Quando lo stagista alza (tardi) la testa

Mi arriva da Mario (nome fittizio) una mail in cui denuncia, con una certa amarezza e rabbia, la sua delusione per un tirocinio appena terminato presso una piccola impresa del territorio emiliano-romagnolo.

Ovviamente Mario ha ragione, e io provvederò di conseguenza.

Tuttavia dal mio punto di vista ha sbagliato anche lui, per ragioni che gli ho spiegato nella mail di risposta. Leggi lo scambio, pensaci e di’ la tua, se ti va.

Mail di Mario:

Gentile professoressa, mi chiamo Mario X, sono un ex studente del corso di laurea in Scienze della Comunicazione, mi sono laureato lo scorso marzo e ho dato con lei l’esame di Semiotica del Testo. Dopo la laurea ho accettato uno stage presso un’azienda convenzionata con l’università, ed è proprio a questo proposito che ho deciso di rivolgermi a Lei: so che fa parte della Commissione Tirocini, inoltre seguendo il Suo blog ho notato che spesso si occupa di queste tematiche.

Lo stage che mi è stato offerto non era retribuito, tuttavia ho accettato lo stesso, un po’ perché di meglio non ho trovato, un po’ perché pare che nessuno voglia assumere un neolaureato senza esperienza. Ho pensato che lo stage sarebbe stato un periodo di formazione professionale. Mi sbagliavo.

L’azienda per cui ho lavorato è un’agenzia che organizza eventi. Gli incarichi che mi venivano affidati consistevano soprattutto nel ricercare sponsor, il che significa ricercare soldi, e questo è abbastanza paradossale per uno che faceva quel lavoro senza essere pagato. Ci si attaccava al telefono per tutta la giornata con una lista di aziende a cui vendere improbabili progetti di comunicazione, una specie di call center in incognito.

Trovati i soldi, scattava la parte pratica: montare mobili necessari per l’allestimento dell’evento. Viti e bulloni per me non hanno più segreti, giuro. Sono diventato esperto anche nel campo delle commissioni: andare in ferramenta a comprare la prolunga elettrica o nei supermercati a cercare gli ombrelloni da giardino al miglior prezzo sono solo un piccolo esempio delle mansioni che mi venivano abitualmente affidate; neanche a dirlo, a fare le commissioni ci andavo con la mia macchina, e i soldi per la merce era prassi che li anticipassi io (“…è più pratico così, no?!”).

Un giorno la mia responsabile mi convoca e dice: “Sabato sera un’agenzia concorrente organizza un evento a XY, io non riesco ad andare, vai tu a vedere cosa fanno”. Lì per lì ho pensato a uno scherzo di cattivo gusto per testare il mio senso dell’umorismo, poi purtroppo ho capito che era seria.

Naturalmente non mi avrebbe rimborsato né benzina, né niente.

Nell’azienda in cui ho fatto lo stage lavorano una decina di persone, solo due o tre al massimo potrebbero avere un contratto a tempo indeterminato, gli altri hanno la Partita Iva o sono in nero; di sicuro però so che oltre a me c’erano altri cinque stagisti. Se non sbaglio la legge pone delle limitazioni al numero di tirocinanti ospitabili, e sono piuttosto sicuro che sei stagisti siano decisamente troppi.

Durante la mia permanenza presso l’azienda ho avuto modo di vedere con quale atteggiamento vengono reclutati gli stagisti, e per me che lo ero non è stato affatto lusinghiero. Lo stagista è uno strumento da sfruttare per chi è già inserito in un sistema lavorativo, e questo meccanismo diventa ancor più insopportabile quando ti trattano come se nessuno fosse in grado di distinguere fra ciò che ci compete e ciò che invece non saremmo affatto tenuti a fare.

Gentile professoressa, spero che in virtù del ruolo istituzionale che ricopre possa prendere provvedimenti per migliorare la situazione. Naturalmente sono a completa disposizione qualora necessitasse di ulteriori informazioni o chiarimenti.»

