureati specialistici nella stesse lauree, scopriamo che gli studenti del settore della comunicazione si laureano prima degli altri (a 26,6 anni contro i 27,3 del complesso), hanno svolto periodi di studio all’estero nel 15% dei casi (come la media degli altri), ma hanno fatto molti più tirocini e stage durante gli studi e conoscono l’inglese più degli altri.

Tuttavia le note dolenti per i comunicatori ci sono: maggiore precarietà e stipendi più bassi. Il 33% dei laureati in Comunicazione nel 2004 hanno ancora un lavoro precario, contro una media nazionale del 24%; e percepiscono uno stipendio lievamente più basso: 1.279 euro mensili netti contro i 1.328 del complesso.

Anche il laureati triennali del 2008 hanno gli stessi svantaggi: fra quelli che lavorano, il 42% è precario, contro il 40% della media nazionale; inoltre lo stipendio medio di un neolaureato in Comunicazione nel 2008 è di 973 euro mensili netti, contro 1.020 della media nazionale.

Insomma, che i laureati in comunicazione siano meno richiesti è stereotipo, non realtà.

Certo, il mercato del lavoro li valorizza meno, mantenendoli più a lungo nel precariato e pagandoli meno. Ma è da oltre dieci anni che gli studenti (e i docenti) del settore della comunicazione sopportano pregiudizi negativi sul loro conto e battute del tipo «scienze delle merendine» e «altre amenità».

Non possiamo pensare che gli stereotipi e i pregiudizi negativi non influiscano nella decisione delle imprese su stipendi e stabilizzazione del lavoro. È infatti anche a causa di questi pregiudizi che, se un’azienda fa un colloquio a un neolaureato in ingegneria bravo e uno in comunicazione altrettanto (o più) bravo, decide quasi per automatismo di pagarlo meno: l’ingegnere vale di più a priori, non perché «serve di più» all’azienda. La stessa cosa accade quando un’impresa deve decidere di stabilizzare due precari: a parità di condizioni, lo fa prima con l’ingegnere (l’informatico, ecc.) perché «altrimenti scappa».

È anche la somma e ripetizione di queste decisioni a creare un mercato di stipendi più bassi e precarizzazioni più frequenti. E il circolo vizioso è fatto.

In questo senso, dunque, l’uscita del ministro Gelmini è stata infelice: contribuisce ad alimentare un pregiudizio che nuoce a un profilo professionale di cui il mercato ha molto bisogno. Speriamo che, dati alla mano, l’uscita infelice possa quantomeno essere corretta.

62 risposte a “Scienze della Comunicazione: amenità contro dati

  1. Mi chiedo se la prossima settimana qualche rappresentante della cosiddetta opposizione si prenderà al briga di citare questi dati in un qualsivoglia salotto televisivo?!?
    Comunque il problema è che quella di Gelmini non è una semplice “uscita infelice” ma una vera e propria presa di posizione strategica che fa parte della strategia di smantellamento dei saperi critici che viene perseguita un po’ in tutto l’occidente attraverso l’attacco generalizzato alle Scienze Umane (http://precariementi.wordpress.com/2011/01/11/la-morte-delle-universita/).

  2. La Gelmini avrà dato retta al doppiaggio italiano di questa puntata dei Simpson (mi chiedo come sia nell’originale):

    Questo pregiudizio comunque aveva ormai convinto anche me, che non avevo mai consultato dati. Ora mi rallegro.
    Grazie Giò!

  3. ancora una volta, la Gelmini conferma di parlare senza la più elementare conoscenza degli argomenti del suo discorso. ogni secondo di attenzione dedicato a quello che dice è un secondo di troppo. ciao!

  4. il ragionamento sul “non aiuta a trovare lavoro” è solo una faccia della medaglia. A parer mio, c’è una critica a monte al gelmini-pensiero: il fatto che l’utilità di una laurea non può essere proporzionale al suo “trovare lavoro”.

  5. Contenta di essere dall’altra parte del mondo. Molto dispiaciuta di dover apprendere sempre notizie peggiori sulla nostra Italia, sulla nostra università.
    Vorrei sperare che le cose cambiassero, ma da vigliacca sono stata solo capace di scappare dove le cose vanno avanti diversamente.
    Senza entrare nel merito della critica rispetto alla laurea in comunicazione, mi chiedo perchè siano tutti così business/goal oriented? Nemmeno nella patria dell’autorealizzazione tramite la messa in atto di un proprio business si ragiona così, tant’è che i miei coetanei qui studiano ciò che piace: creative writing, european literature, art history…e io li guardo con gli occhi spalancati perchè da noi, tutto ciò, lo sogniamo e basta. Parole di chi ha fatto la studentessa frustata ad architettura per 3 lunghi anni perchè, a detta di professori universitari e non, ‘comunicazione??? NON è UNA LAUREA’. Io sono scappata da quella gente e dai loro pregiudizi, ma so che non tutti sono in grado di farlo. E se la parola del ministro è questa…dove possiamo/possono finire?C’è ancora speranza per un futuro più roseo? C’è qualcosa che possiamo fare?

  6. Confidiamo dell’ampiezza di vedute di chi dovrà assumerci un domani…

  7. nell’ampiezza…

  8. A me tutto sto risentimento della Gelmini fa un po’ tenerezza? Non è che all’epoca aveva fatto il test di ingresso e non l’avevano presa? Sui laureati in scienze della comunicazione (categoria a cui appartengo) dico solo una cosa: quelli che alla Gelmini paiono difetti in molti contesti sono pregi. E cioè il fatto che una formazione composita, ampia e anche un po’ eterogenea (come è stata la mia) insegna la capacità di essere flessibili (in senso buono, non in senso di precari) e pertanto di sapersi rapportare a contesti lavorativi molto diversi tra loro con esiti spesso molto felici. Ce lo disse Umberto Eco in una gioranta di ottobre del 1994 alla sua prima lezione alle matricole di SdC e sfido chiunque a contraddirlo… Ecco perché, tra i miei compagni di corso, c’è chi lavora nelle PA, chi nel marketing, chi fa il ricercatore universitario, chi fa film, chi ha trovato lavoro all’estero, chi nella redazione di una rivista…e potrei continuare. E infatti gli studenti di comunicazione il lavoro, bene o male, in un mercato stagnante come quello italiano, lo trovano, e secondo me proprio in virtù di questa loro capacità di essere figure utili in più settori. Ovvio che c’è bisogno di ingegneri, medici o esperti di zootecnia. Ma anche qualcuno che sappia scrivere frasi di senso compiuto, che sappia distinguere la radio da facebook e sia capace di pensare senza etichettare o inscatolare tutto in contenitori predefiniti non mi pare che faccia proprio schifo schifo al nostro paese….

