Ma per fare comunicazione politica non bastano un logo, due colori e uno slogan

Oggi su Repubblica Bologna è uscito questo mio articolo, col titolo «Merola contorto, Aldrovandi generico. Gli slogan dei candidati non fanno centro». Lo riporto anche qui, perché le considerazioni sui candidati sindaco bolognesi valgono per molti altri politici in Italia, che intendono la comunicazione come superficie estetica, belletto.

MEROLA CONTORTO, ALDROVANDI GENERICO. GLI SLOGAN DEI CANDIDATI SINDACO NON FANNO CENTRO

Con la primavera in arrivo e le margherite nei prati, anche le prime affissioni dei candidati sindaco fanno capolino in città. Ma per chi si occupa di comunicazione non c’è nulla di cui rallegrarsi – a parte le pratoline – perché la situazione è chiara subito: niente da fare, anche stavolta i politici bolognesi dimostreranno di non saper comunicare.

Ci provano, è chiaro che ci provano: scelgono un grafico, un consulente, un’agenzia, chiamano i più stretti collaboratori, li chiudono in una stanza dove loro stessi, magari, passano qualche ora, e tutti assieme cercano di produrre un logo, scegliere due colori, inventarsi uno slogan. Perché «il logo e lo slogan ci vogliono», qualcuno deve avergli spiegato, e «ci vuole pure un bell’accostamento di colori». Ecco allora i risultati.

Che il logo di Virginio Merola ricalcasse la stella di Virgin Radio, l’hanno visto tutti già nelle primarie. Che un candidato sindaco c’entri poco con una radio è stato pure notato. Perché Merola è rock, ha risposto lo staff. Ah già, l’idea era consolidare l’immagine di Merola nell’area semantica e valoriale del giovanilismo in cui da sempre si colloca: un sindaco che «pensa giovane». Peccato che la stella – rossa su fondo nero per Virgin Radio, rossa su bianco per Virginio Sindaco – sapesse anche di bibite San Pellegrino. Vuol dire che Merola è buono come l’aranciata? Forse. Ma ora che la stella è blu? Viene in mente anche quella dello sceriffo: pessima associazione, perché Merola fu assessore con Cofferati, da molti detto «sceriffo» (foto Eikon Studio, Bologna: clic per ingrandire):

Affissioni Merola

E che dire dello slogan «Se vi va tutto bene, io non vado bene», con il «non» marcato? Come minimo è contorto, perché contiene una subordinata condizionale (se…) e una negazione nella frase principale. Il contrario di quello che bisogna fare quando si pensa uno slogan, che deve essere semplicissimo, diretto. In più, la negazione rischia di ritorcersi contro il candidato: dopo il crampo mentale, è facile resti in mente che Merola «non» va bene, punto e basta.

Ma neppure con le prime affissioni di Stefano Aldrovandi siamo messi meglio. Un poster diviso in due: a sinistra un rettangolo bianco, con sopra scritto «O così», a destra un rettangolo più grande, che contiene una foto in bianco e nero del volto sorridente di Aldrovandi, con sovraimpressa la scritta arancione «O Aldrovandi» (foto Eikon Studio, Bologna: clic per ingrandire):

Affissioni Aldrovandi

Viene in mente il celeberrimo «O così o Pomì»: significa che Aldrovandi è cremoso come una passata di pomodoro? Certo che no, credo che il suo staff avesse in mente qualcosa del genere: o il nulla, l’anonimato di un fondo bianco, o il pieno del volto e nome di Stefano Aldovrandi. Un pieno che è per giunta colorato di arancione. Peccato che l’arancione fu il colore della campagna di Flavio Delbono. E che al vuoto del fondo bianco non si opponga nessun contenuto.

Il vuoto, appunto, è ciò che accomuna le immagini e gli slogan dei due candidati, che sono giochetti fine a se stessi, per nulla collegati alla storia personale e al programma dei candidati. Un vuoto che deriva da un’idea sbagliata della comunicazione politica, come se fosse solo un obbligo estetico, o peggio, cosmetico.

Nessuno ha spiegato loro che comunicare è entrare in relazione con gli altri. Mettersi nei panni degli altri. E che gli altri, nel caso della comunicazione politica, sono i cittadini e le cittadine che li voteranno. Ai quali i giochetti non bastano.