Mia risposta:

Caro Mario, hai fatto benissimo a segnalarmi il caso. Provvederò senz’altro per quel che mi compete. E tuttavia mi e ti chiedo:

  1. Perché non ti sei fatto valere subito con loro, chiedendo esplicitamente che non ti facessero fare le cose che non ritenevi formative?
  2. Perché non ti sei rivolto subito al tuo docente tutor universitario? (a proposito, chi era?): certe cose vanno segnalate durante il tirocinio, non a cose fatte.

Perché così hai perso un’occasione formativa. Invece, se avessi segnalato i problemi mentre il tirocinio era in corso (meglio ancora, all’inizio), si poteva cambiare azienda

22 risposte a “Quando lo stagista alza (tardi) la testa

  1. trovo la risposta della professoressa … da professoressa. In questo sito vedo che si fanno le pulci a come comunica Tizio e Caio. Mi piacerebbe leggere una commento sull’aspetto comunicativo della risposta della professoressa. Grazie

  2. Cara Giovanna, mi sembra di capire che lo stagista può sperare solo nell’aiuto dell’università, nella sua solerte vigilanza. Ma c’è un’altro attore che andrebbe preso in considerazione. Il collega. Spesso è il primo ad accanirsi sul nuovo arrivato secondo lo schema classico del nonnismo da caserma. Un atteggiamento autolesionista di chi non capisce che la dignità dello stagista va tutta a vantaggio degli altri lavoratori.
    Un retaggio culturale piuttosto italiano che può essere cambiato soltanto con un lavoro di informazione. Estremizzando, credo che lo stagista dovrebbe presentarsi presso le aziende corredato di “manuale delle istruzioni”: che cosa è uno stagista, come funziona, uso corretto, uso scorretto, questo sì, questo no. Con quelle grafiche da istruzioni di emergenza degli aerei. Ironico, ma non troppo. Un leaflet o un video che potreste produrre internamente nell’ambito dei laboratori del corso di laurea. Prendila come una provocazione, ma anche no.

  3. Mi spiace per Mario che credo non avesse via d’uscita se non quella di rimanere a casa oppure di fare altri lavori (io considererei quelli manuali, la rendita oggi come oggi supera quelli dei laureati anche del doppio sin da subito, ovvero se fosse stato l’installatore ufficiale degli stand avrebbe preso bene)… purtroppo funziona così e i dipendenti che ti ostacolano non lo fanno per nonnismo ma perché sono stati trattati ugualmente.. purtroppo è la guerra dei poveri unita al cande che si mangia la coda e non vince nessuno… forse solo l’imprenditore finché gira col SUV. Quando ne vedrò girare uno con un’utilitaria di seconda mano forse sarà cambiato il mondo!

  4. Davide, comprendo il tuo pessimismo ma non lo condivido. Non voglio. La spirale vittima-carnefice che si autoalimenta, va spezzata in qualche modo. Lo so che la congiuntura economica rende tutto più difficile ma se non avochiamo una svolta, non si cambia mai. Ho visto pure direttori creativi trattare umanamente gli stagisti e difenderli dai colleghi (caso purtroppo raro) In quanto agli imprenditori tutti col suv, ce ne sono anche tanti (di solito 30/40enni) che girano in bici, ma questo non
    implica una maggiore correttezza.

  5. Caro Davide,

    quanto ti caspisco!

    io sono arrivata al mio V o VI stage (o esperienza di collaborazione, o prova…o come la legge permette di chiamare questo periodo di “formazione”).

    Il mio bilancio dopo una laurea in comunicazione, una specialistica in semiotica, un master e tutte queste collaborazioni alla tenera età di 25 anni?

    Non sperare che qualcuno ti difenda, non contare sull’università e non aspettarti che qualche collega ti dia una mano… e non pensare che i bulloni non faranno più parte della tua vita.

    Il mercato del lavoro (soprattutto per l’organizzazione eventi) non è alla ricerca di persone da formare, ma di manodopera.