  9. Tutto bene quello che dice Camelli, figurarsi. Vorrei però sottolineare che in quanto campione selezionato di AlmaLaurea (ormai da un po’) alla voce “occupato” non è possibile specificare se in un settore affino al corso di studi o meno. Brevissimo esempio personale: ricevo il primo contatto AlmaLaurea ad un anno dalla laurea in scienze della comunicazione. Al tempo stavo frequentando un master e lavorarvo come cameriera (sic) per pagarmi da vivere. Alla domanda dell’intervistatrice se lavoro o meno rispondo subito di sì (che era poi pure vero) ma chiedo di specificare che per il lavoro svolto la laurea non era conditio sine qua non, anzi. Beh, tale specificazione non è prevista nel questionario di AlmaLaurea e, francamente, ho difficoltà a ritenere che ciò sia solo un vizio di forma o simila. Chiedo quindi di venire registrata come disoccupata. Passano gli anni e puntuale quest’anno vengo intervistata di nuovo. Si ritorna alla domanda relativa al lavoro. La mia condizione nel frattempo è cambiata ma a tutt’oggi non posso certo dirmi impiegata (sono dottoranda di ricerca). Mi intorto un po’ l’intervistatrice (nel frattempo ho lavorato anche io l’intervistatrice retribuita – sempre per campare le spese – e quindi so cosa significa stare dall’altra parte del telefono) e le domando se ad oggi è possibile specificare l’utilità del corso di studi ai fini del lavoro svolto. L’intervistatrice mi conferma che ad oggi (malgrado sia una distinzione che è stata sollecitata frequentemente) non è possibile fare dei distinguo.
    Non posso quindi aggiungere molto sui dati relativi all’occupazione dei laureati in comunicazione, ma sono piuttosto sicura che i dati AlmaLaurea potrebbero non essere così affidabili.

  10. Ma vi meravigliate??? Ma non avete visto lei e l’aquila di montagna Cota attaccare un luminare come Rodotà? E con quale argomenti poi? E non soddisfatti hanno fatto il bis a 8,1/2con la bionda Micaela.Viva l’ignoranza al potere.E la sinistra(?) tace.

  11. grazie di questo articolo.
    i dati sono pubblici ed è una vergogna che un ministro possa mentire così spudoratamente – o parlare senza cognizione di causa, tra una sparata ideologica sulla meritocrazia e l’altra.

  12. Pingback: ebbene sì, siamo un corso di laurea ameno « insights

  13. aspetto trepidante un tuo intervento dopo la cavolata sparata dalla Marystar… ovviamente d’accordo con te e felice di leggere anche dei dati che avvalorano l’indignazione dei tanti comunicatori che, in questi giorni, hanno sfogato la loro rabbia su blog e SN vari… anch’io ho scritto un post, nonostante sia in piena sessione esami, perché proprio non potevo lasciare passare l’accaduto senza nemmeno un commento…

  14. FRANCESCO BUFFA DESIGNER

    Nonostante i suoi padroni vivono di “COMUNICAZIONE”, quanto detto dalla Gelmini, non vale un fico secco, stante che ha dimostrato nei fatti “legiferando”, che di università non capisce completamente niente.

  15. Maria Luisa Pettignano

    Trovo molto interessante il commento di Chiara sui dati di Almalaurea, mi ha preceduto, è importante far chiarezza per non degenerare nel qualunquismo di certi soggetti che ricoprono cariche istituzionali (e che non conoscono neppure l’esatto significato delle parole che esprimono). Ad ogni modo questo accanimento contro Scienze della comunicazione non è più tollerabile, qualcuno dovrebbe dare visibilità all’altra campana… ogni tanto qualcuno si sveglia e ne spara una, senza neppure essere contraddetto, in prima serata. Piccoli grandi pregiudizi crescono…

  16. Tutto questo non fa che confermare che le dichiarazioni del ministro non sono affatto basate sulla conoscenza dei fatti, ma su sue “costruzioni mentali” o peggio, su falsità costruite ad arte (da lei o dai suoi consulenti).

    La stessa cosa è accaduta per il riordino degli istituti tecnici, dove secondo lei sono aumentate le ore di laboratorio… 😦

    Serata della Cultura Scientifico-sperimentale.

  17. Una persona di quel partito politico, interrogata sul perché dell’uscita, mi ha replicato che il fine della ministra sarebbe quello di indirizzare i giovini prossimi maturandi. Ci sta, dal suo punto di vista. Più gente che si laurea in materie scientifiche (in condizioni di basso reddito, talvolta, quindi impossibilitata alla fuga) significa più gente che rimane qua a “produrre”.
    Sì perché la comunicazione è un “servizio”.

    Del resto al pregiudizio ci siamo abituati e io la prendo sul ridere
    (dalla palestra di Luttazzi: Gelmini: «Scienza delle comunicazioni è una laurea inutile». La scoperta dell’acqua calda, che è anche uno degli esami dell’ultimo anno. (Daniele Botti)).
    Anzi, forse in questa maniera, visti i buoni dati sull’occupazione, ci toglie qualche concorrente di torno, a noi disoccupati.

    Naturalmente è doveroso correggere la ministra quando dice baggianate e di questo ringrazio Giovanna perché, nonostante l’autoironia, anche l’autostima vuole del suo.