 

31 risposte a “Ma per fare comunicazione politica non bastano un logo, due colori e uno slogan

  1. Tra l’altro quello di Aldrovandi è errato. Nel senso che porre le due parti del claim vicine fra loro non fa spostare l’equilibrio nella divisione delle due parti. Questo porta l’osservatore a percepire “il nulla” e la foto come un tuttuno non come distinti. Indi per cui non riesce a fare una scelta, neppure inconsciamente. E io avrei messo la parte il carattere del “o così” in uno stile non boldato, sottile, per dare un sensazione di scarsità e rafforzare il concetto. Il seppiato della foto è decisamente sbagliato se poi lo si raffronta col colore del carattere. Il seppiato richiama colori antichi mentre l’arancione si rivolge a un target giovane. Le due cose insieme cozzano.

    E’ vero però anche che il logo e una comunicazione ben disegnata è importante. Mi ricordo la campagna di Vendola anni fa (conoscevo direttamente il gruppo di grafici che se ne occupò -> http://fabbrica.nichivendola.it/ ): il concept e le realizzazioni erano miratissime e di grande richiamo per target medio-giovani. E poi guardo il logo di Grillo delle liste civiche Movimento 5 Stelle (http://www.beppegrillo.it/listeciviche/) , così penoso da pregiudicarne il successo (a meno che la diffusione delle loro idee e la forza delle loro proposte risolutive non sia schiacciatamente preponderante).

    Chiudendo dico: il design è parte fondamentale del successo presso qualunque pubblico. Non l’unica parte, certo.

  2. Paolo, d’accordo su quanto dici, naturalmente. Andrei piano, però, con considerazioni del tipo: «l’arancione si rivolge a un target giovane», perché non è sempre così, dipende. Inoltre l’arancione è un colore abusatissimo, da dieci anni a questa parte, come notavo due anni fa:

    Candidato arancio

    Altro discorso per Vendola, di cui conosco bene il backstage. Ma Vendola – pur nei sui bei limiti – è proprio un esempio di coerenza fra elementi visivo-estetici e contenuti.

    Insomma, focalizzarsi troppo su questioni visive torna a mettere l’accento su un’idea superficiale di comunicazione politica, che non mi sta affatto bene. Il design ci vuole, certo, ma è come se i politici italiani avessero interiorizzato in modo acefalo questo mantra e lo applicassero non solo male, ma senza aver capito che non basta dire che non basta: non serve a nulla se manca il resto.

    Detto questo, a Bologna Merola vincerebbe anche se avesse scelto una fucile a canna mozza come marchio. O il baffo della Nike. O il carrello della spesa dell’e-commerce. Qualunque cosa a caso. Perché? Perché a Merola non ci sono alternative serie. Questa è l’amara realtà della politica bolognese. Ricorda qualcosa?

  3. 🙂 sono perfettamente d’accordo con te e nel mio commento non l’avevo sottolineato. Sono convinto che manchi la sostanza, hai ragione (purtroppo per noi che dobbiamo subire in un certo senso questa classe dirigente e/o politica). Sono politicamente impresentabili, poco seri, poco preparati, sono dei veri e propri dinosauri. E’ come spruzzare un deodorante per ambienti dove non si è pulito. Però sono rimasto molto deluso dal fatto che altre parti che intendono scendere in campo si siano autopenalizzate così tanto. Sono giorni che penso di scrivere una mail a Grillo e proporgli di farglielo gratis il logo. Ma ne capirebbero l’importanza?

  4. Capisco poco di comunicazione ma lo slogan di Merola mi ha colpito molto. Meno invece la stella. Di sicuro so che a Bologna si sta discutendo molto su ciò. Non vi pare che anche suscitare curiosità possa servire alla causa?

  5. giorgio, la mia risposta sta già nella risposta che più sopra ho dato a Paolo… Merola vincerebbe anche se scegliesse come slogan «Bolognesi, io vi odio». Inoltre, se qualcuno resta colpito da uno slogan, non implica che molti lo siano. Non trovi?

    Quanto al parlare bene o male, purché parlino… il suscitare curiosità, come dici tu: ho discusso molte volte su questo blog della pretestuosità di questi espedienti vecchi come il mondo della comunicazione. Ma non credo affatto fossero queste le intenzioni dello staff di Merola.

  6. La comunicazione visiva, se è curata, è sicuramente un buon inizio. Per qualcunque cosa: dal candidato al detersivo. Poi sicuramente se non ci sono i contenuti, le idee, la qualità, non si va da nessuna parte, ma ce le deve mettere il candidato, il pover’uomo che cura l’aspetto comunicativo penso possa farci ben poco. O sbaglio?