    Manodopera disponibile a costo zero perchè dopo anni di studio, noi pensiamo di dover accettare tutto per poter entrare nel mondo del lavoro e rifarsi degli sforzi fatti sui libri.
    Il problema non sta nel fatto che ti abbiano ( e personalmente mi abbiano) fatto montare pannelli, roll up e mostri di cartone compresso vario … ma che lo stagista sia visto solo per questo.
    E se lo stagista è bravo? La proposta è di altri 6 mesi full time a 200/400 euro al mese massimo ( e qui sono positiva).

    La soluzione? Rifiutarsi. Sempre e comunque: perchè non ne vale la pena. Finché non ci rifiuteremo tutti e ci saranno krumiri disponibili questa rimarrà una guerra fra poveri.

    E così ogni giorno io continuerò a vedere menti brillanti fare i baristi, i portieri di hotel, i facchini al mercato ortofrutticolo, i promoter fastweb etc…

    Alzare la testa. Sempre. Da soli. Senza aspettare che qualcuno ce lo dica.
    Alzare la testa. Sempre. Insieme. Per vedere i nostri “Marchionne” montarsi i roll up da soli.

  6. @bruno: io purtroppo la vedo nera… a trent’anni appena compiuti vengo preso in giro dai miei amici operai o impiegati non laureati che girano con macchinoni e simili e mi dicono che devo vergognarmi perché ho studiato (con super-risultati) e prendo la metà di loro… io sinceramente dei soldi me ne frego (finché bastano per vivere) che credo che nella vita ci siano altre cose… per cui il LAVORO è un mondo che non vale la pena… faccio quello che devo fare al meglio, nel rispetto dei colleghi e dei clienti dell’agenzia in cui lavoro e poi nel mio privato coltivo i miei sogni, aiuto le persone quando posso con un sorriso e quello che mi torna è molto più di quello che il mondo del LAVORO mi potrà mai dare…

    ps: complimenti ai 30enni40enni che girano in bici, se ne conosci uno di Udine mettimi in contatto che gli offro un caffè volentieri 😉

  7. Purtroppo sono molti i casi analoghi e non sempre cara Giovanna ad esporre le problematiche si risolve la situazione. Si dovrebbe tutelare di più la questione stage e fare dei controlli a tappeto. A sorpresa magari…

  8. Alessandro Calderan: in questo sito non “si fanno le pulci”, ma si analizza in modo motivato, si riflette in modo documentato, si ponderano le ragioni degli altri, si discute. Quanto alla mia risposta, preciso che la mia mail era molto più lunga, personale e circostanziata. Per ragioni di privacy, non volendo far riconoscere né lo stagista, né l’azienda, l’ho tagliata, estrapolando il succo delle mie perplessità.

    Se c’è una cosa che non faccio quasi mai (tranne in casi che proprio di questo hanno bisogno) è rispondere “da professoressa”, come possono testimoniare le decine di studenti a cui rispondo ogni giorno.

    Posto che io abbia correttamente inteso cosa lei vuol dire per “da professoressa”. Ma su questo immagino sia lei a doverci dare lumi ben motivati e argomentati. Naturalmente. 🙂

  9. A tutti: ho purtroppo pochissimo tempo oggi. Vi rispondo appena riesco… Grazie per la pazienza! 🙂

  10. Non ho ancora esperienza diretta di stage nel senso che sto rimandando indefinitamente il momento in cui mi ci dovrò confrontare: 3+2 e poi mettiamoci anche un bel master.
    Della risposta della professoressa Cosenza non mi convince il “tardi” vs “subito”. Mi immagino al posto del ragazzo, immagino che ci sarà voluto qualche tempo prima di rendersi conto del contesto il cui era inserito. Magari per un po’ non c’ha creduto nemmeno lui, ha pensato che le cose sarebbero cambiate se si mostrava disponibile nel fare i compiti che gli venivano assegnati, che la situazione poteva migliorare.
    Sbagliato è vero, ma secondo me legittimo soprattutto se uno ha delle aspettative rispetto al contesto da cui ha tratto l’offerta di tirocinio:da studente universitario ventitrenne magari non conosco la modalità in cui l’università seleziona le aziende e auspico che ci sia qualcuno che vigili sul comportanmento delle aziende convenzionate. E’ possibile immaginare, da parte dell’ università, delle sanzioni per quelle aziende che accolgono tirocinanti post o pre laurea e sfruttano senza formare?