  18. Sono responsabile dell’indagine AlmaLaurea
    sulla condizione occupazionale dei laureati e vorrei fornire qualche
    informazione in più a Chiara e rispondere così alle sue osservazioni
    sulla nostra indagine. Nel questionario AlmaLaurea sono da sempre
    presenti domande utili a valutare la corrispondenza tra laurea
    conseguita e lavoro svolto. Si chiede ad esempio se la laurea è
    necessaria o utile per svolgere il proprio lavoro, se -sempre nel
    proprio lavoro- si utilizzano o meno le competenze acquisite durante
    l’università, se la laurea è efficace o meno. Volete una prova?
    Consultate una delle tante tavole pubblicate sul sito AlmaLaurea, ad esempio questa scheda, che
    contiene tutti i dati raccolti sui laureati specialistici
    -intervistati ad un anno dal termine degli studi- della facoltà di
    Scienze della Comunicazione. Schede analoghe a questa sono presenti per
    tutti i corsi di laurea, le facoltà, le classi, ecc. di tutti gli atenei
    del Consorzio. Invito Chiara a consultare con attenzione questi dati
    e informarsi così meglio sul lavoro che da tanti anni svolgiamo con
    impegno e serietà.

  19. Capisco che sentire sminuito il proprio corso di laurea possa dare fastidio, ma dovreste anche cercare di essere più obiettivi. Io sono una studentessa di giurisprudenza mentre una delle mie migliori amiche frequenta scienze della comunicazione; quando sento certi suoi racconti, ad esempio esami che consistono in ricerchine fatte in gruppo mi viene da piangere per quello che invece devo fare io. Poi nell’articolo è citata la conoscenza dell’inglese…beh anche li esame a dir poco elementare a suo dire. Io credo che a scienze della comunicazione ci siano materie più “variegate” e che appartengono a più campi, ma alla fine questo vi porta una preparazione superficiale e nulla di più, se non viene successivamente integrata attraverso altre attività od esperienze all’estero fatte al di fuori dell’università.
    Con questo non voglio dire che la Gelmini abbia fatto bene a denigrarvi così, ma forse non dovete neanche pontificare in questo modo sulla vostra facoltà.

  20. …a proposito di lauree “forti”. marchionne è laureato in filosofia.

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  22. Basta a questi pregiudizi, basta a questi ministri truffa, razzisti e omofobi.
    Basta a queste inutilità e a questa demagogia.
    Sfido chiunque a dire che la lega non sia RAZZISTA
    RAZZISTI , RAZZISTI, RAZZISTI

  23. Cara Ambra, io ho fatto Scienze della comunicazione e concordo con te sul fatto che esistano esami “farsa”, se per questo intendiamo che ci sono (fra gli altri) anche professori poco seri che mettono voti un po’ a casaccio. Ma questo succede un po’ in tutti i corsi di laurea, da storia a lettere a giurisprudenza a ingegneria. E lo dico perchè -come te- ne ho sentito i racconti. Quello che non posso assolutamente lasciar passare, invece, è il commento sulle tesine. Io ne ho fatte tesine e lavori di gruppo, ti assicuro che portano via un sacco di tempo e impegno (se fatte bene, ovviamente). Spesso, per poter scrivere con cognizione di causa su un argomento, è necessario prima averlo studiato: fare un lavoro di gruppo non significa trovarsi a pranzo e scrivere le prime 3 cose che vengono in mente. E posso anche dire che a volte è più difficile prendere un bel voto con una tesina perchè un semplice esame sulla conoscenza è più oggettivo (per intenderci, o la risposta la sai o non la sai). Qui mi pare che si confonda l’avere due metodi diversi di studio, per due materie e due lavori assolutamente diversi, con il “fare” o “non fare”. Sfido un laureato in materie scientifiche col massimo dei voti a ottenere gli stessi risultati facendo scienze della comunicazione. Ci sono attitudini diverse, che vanno rispettate e basta.

  24. @Ambra.
    Simpatica la tua argomentazione. Il tuo implicito sarebbe che giurisprudenza è seria mentre scienze della comunicazione no: perché nella seconda si fanno le “ricerchine e gli esami di inglese elementari”. La questione era invece se si trova lavoro o meno, dunque chi pontifica fuori dal vaso non siamo “noi”.
    Poi. Se a uno piace “variegare” piuttosto che “approfondire” non è detto che debba essere “superficiale”, potrebbe al contrario essere molto curioso da non essere animato dalla passione per le sentenze della Cassazione, capita!
    La Gelmini non denigra, ci sei andata più vicina tu. La Gelmini fa uscite infelici perché fa passare l’idea, che attecchisce gran bene, che certe forme di conoscenza siano più pregiate di altre.
    Ognuno è capomastro del proprio avvenire, le sparate di un ministro che butta legna sui pregiudizi parlando per sentito dire contano poi poco.

  25. Singolare, come il ministro di un governo “costruito sulla comunicazione”, si abbandoni a simili stereotipi. Singolare. Ma non strano.

  26. @Roberta: io non intendevo tesine, la mia amica ha proprio detto che erano ricerche che facevano in pochi giorni! Poi ovviamente quello dipende dai professori, se non gli interessa e lasciano correre vedendo ricerche approssimative è colpa loro e non deli studenti che si adeguano e fanno il minimo indispensabile (molto probabilmente lo farei anch’io).

    @Antonio: io non volevo assolutamente dire che una sia più seria o meno seria di un’altra, ho solo riportato quello che la mia amica mi ha raccontato, e non essendo una conoscente qualsiasi penso mi abbia detto la verità. Dalla visione che ho di entrambe penso solo che ce ne sia una in cui si studia di più, tutto qua.
    Comunque mi sembra che anche tu, dicendo che una persona curiosa non è animata dalla passione per la Cassazione, abbia i tuoi pregiudizi! Reputi tutti i giuristi persone noiose e scontate? Sembrerebbe di si, ma non vorrei aver capito male.