  11. Alessandro Calderan:

    nella risposta pubblicata, la professoressa

    1. ha ringraziato per aver fatto presente il caso;

    2. ha promesso che prenderà provvedimenti, per quanto possibile;

    3. ha posto due domande a mario x che non sono proprio domande, ma suggerimenti che possono indirizzarlo ad agire meglio la prossima volta; tuttavia, presentando quei suggerimenti come interrogativi, ha dato la possibilità a mario di controbattere e spiegare meglio la sua posizione;

    4. ha fatto presente a mario x quello che ha perso non denunciando prima l’accaduto.

    Insomma, ha fatto un sacco di cose in poche righe! E io non la trovo una risposta da professoressa!

  12. x la prof.: Cecilia Le ha risposto al posto mio… thanks Cecil
    X Armando, step by step:
    1) “ha ringraziato …” tipico da prof
    2) “ha promesso … se possibile ….” tipico da prof
    3) “ha posto 2 domande …” qui stà il punto grave: è come se avesse chiesto ad una bambina che ha subito violenza: “perchè non l’hai detto prima …”
    4) “ha fatto presente … cosa ha perso non denunciando …” vedi commento punto 3.
    Morale: la prof dal punto di vista “comunicativo”, secondo me, ha stroncato tutti gli stagisti che adesso, quel pò di coraggio di denunciare lo perderanno subito perchè avranno paura che se aspettano troppo (quanto? 1 settimana? 1 mese? 2 mesi? …?) verranno accusati di “non averlo fatto prima”.
    And in the end … io fortunatamente non ho questi problemi ma cerco di capire le difficoltà di chi li ha. Mi pare che neanche Armando sia uno stagista, o sbaglio?
    Invito ad essere più autoironici e a non prendersela se vengono usate espressioni tipo “fare le pulci” che vogliono solo essere colorite. Anch’io pensavo esattamente la stessa cosa dei discorsi di Bersani …

  13. Alessandro:

    Non so quali prof tu abbia incontrato nel corso dei tuoi studi…
    ma mi viene da dire: beato te!
    A me i professori di solito neanche mi guardano in faccia e se mi parlano è per stroncarmi.

    Io ho fatto fin troppi stage nella mia carriera,
    e capivo fin da subito che l’unico intento dei miei datori di lavoro era sfruttarmi.
    Dai, si capisce subito!
    Ma ho accettato perché non vedevo alternative, nessuno mi aveva detto che esistevano alternative, anzi,
    tutti continuavano a dire che era normale, che era la gavetta che fanno tutti.
    Avrei voluto che ci fosse qualcuno a dirmi di non farlo, che UN ALTRO STAGE era possibile,
    e infatti l’unica che me l’ha detto (al mio ultimo stage!) è stata l’autrice di questo blog, che ringrazio.

  14. Gli interventi di Mario, Cecilia, Alessandro e Armando hanno questo in comune, che riconoscono la difficoltà per un giovane italiano di farsi valere individualmente, riguardo al proprio interesse e alla propria dignità.
    Anch’io, che non sono giovane, ho provato la stessa difficoltà ai miei tempi, che pure erano meno duri.

    Credo che sia una caratteristica negativa della nostra cultura, interiorizzata da molti di noi, giovani e meno giovani: poca assertività individuale e troppo vittimismo.

    Interpreto la risposta di Giovanna alla lamentela di Mario come un invito a superare questo atteggiamento remissivo e perdente.
    Ma, certo, non è facile!

  15. cara giovanna,
    da ex stagista trovo le tue risposte convincenti al 95%. Mi spiego: talvolta quando si è nel mentre delle cose non si comprende del tutto quale sia il proprio margine di movimento né cosa ci competa o meno fare.
    Per quanto riguarda le mansioni io non mi trovo però del tutto d’accordo con il ragazzo: io mi sono occupata di questi lavori e talvolta bisogna sporcarsi le mani e bisogna imparare come si fa. Capisco che non dovrebbe farlo lo stagista ma qualcuno con un contratto di formazione.
    Il punto è che la fabbrica degli stage non serve a nessuno: né all’azienda né allo stagista. L’una non ha del personale motivato e formato con continuità, l’altro non si forma.
    Inoltre le aziende fanno promesse che poi purtroppo non mantengono prendendo altri stagisti.
    Un saluto e buo lavoro a tutti
    troubledsleeper

  16. Cerco di rispondere a un po’ dei vostri spunti.

    Bruno: lo stagista non deve sperare solo nell’aiuto dell’università e nanche solo in quello dei colleghi. C’è una legge che regolamente gli stage e le aziende dovrebbero rispettarla (per esempio non prendendo in contempranea un numero di stagisti che la legge non ammette). In questo senso, però, anche il controllo da parte dell’università (in tutte le sue strutture) ha i suoi limiti: non possiamo sostituirci allo stato, occorrerebbero più controlli sulle aziende da parte degli organi pubblici preposti. Occorre una convergenza di attenzioni, insomma.

    Alessandro, Cecilia, Davide, troubledspeeder: io cerco solo di rendere i ragazzi consapevoli del fatto che anche loro devono metterci del loro, chiedendo di essere rispettati, chiedendo ciò che è nei loro diritti, e rivolgendosi al tutor docente universitario per problemi ma anche per consigli, se da soli non ce la fanno a farsi valere. Tutto questo idealmente va fatto prima possibile, non a stage finito. La figura del tutor universitario viene invece trascurata da tutti: stagisti e… anche i docenti, naturalmente.

    In questo senso, caro Alessandro la mia non era una risposta da prof. Poi mi rendo conto che aver tagliato la mail che ho mandato a Mario l’ha resa drastica, perentoria, come in privato non era. Ma anche il tuo commento era un pochettino… perentorio, solo per questo mi sono irritata. Quanto all’autoironia, sono d’accordo con te… 🙂

    Armando: grazie per il riconoscimento che dai al mio lavoro. Faccio solo il mio dovere. In più ci metto un pizzico di attenzione agli aspetti umani e personali degli studenti. Fin dove arrivo, ovvio, perché poi gli errori e le sviste sono sempre dietro l’angolo. Ma sono pronta a chiedere scusa, se sbaglio.

    Ciao a tutti!