  27. @Ambra
    Hai ragione. Quando si giudica qualcosa bisogna essere obiettivi, ma per essere obiettivi bisogna conoscere ciò che si vuole giudicare. Non ci si può basare sul sentito dire. Mi sembra che tu abbia fatto proprio questo.
    Ti scrive una laureanda che, tre anni mezzo fa, stava per NON iscriversi a scienze della comunicazione proprio a causa dei pre-giudizi circolanti. Ora, con il senno di poi, ti dico che non saprei che altro fare nella vita.
    Come in tutti i corsi e facoltà il percorso è accidentato e non semplice e, fin troppo banale ricordarlo, tutto sta nella serietà della persona che lo intraprende. Non so quando si sia iscritta la tua amica, ma ti posso dire che l’esame di inglese che ho sostenuto io era suddiviso in 11 parti ed è durato un anno intero, ti posso dire che a corredare le tesine che ho portato agli esami c’erano sempre dalle 700 alle 1200 pagine da studiare, ti posso dire che ho dovuto costruire un sito internet per l’insegnamento di informatica, ti posso dire tante altre cose, ma non credo serviranno a molto se non sarai disposta, non solo tu ovviamente ma anche tanti altri, a scendere da quel cumolo di pregiudizi/giudizi su cui ti sei arroccata.
    Solo su un punto sono d’accordo con Gelmini: il settore in cui io ho deciso di scommettere è più difficile di altri. Vero. Ma quando si parla di comunicazione si deve pensare a uno spettro amplissimo di ambiti occupazionali (editoria, pubbliche relazioni, risorse umane, comunicazione pubblica, sociale e politica, pubblicità…) e mi sembra che solo una persona incosciente, o meglio inconsapevole possa affermare e sposare quelle parole. Parole, inoltre, che non si limitano a denigrare professioni, ma soprattutto PERSONE che quotidianamente si impegnano, credono e mettono passione nello studio come nel loro lavoro. Significa ritenere a prescindere migliori, forse più intelligenti, più dotati, più competenti alcuni ragazzi al posto di altri, quando credo sarebbe solo più corretto parlare di specificità, talenti e capacità differenti. Io non avrei mai potuto studiare ingegneria, economia e neppure giurisprudenza, perché ho una mente votata ad altro. Ne sono consapevole e ho fatto la mia scelta, senza piegarmi a presunte richieste occupazionali che appaiono dai dati. Non so tu, ma io ho un amico ingegnere che monta e smonta le impalcature ai concerti, un’amica che non riesce a superare l’esame di stato per abilitarsi all’avvocatura, perché non è la figlia delle persone giuste e un cugino laureato con 110 e lode in lingue che, da quando ha 23 anni, insegna a Londra in una scuola superiore e ora, che ne ha 31, è stato appena promosso a capo dipartimento di italianistica. Da noi sarebbe stato possibile? I dati dicono di no. Nessuno di loro ha fatto comunicazione eppure è incorso in problemi.
    Se Gelmini ci avesse detto che è necessaria una riorganizzazione sistematica INTERNA al mio corso, le avrei dato ragione su due piedi: è vero, ce n’è bisogno soprattutto per offrire, anche esternamente, una visione più chiara su chi siamo. Ma se dobbiamo solo continuare ad accettare accuse denigratorie da chi, evidentemente, non sa quello per cui siamo formati: io non ci sto.

  28. @Glory11
    La mia amica si è iscritta 3 anni fa a Genova, che poi Scienze della comunicazione è dislocata a Savona. Ti posso assicurare che non ha fatto cose come quelle che hai citato te, come l’esame di inglese lungo 11 mesi o le 700 pagg e passa di esame. Questo non dipende ovviamente da lei, penso sia un problema della facoltà, dei professori e dell’università in generale (che ha tantissimi problemi credo ovunque ed in qualsiasi facoltà!)

  29. Scusate ma non vi sembra ironico che i corsi di laurea in comunicazione non siano in grado di gestire la propria reputazone un po’ meglio?

    Soprattutto se (come sembra) i risultati ci sono e sono buoni.

  30. @Ambra
    Quindi stai giudicando un’intera categoria di persone in base a un racconto fatto da una tua amica (che, se mi permetti, non sembra esattamente motivata, visto che se la cava con “ricerche fatte in pochi giorni”). Per essere una studentessa di giurisprudenza, le tue argomentazioni sono piuttosto deboli.

    Quest’anno finirò la triennale in Scienze della comunicazione, e ti assicuro che non ho mai avuto a che fare con “ricerchine” o “esami elementari”. Ho avuto a che fare con professori approssimativi e a volte incompetenti, quello si, ma non si tratta di un problema che colpisce solo la mia facoltà.
    E sottoscrivo tutto quello che ha scritto Glory11: una riorganizzazione interna è necessaria, così come è necessario eliminare i pregiudizi, i vari “scienze delle merendine” e, in generale, la tendenza a credere che certe conoscenze abbiano più valore di altre.
    Recentemente mi è capitato di partecipare a un incontro col direttore de Il Resto del Carlino. Durante la conferenza, ha detto apertamente che, al momento dell’assunzione, il giornale tende a scartare i laureati in Scienze della comunicazione e a preferire le lauree in materie più classiche, come economia, giurisprudenza… Cito questo fatto perché (indipendentemente dalla mia opinione personale sulla qualità del Resto del Carlino) mi è sembrato assurdo – dopo quasi tre anni di studi orientati verso il giornalismo – sentirmi dire dal direttore di un grande quotidiano che la mia laurea non verrà presa in considerazione o, ancora peggio, considerata “inferiore”.
    C’è davvero bisogno di cambiare mentalità.