  17. Presso Il Regno (www.ilregno.it) ospitiamo da qualche anno stage post laurea specialistica e tirocini nei mesi finali della triennale (e mi si perdoni se ho frainteso la distinzione tra stage e tirocini…); a me, che ho anche un breve corso presso la Scuola di giornalismo dell’Università di Bologna, è toccata fino ad ora la responsabilità di tutor aziendale. Poca roba: non possiamo permetterci più di uno stagista per volta e non possiamo offrirgli, oltre alla formazione, più che i buoni-pasto e il rimborso del viaggio, quando c’è. Ma i nostri stagisti credo possano testimoniare che la prima cosa che dico loro quando mi contattano è: stia tranquillo/a, qui è da anni che abbiamo smesso di fare fotocopie… E alla fine dei tre mesi (più o meno), se se sono sempre andati contenti, mentre con tutti sono rimasti aperti i contatti e talvolta qualcosa di più.
    E anche noi siamo contenti. Visti i contenuti del nostro lavoro, chi è arrivato con la laurea specialistica ha impiegato meno tempo a entrare in sintonia con i ritmi redazionali rispetto a chi (solo un caso su quattro) è arrivato sul finire della triennale. E chi non ha in partenza una qualche – sempre più rara – passione per ciò di cui ci occupiamo non è un buon candidato: gli verremmo a noia dopo la prima settimana, noi che passiamo ancora del tempo a discutere se sia meglio tradurre (sex) abuse con «abuso» o con «violenza», o a misurare la differenza di autoritatività (e già la parola suona astrusa ai «neofiti») nell’insegnamento del papa quando parla in un libro-intervista e quando scrive un’enciclica… Ma comunque è un’esperienza positiva per tutti i redattori (siamo in sei-sette persone): dover spiegare ad altri quello che facciamo è a volte utile a chiarirlo anche a noi stessi.
    D’altra parte non è facile, ogni volta, convincere gli amministratori dell’azienda dell’opportunità di accogliere in redazione uno stage: c’è sempre la preoccupazione – legittima, con i tempi che corrono – che il rapporto costi-benefici (tempo speso per lo formazione dello stagista contro vantaggio di conoscere bene dei giovani, potenziali collaboratori, oltre che avere un aiuto concreto nella vita di redazione) sia sfavorevole all’azienda. E talvolta (non qui da noi, che ci vogliamo tutti bene) può capitare persino che qualche collega di un altro settore dell’azienda ti chieda, tra il sospetto e l’invidia: «ma chi è tutta quella gente che avete lì?».
    In conclusione, è certo disonesto che alcune aziende (la maggioranza?) speculino sulla forma-stage per avere manovalanza culturalmente qualificata a costo-zero, anche perché ciò contribuisce ad avvilire l’atteggiamento di un giovane laureato (specie se in scienze umane o sociali) nei confronti del lavoro. Ma credo anch’io che lo stagista debba fare la sua parte, rimanendo lui per primo al «merito» di cosa è una stage: ad esempio accettando uno stage non retribuito perché l’azienda gli offre realmente un percorso formativo e non perché non ha trovato di meglio.

  18. Povero, mi spiace tanto. Purtroppo un po’ mi rivedo in questa situazione, insomma, è qualcosa in cui potrei cadere anche io forse. Di sicuro anche io vedo l’esperienza del tirocinio non pagato come un qualcosa che serve a formare il lavoratore e per questo potrei accettarlo anche io. Tuttavia devo ammettere che io, benchè sia disposta a fare un passetto in più per un datore di lavoro che mi gratifica, sono molto fiscale su quelli che sono i miei compiti. Se mi fanno sentire parte di una squadra e si lavora tutti assieme per godere dei frutti poi tutti assieme è un conto, ma se per il mio datore di lavoro sono solo uno strumento da sfruttare (e neanche mi paga) beh allora faccio solo quello per cui mi ha assunto e se c’è qualcosa che non va mi faccio sentire. Sono una lavoratrice valida nel mio settore (grazie al cielo XD) e sono estremamente professionale, se mi mandano via perchè non anticipo io i soldi per le spese beh, ci perdono loro. Purtoppo però io mi occupo del web diciamo, e in questo settore lavori e occasioni oggigiorno ce ne sono a bizzeffe, quindi forse posso permettermi un certo tipo di comportamento solo perchè infondo so che un paracadute lo ho sempre.