  31. Il pregiudizio purtroppo è fonte di molte opinioni deleterie. Se ne parla anche qui: http://whataboutcom.wordpress.com/
    Trovare una soluzione è l’intento di tutti i laureandi e laureati in Comunicazione. Credo che la continua recriminazione di 30 regalati e famose “tesine” così bistrattate da tutti ma in realtà così necessarie a gente che nel proprio futuro dovrà avere la capacità di saper analizzare e scrivere dei testi che possano definirsi tali, stia raggiungendo livelli di logoramento. Logoramento della fatica di professori e ricercatori, e dell’impegno e buona volontà di ogni studente motivato.
    Apriamo le porte degli atenei, facciamo qualcosa…Non lo so.

  32. girolamo de michele

    Due-parole-due anche sull’altro segmento della comunicazione del ministro Gelmini: l’aumento del peso specifico dell’istruzione tecnico-professionale (dice). Col riordino dei cicli, è accaduto esattamente il contrario: la fine dell’autonomia e la drastica riduzione dei curricoli orari (in questo seguendo una strada già tracciata dal precedente ministero Fioroni-Bastico) ha comportato l’espulsione dell’informatica da buona parte degli indirizzi tecnici e una falcidie di materie professionalizzanti. Un esempio per tutti: in un professionale meccanici dove si insegnava per curricolo l’avantreno meccanico, e come sperimentazione l’avantreno elettronico, ora si insegna solo il primo. Chi si iscrive in un professionale deve scegliere sin dall’iscrizione che tipo di corso seguire, e quindi è fortemente incentivato a scegliere il corso breve, cioè il diploma triennale, per andare a lavorare a 16 anni. Il tentativo, per ora stoppato da un ricorso ma perseguito da Gelmini (estendendo una norma creata da Fioroni) di dare valore di diploma ai corsi di formazione professionale prelude ad un ingresso nel mondo lavoro già a 14 anni. E il Protocollo d’Intesa “Tecnici Superiori per Finmeccanica” stipulato con Finmeccanica («pienamente in linea con le strategie del Gruppo Finmeccanica», si legge nel comunicato di Finmeccanica che ne dà notizia) per la creazione di fondazioni con valore di Istituto Tecnico, con personale e materie provenienti da Finmeccanica a spese dello Stato, e promessa di posti di lavoro nelle aziende Finmeccanica (holding che coordina la produzione industriale bellica italiana, da Agusta Westland ad Alenia Aermacchi) trasforma l’istruzione tecnica, che a parole dovrebbe trovare prosecuzione nell’università, in istituti professionali, frequentati avendo come obiettivo il lavoro a 18 anni.
    Non servono altri commenti, direi.

  33. Chi denigra corsi di laurea di qualsiasi genere, intenzionalmente o meno, si espone ad ogni genere di critica. Il motivo è semplice: ogni corso di laurea, perlomeno qui in Italia, ha le sue criticità pre/postlaurea.
    Ritengo comunque che, per personalissima e non del tutto argomentata idea, ci siano lauree più o meno impegnative. Scienze della comunicazione, osservandola da conoscenti appassionati del loro studio, ha un certo grado di difficoltà legato alla grande varietà di argomenti che tocca.
    Aldilà di ogni concetto esposto comunque, la frase che userei è questa: “Ognuno fa il proprio mestiere, il quale ha pari importanza a quello di qualsiasi altra persona”.
    Tornando in tema non mi stupisco dell errore in cui è caduta il Ministro. Non è certo un mistero che i ministri i dati non li sappiano leggere, ne tantomeno è un mistero la lettura “a proprio comodo”.
    Sta a noi difendere/divulgare la verità, consci che nessuna critica/balla smuoverà l’amore per i nostri sogni.

  34. ma basta cn qst teorie sulla cospirazione, il disegno del mondo, lo smantellamento dei saperi critici… ma ancora non si capisce che grazie allo stato attuale STIAMO ORA distruggendo l’università, la ricerca, la scuola, la formazione delle persone, il nostro futuro insomma. siamo d’accordo, la riforma gelmini va nella giusta direzione ma forse nelle modalità d’attuazione ci sarebbe da lavorare.. ma in generale, che ben venga una cazzo di riforma generale del sistema educativo italiano
    i professori devono essere valutati e in base a questo essere spronati a fare bene e disincentivati a fare male! non è possibile che professori che pubblicano 2 articoli ogni 4 anni guadagnino 2 3 mila euro al mese. magari hanno anche un doppio lavoro, non si presentano alle lezioni che dovrebbero tenere.. dobbiamo modernizzarci, siamo sempre in ritardo. dobbiamo inserire la parola meritocrazia nella costituzione come colonna portante delle leggi della nostra nazione

    ABBASSO I BARONI, eEVVIVA TUTTI QUELLI CHE NONOSTANTE TUTTO FANNO RICERCA E VIVONO PER QUESTO

    phd alla sapienza

  35. leggo di comunicazione per la famosa “cultura personale” e di conseguenza anche e soprattutto questo blog.
    Resto sempre molto amareggiato quando leggo o sento certe opinioni (?) proprio da chi chi fa COMUNICAZIONE (politici, giornalisti e così via…). Non capisco perché ne parlino male di chi la studia… o proprio per questo? meno gente sa, meglio è! Magari è la stessa filosofia usata con l’informazione: si scredita e basta! Non è la prima volta che “qualcuno” si esprime contro: a sentire i mal(?)pensanti è sempre la stessa parte politica…. http://www.youtube.com/watch?v=PLjyCq3-ogw

  36. @Ambra
    Hai capito male, mi spiace.
    Dico che è una curiosità diversa… Mai parlato di “noiose e scontate”, visto che mi tengo alla larga dal pensare tramite stereotipi.
    Il tuo inciampo sta nell’affermare che “noi” dovremmo essere “obiettivi”.
    Io non ho problemi coi giuristi, anzi penso della giurisprudenza il meglio possibile in quanto a interesse. Dovrei capire però, nell’economia del tuo pensiero, cosa aggiunge lo studiare di più dei giuristi al trovare lavoro che era in oggetto nel discorso di Gelmini.
    Riassumendo: tu dici che, al di là della sparata della ministra, noi dovremmo essere obiettivi perché – ad esempio – i giuristi studiano di più.
    Quindi?