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  21. Io credo che il tirocinio possa essere uno strumento molto utile per noi studenti ma solo se svolto in un’azienda seria, che capisca lo scopo dell’iniziativa e che sia disposta ad accogliere stagisti non solo per avere forza lavoro gratuita ma anche e soprattutto per formarli, insegnare loro il mestiere in modo che possano poi a loro volta apportare un contributo all’azienda stessa.
    Ma purtroppo non tutte le aziende sono perfette e non tutti i datori di lavoro prendono sul serio lo strumento dello stage, e allora credo che sia in primo luogo compito di noi ragazzi contattare immediatamente il nostro tutor per ogni perplessità, problema, disagio che incontriamo in quest’esperienza.
    Io personalmente la scorsa estate avevo intrapreso un tirocinio curricolare presso una piccola impresa pubblicitaria e, dopo appena una settimana, essendomi resa conto che si trattava di una perdita di tempo piuttosto che di un’occasione formativa ho immediatamente contattato Giovanna (mio tutor) che si è dimostrata disponibilissima a ricevermi per affrontare subito il problema.
    Questo confronto mi è stato utilissimo per riflettere sul fatto che non era giusto per me sprecare un’occasione formativa in un’azienda “poco seria” e che sarebbe stato più valido cambiare azienda; mi ha insomma dato la spinta decisiva per troncare immediatamente lo stage e cominciare a cercare qualcosa d’altro!
    Attualmente sono più che soddisfatta della mia scelta! Ho trovato una nuova azienda disponibile ad intraprendere un tirocinio curricolare nei prossimi mesi e l’unica cosa che posso fare per ora è sperare che questa volta sia l’azienda giusta! Di certo non è bastato questo piccolo “incidente” a farmi perdere la fiducia nello strumento del tirocinio…anzi, quest’esperienza mi ha fatto ben capire quanto sia fondamentale vivere “attivamente” lo stage e non subirlo, e quanto sia importante fare riferimento in ogni caso al tutor, che non a caso è lì per quello!!

  22. Sono ex studentessa da sei mesi della specialistica in discipline semiotiche e della triennale prima.

    Ho fatto due stage per i crediti formativi negli anni, stante che i laboratori (sostituivi del tirocinio) spesso erano fini a se stessi e per nulla utili, se non a sorbirsi seminari su argomenti spesso già affrontati a lezione.

    Tutti e due le mie esperienze sono state in agenzie di organizzazioni aventi; a Bologna questo offre il mercato a quanto pare, o meglio è più facile che si trovi questo tipo di opportunità.
    Il primo era convenzionato con l’università: non mi hanno fatto avvitare nulla, ma ero tutto il giorno al telefono a chiamare hostess e promoter. Non mi sono mai lamentata perché vedevo che in quello consisteva il lavoro anche per i colleghi pagati.
    Il secondo me lo sono cercata da sola. Ancora una volta ho notato quanto poco l’università si impegni a cercare convenzioni davvero utili per lo studente. Anche lì ho dovuto organizzare eventi, ma in questo caso ho imparato anche qualcos’altro rispetto a dove trovare i siti di recruiting.

    Ora sono a Milano, faccio un master, e con tristezza ho abbandonato Bologna. Qui a Milano ho scoperto che i laureati in semiotica, di solito capaci di fare ben poco, secondo i luoghi comuni che ben conosciamo, possono fare ricerca per le aziende. Ci sono agenzie e istituti di ricerca, non so quanti a dire la verità, che assumono proprio stagisti, o se si è fortunati proprio figure professionali, con un profilo come il mio e come quello di tanti altri miei compagni di università.

    Mi chiedo come mai in 5 anni a Bologna non ci sia mai stato detto, o suggerito, che opportunità di questo tipo esistevano; mi chiedo come mai nessuno dei professori con i quali ho parlato, o che hanno tenuto lezione, abbiano minimamente accennato a situazioni lavorative di questo tipo.
    Certo i discorsi dello sfruttamento, sugli straordinari, sulla paga quasi nulla sono veri anche in questi posti, anche se qui si ha la discriminante di una piccola soddisfazione: quella di usare almeno il 5% di quello che si è studiato negli anni universitari.

    Parlando con quasi tutti i miei ex compagni è venuto fuori che solo alcuni sapevano di quest’opportunità, per via dei passaparola con ex-laureati più grandi.
    Se aziende come quella di Carlo, e altre, sono convenzionate con l’università, perché questi istituti non sono neanche segnalati? perché un dipartimento come quello di comunicazione, che in linea di massima lavora meglio di altri, non si è impegnato ad allacciare un rapporto?

    L’università e i professori, con i mezzi che hanno oggi, non riescono ad aiutarci come vorremmo, è vero, ma almeno che ci chiariscano sin da subito quali reali possibilità abbiamo e dove è possibile andare a fare uno stage.

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