  37. @Antonio
    Io avrò capito male, ma te anche. Innanzitutto non ho mai parlato delle possibilità di trovare lavoro una volta conseguita la laurea in scienze della comunicazione; ho solo espresso il mio parere sul perché succede che la vostra facoltà sia frequentemente considerata “minore” (cosa di cui vi lamentavate nei commenti) e secondo me questo accade perché, sentendo le esperienze dirette di persone che la frequentano, si è portati a pensare che il carico di studio sia decisamente inferiore a quello di altre facoltà e quindi più semplice ottenere la laurea. Se ciò non è vero, cercate di convincere i vostri colleghi a non raccontare in giro cose che non corrispondono alla realtà.

  38. Salve a tutti,
    sono arrivato a questo blog da quello di Gennaro Carotenuto.
    Visto che lavoro dall`altra parte della barricata (insegno in un`Universita` a Dublino), vorrei aggiungere qualche elemento all discussione, sperando (e augurando) a tutti gli studenti di SdC di trovare un buon lavoro. Perdonate l`impostazione un po`militante e “tecnica” (ahime`, sono ingegnere).

    Dopo il dottorato, la cosa piu`difficile che ho dovuto imparare e`stata scrivere, non solo perche`dovevo scrivere in Inglese, ma perche`non sapevo costruire un discorso complesso. Numeretti, quanti volete, ma ancora adesso faccio fatica a scrivere proposals e articoli. Il motivo e`facile da individuare: poco tempo dedicato ad esami di Italiano, Inglese, scrittura tecnico-scientifica, etc. Da studente, i miei docenti mi dicevano di scrivere semplice, per evitare problemi. E basta.

    Come molti sano, oggi il lavoro universitario si basa sulla comunicazione efficace. Devo far capire ai reviewers il senso della mia proposal, devo comunicare agli studenti cosa devono apprendere, devo rispondere alle critiche in maniera fattuale ed equilibrata. All`estero, i ricercatori e i docenti possono richiedere l`aiuto di scrittori professionali, spesso laureati in comunicazione, giornalismo, letteratura. Sara`un caso, ma funziona all`80% (se la parte scientifica e `valida, of course). E queste figure sono pure ben pagate! La progettazione di siti internet e` affidati ad altre figure (per via della crescente complessita`tecnica), e penso andrebbero esclusi dagli insegnamenti di SdC. Ma il content manager e`e rimane un giornalista/comunicatore. Addirittura la EU ha attivato da anni una serie di calls for proposal su “Science and Society”, dove la comunicazione la fa da padrone.
    Insomma, all`estero, ma piano piano anche in Italia, il comunicatore ha nuovi spazi lavorativi, e puo`partecipare del processo di produzione scientifica in un`Universita`.

    Veniamo alla parte militante:
    I comunicatori, con i loro quasi fratelli sociologi, sono fondamentali per capire le dinamiche dei gruppi di potere e spiegarle al pubblico. Questa e`la funzione pensante a cui si riferiscono molti commentatori, in contrapposizione alla funzione “facente”. Non posso immaginare un mondo senza SdC e senza comunicatori. Il recente esempio WikiLeaks mostra appunto la potenza, ma anche i limiti dell`informazione non mediata.

    Certo, cè`chi si consegna al lato oscuro e diventa spin doctor, mentitore di professione, ma ci sono anche ingegneri che fingono di progettare il ponte di Messina, e` un problema diffuso.

    Saluti

  39. @Ambra
    Chiaro che avevo capito male. Ti avevo appunto chiesto ragguagli.
    Ora è tutto chiaro, obiettività è fatta.

    Se qualcuno, poniamo, paga i professori e me lo racconta. Io devo pensare che la sua facoltà sia “minore” a livello nazionale, oppure è solo un caso relativo al luogo in cui accade?
    Manca solo di convincere i nostri colleghi a non spifferare cosa combinano all’università, sennò sai che figura…
    Invece, sulla “superficialità” del “variegato” hai cambiato idea?
    Altri lettori ti hanno già parlato di esami di inglese lunghi un anno e, io, ti aggiungo che esistono, sempre a Bologna, esami molto complessi e impegnativi. Forse a Savona no. E allora eleggiamo Savona a rappresentante della situazione italiana?
    Bisognerebbe solo aver voglia di comprendere che tanta gente intorno a noi si sbatte, e che non per tutti è desiderabile laurearsi senza fatica.

  40. @Ambra e tutti i suoi commentatori:
    Cara Ambra non entro nel merito del tuo discorso, in molti ti hanno risposto egregiamente.
    Vorrei solo dirti che studiare comunicazione ti permette di evitare scempi quali (e ti cito) “attraverso altre attività OD esperienze all’estero fatte al di fuori dell’università”.
    L’uso della d eufonica quando la vocale che segue non è la stessa è largamente sconsigliato, in particolar modo poi nel caso della o. Penso che il tuo sia un vezzo per dare un tono aulico alla tua argomentazione. Tranquilla, capita a molte persone, non sei sola.
    D’altro canto molti di noi laureati in comunicazione non distinguono la Cassazione dalla Corte Costituzionale….
    Questo per dirti, la gara tra il “bimbo bello” e il “bimbo brutto” innescata dal ministro Gelmini e supportata dalle tue argomentazioni non ha molto senso. Piuttosto parlerei di conoscenze e competenze differenti, non superiori e inferiori.
    Fai solo attenzione, quando vuoi emergere dalla massa, a controllare che il tuo discorso sia impeccabile, altrimenti ci fai una brutta figura.

  41. molto contenta dell’87% degli occupati!!tra l’altro, berlusconi è proprietario della IULM, che offre la preparazione identica alla classe di laurea pubblica in comunicazione d’impresa e pubblicità (dove tra l’altro le materie caratterizzanti,oltre sociologia, son tutte scientifiche:economia e informatica!)..quindi o la gelmini ha fatto un passo falso oppure si tratta di un’abile campagna denigratoria per favorire l’università privata a discapito di quella pubblica..

  42. Credo che uno dei grandi problemi degli intellettuali italiani sia la velocità a mettersi immediatamente sulla difensiva al primo configurarsi di una qualsivoglia critica.

    Su questo, i docenti universitari, scienziati o umanisti, non sono secondi a nessuno. Guai a toccare il loro orticello. E guai a parlare nel merito dei loro corsi di studio. E più sono scarsi più si barricano. Che poi le lamentele sono simmetriche, e parrebbero escludersi a vicenda: nella terra di Croce&Gentile c’è chi ritiene che gli studi umanistici subiscano un ingiusto pregiudizio; al contempo lamentano scarsa attenzione chi si occupa di materie scientifiche: a chi dar ragione? Per ora sono molti di più gli studenti ad iscriversi a Scienze della Comunicazione che a Matematica o Fisica. Perché? È lesa maestà chiedersi se c’entri anche la “durezza” del percorso di studi?

    Per uno scarso docente, poco preparato e poco abile nell’insegnare, è sicuramente più facile regalare esami, piuttosto che dover affrontare l’insoddisfazione dei discenti. E questo fa il gioco dello studente pigro. Per fortuna la maggior parte degli studenti non è pigra, e questi devono pretendere buoni docenti e una formazione esigente. È lesa maestà chiedersi se lo stato di una materia sia in grado di presentarsi nel modo corretto?

    Non è una gara fra branche del sapere, gara al ribasso: è inaccettabile che un ingegnere non sia in grado di scrivere un proposal, che esistano giornalisti che “io la matematica non l’ho mai capita”, che un fisico non conosca più i congiuntivi o che ci siano umanisti che ritengano un esame di informatica tosto costruire un sito internet nel 2010. Inaccettabile e vergognoso.

    Ridicolo, invence, pensare automaticamente che siano sempre gli altri (“il popolo bue”) a dover cambiare mentalità. Mai che si debba cacciare il professore che da quindici anni non pubblica niente e non va mai a lezione. Mai che si ritenga salutare una bocciatura. E guai a gettare ponti.

    Fortunatamente vi sono ottimi docenti, ottimi ricercatori e ottimi studenti, che stanno facendo sentire la loro voce: ci vorrebbe un pizzico di orgoglio in più per smettere di farsi la guerra fra poveri e cambiare le cose.

  43. Scusate se non entro nel merito dei numerosi commenti che mi hanno preceduto.
    Quella della Gelmini era ed è mera propaganda politica, che fa parte di un disegno molto chiaro di questo Governo: disprezzare e umiliare la cultura umanistica perché la cultura umanistica rischia di far pensare qualcuno. Il che spaventa.
    “Con la cultura non si mangia” ve lo siete già dimenticato?
    Del resto, la prima volta che mi sono sentito defnire “intellettuale di merda” ( è stato da un giovane produttore yuppy di mediaset e la prima volta che mi sono sentito definire “comunista” (solo perché avevo sostenuto l’idea di una legge antitrust) è stato sempre a mediaset, da un più attempato produttore. Erano gli anni novanta. Adesso questa gente (in senso translato) è al Governo, e io non mi stupisco affatto di quel che dicono e, purtroppo, fanno.
    Era in programma da 30 anni…

  44. Pingback: Polemiche con la Gelmini dal lato sbagliato, ma serie » Scene Digitali - Blog - Repubblica.it

  45. Buongiorno io sono una laureata in comunicazione e penso che le parole dette a caso dalla Gelmini possano far riflettere su questo corso di laurea, su più punti di vista.
    Prima di tutto l’occupazione, i dati di almalaurea non parlano di un placement così basso, va bene, ma che tipo di occupazione hanno queste persone? Cioè che lavoro fanno? hanno impieghi per cui la laurea in comunicazione è fondamentale per il loro lavoro?
    Secondo punto l’organizzazione del corso di laurea in sé, io credo che nonostante i corsi di laurea non debbano essere professionalizzanti si debba almeno tenere conto, visto che parliamo di comunicazione, un settore anche molto pratico, di quali figure professionali potrebbero servire nel mondo reale visto la moltitudine di impieghi nel settore della comunicazione. Questo si potrebbe tradurre per esempio nell’aumentare i laboratori, o gli stage presso le aziende, è vero però che per fare questo ci vogliono anche dei soldi e in un momento dove le riorganizzazioni degli atenei guardano al risparmio è difficile riorganizzare i corsi in modo “critico”.
    Detto questo l’intervento di chi in questa laurea ci insegna e l’ha creata mi sembra assolutamente dovuto specialmente di fronte ad attacchi così stupidi, però non mi dispiacerebbe che anche i docenti avessero un pizzico di autocritica nei confronti di questo corso che a mio parere avrebbe bisogno di qualche accorgimento in più per renderci più preparati al mondo del lavoro.

  46. Solo una domanda/riflessione…ma se il corso il SdC è “un’amenità” e dovrebbe essere soppresso, allora perchè poi Mediaset promuove Master (ovviamente profumatamente a pagamento) in Comunicazione e Marketing????????? Che razza di contraddizione è questa? Ma è possibile che non posso avere un minimo di coerenza in questo Paese??
    Sono davvero stanca mi trovarmi a percorrere una strada promossa dal Paese in cui vivo, e alla fine di questa strada trovarla chiusa perchè in realtà è “un’amenità”!!
    Studenti di SdC vi sono davvero vicina, anche se io sono una laureata in lingue.

  47. Da Suo ex studente, Prof, mi limito ad aggiungere che talvolta il silenzio è la miglior comunicazione. La politica ce l’ha appena insegnato (per la seicentesima volta).

    Può un ministro non verificare i dati prima di sciorinarlo in televisione?

    Basitamente Vostro,
    F.

  48. La laurea in scienze della comunicazione vale ben poco in Italia. Per fortuna che l’84% dopo 5 anni lavora! Ma dove? In pizzeria, in un negozio d’abbigliamento, per qualche cooperativa?
    Purtroppo stesso discorso vale per i collghi biologi. Solo che fino a prova contraria la facoltà di Biologia è più selettiva e dura.
    Non nascondiamoci dietro un dito.
    La Moratti ha perfettamente ragione.
    Ne conosco a decine di amici che non trovano lavoro e quasi tutti il primo anno dalla laurea sono dovuti ricorrere al servizio civile per guadagnare i primi soldi. Queste cose non capitano agli studenti del Politecnico, ai medici, ai farmacisti, ai laureati in CTF etc etc.
    Se poi vi piace far laureare i giovani per farli stare nel precariato, occupare un posto che non è quello per cui hanno studiato…. la Gelmini ha sbagliato.

  49. Pingback: Scienze della Comunicazione dice B.A.S.T.A alla disinformazione e apre a nuovi equilibri « Associazione Dottori Scienze della Comunicazione

  50. Quando iniziai io Scienze della Comunicazione a Bologna c’era ancora il terribile, ristrettissimo numero chiuso. Mi ricordo che allora SdC ispirava rispetto, un’immagine di studi faticosissimi dove per ermergere bisognava essere dei geni (e in effetti un buon numero di studenti, da cui mi traggo fuori, lo era, o si atteggiava a tale), lunga, perigliosa, con esami difficili (Semiotica mi faceva venire le ansie e composizione testi in italiano gli incubi – ripetuta due volte, infatti, e sono anche citata con un mio orribile strafalcione nel libro della Professoressa Cosenza). Che fine ha fatto quest’immagine? Cosa si è sbagliato, e cosa possiamo fare per tornare alla vecchia gloria? Che ironica contraddizione che SdC sia vittima di una tale falsa rappresentazione. Forse dobbiamo impegnarci non solo a trovare un lavoro decentemente pagato (così la Gelmini si tranquillizza), ma anche a comunicare il nostro lavoro e le nostre competenze in maniera migliore, e mi auguro che l’Associazione Dottori Scienze della Comunicazione possa essere una prima valida iniziativa.

  51. Gelmini confuses “training” .. provided by Scuole di Formazione.. with education.. provided by higher education. Training is to learn skills which employers order their employees to do. ( e.g. You need to know Javascript ).
    These skills date badly ( e.g. Fortran is no longer relevant ). Education teaches analytical skills, evaluative skills, notions, theory, perspectives which underly and condition thinking about work, strategies and approaches. Educated students don’t only take orders, they take intiatives, solve problems and work independently as highly literate workers, who can dialog, reach conclusions and contribute to long-term solutions. They have engaged in higher levels of reading, writing, reasoning, argumentation which go beyond mere taking and implementing instructions.

    I think Gelmini perhaps likes it this way.. the brain drain of Italian talent moving abroad is just one manifestation of the common disapproval of the current sad state of civic leadership.

  52. ma io dico….sarà colpa degli studenti se si creano lauree “inutili???????” ki ha creato questi corsi? senza contare ke questi studenti pagato tasse costosissime come tutti. Ricordo i miei professiori diversi anni fa che mi sconsigliavano di fare “Giurisprudenza” perchè in Italia ci sono 3,4 avvocati ogni mille abitanti. Chissà magari avrei trovato lavoro subito, o sarei rimasta a spasso…ma almeno avrei avuto la soddisfazione di studiare per qualcosa che ne vale la pena invece di dover leggere questi articoli….Invece ho creduto nelle potenzialità di una facoltà che doveva essere all’avanguardia, pensavo…”nell’era di internet ci sarà bisogno di nuove figure esperte nel mondo del marketing, dei nuovi media”? Aveva ragione mio padre che mi voleva avvocato…
    La Gelmini prima di parlare dovrebbe chiedersi se in Italia effettivamente per lavorare serve una laurea o se ciò che fa la differenza è altro. Viviamo tempi duri…tutti, il tasso di disoccupazione e precariato è altissimo, laureati e non. Condivido solo che cè bisogno di una maggiore specializzazione ma questo è un problema dell’università italiana in generale. Dopo diversi lavori (che i piacevano molto) con contratti a progetto, senza ferie, malattie, mi sono stancata…e ho accettato un contratto a tempo indetermintato in un’assicurazione. Non ho mai smesso di guardare gli annunci di lavoro…

    un saluto, una laureata in Scienze della Comunicazione

  53. Salve a tutti, questo il nostro contributo alla discussione.
    Siamo pazzi? Non crediamo!
    http://madinitaly.mettiamocilatesta.it/blog/mad-master/

  54. Scusate la doppia intrusione…vi lascio anche questa seconda pillola di risposta, firmata Serena Orizi: http://www.doctorbrand.it/2011/02/gelmini-e-il-falo-delle-amenita.html
    Grazie,
    Jacopo

  55. il discredito è diffuso. non solo le università, ma anche quei licei che hanno intrapreso la strada della sperimentazione, inserendo linguaggi della comunicazione come materia aggiuntiva, spendendo ore di alcune discipline per fare lavorare gli studenti sulle nuove tecniche.
    prova ne sia l’intervento recentissimo di un assessore provinciale, che, intervistato dal giornale locale in merito alla flessione di iscrizioni in un liceo classico che aveva tentato questa strada, si è così espresso:

    “«Il Volta – sottolinea l’assessore provinciale Achille Mojoli – raccoglieva tanti iscritti quando aveva camuffato alcuni corsi, facendo un po’ di marketing con dei titoli allettanti come quello di Comunicazione. Oggi che la riforma ha portato maggiore concretezza e chiarezza, il classico ha perso un po’ di appeal». L’assessore non è preoccupato per le sorti della più antica e prestigiosa scuola cittadina: «Siamo nella media regionale dei licei classici. Questi numeri vanno bene per il Volta, che deve sempre più qualificarsi in termini di scuola di eccellenza».

    comunicazione non è altro che un titolo allettante, che camuffa una strategia di marketing, capite?
    non voglio commentare…ho però inserito il link di questa discussione nel sito del giornale. chissà che l’assessore non lo legga, e si ricreda…:-)

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