  7. Penso che la stella scelta da Merola non sia solamente un richiamo alla “virgin”. Il significato della stella a cinque punte va ben oltre la questione marketing e penso che questo sia Merola che i suoi collaboratori lo sappiano benissimo. Anzì penso che il paragone con il noto marchio della multinazionale svia il vero senso del simbolo, o forse questa somiglianza è stata creata di proposito. In ogni modo per andare a fondo nell’analisi io mi chiedo come mai un politico scelga la stella a 5 punte per rappresentare la propria identità politica. Mi piacerebbe chiederglielo. Perchè è di moda e molte ragazzine se la tatuano? E’ un semplice richiamo ad un marchio? O si sta facendo riferimento al senso più profondo del simbolo? in ogni modo confesso di essere perplesso!

  8. A me, che non sono giovane, la stella a 5 punte sul logo di Merola ha ricordato L’Unione sovietica, l’Armata rossa e le Brigate rosse. Non ho capito se peppe si riferisca a questo.
    Non ho idea a che cosa la possano associare i bolognesi giovani e meno giovani. Virgin Radio non so cosa sia. 😦

    Come dice Giovanna, farà poca differenza. Se gli altri non si danno una mossa.

  9. … e quindi mi sono chiesto perché abbiano verniciato la stella rossa di blu. 🙂

  10. Per caso, l’hanno fatto, caro Ben. Per puro caso: prima rosso su bianco, poi blu su giallo… veniva bene, che ne so. Se qualcuno li avvisa che il giallo-blu è di Verona, magari cambiano ancora… Così s-ragionano i sedicenti comunicatori che stanno dietro ai politici nostrani. E i politici davanti a loro.
    😀

  11. io mi riferisco in generale al simbolo. che è sempre stato ripreso da identità politiche varie come negli esempi che hai fatto può essere un’interpretazione. io mi riferisco all’archetipo della stella. che poi, come ha commentato una ragazza su facebook, abbia gli angoli arrotondati o meno per renderla più simpatica non ne indebolisce il senso, anzì!

  12. Devo ammettere che quasi sorprende la somiglianza stilistica delle due campagne. Entrambe tacciono totalmente contenuti e programmi, ma anche valori e ideali che dovrebbero improntare il mandato politico dei candidati, per concentrarsi esclusivamente sul loro sè, ipertrofico, che risulta essere l’unico oggetto del discorso. Da un lato l’assenza di contenuti, dall’altra l’ipertrofia dei candidati che regalano di sè un’immagine estetizzata. Una malattia comune, forse figlia degenere dell’eccessiva personalizzazione della politica.
    Non vi è dubbio che il leader seduca l’opinione pubblica, per vincere deve piacere, ma questo appeal non può slegarsi dal programma elettorale. Sono un uomo di parola e quindi realizzerò quanto detto, sono sensibile alle istanze dei giovani e quindi non derubricherò le loro richieste: senza questa connessione fra l’essere e l’azione la politica scade in una manipolazione dell’elettorato fine a se stessa, o quando è troppo sfacciata come in questo caso, semplicemente non funziona. Il candidato non è un marchio, e gli slogan che ricalcano le sintassi dei prodotti di consumo appaiono come dei ‘non-sense’; la ‘trasgressione’, l’avanguardia o la giovinezza che catturano sono quelle delle idee e non quelle che profilano il maquillage dei leader.
    In tutti e due gli slogan si denuncia il vuoto del presente, con il bianco di un riquadro o come relativismo esasperato, il sovrapporsi degli indirizzi che conduce alla cacofonia e all’impasse – “se vi va tutto bene”, nelle parole di Merola.
    Il dato sconcertante è che in entrambi i casi l’alternativa non è esiste al di là della persona, del corpo, del singolo completamento avulso dal luogo in cui vive e dalla sua storia. Una specie di supereroe che con la sua sola presenza ci regalerà la Bologna dei nostri sogni. Solo il nome, l’immagine nel caso di Aldrovandi o pochi accenni impliciti, nel caso di Merola, dovrebbero convicere i cittadini al voto, come la sensualità di un corpo ci spinge all’acquisto di un profumo.
    Dovremmo votare Aldrovandi per lo sguardo sereno, il sorriso abbozzato e i tratti morbidi del viso, o Merola per gli occhi audaci e i lineamenti più marcati? Di Merola sappiamo anche che sarà netto nelle scelte, forse partigiano, talmente “non mi va tutto bene” da sacrificare all’oblio una metà del viso. La decisione e la nettezza sono dati positivi se rimandano a delle idee e alla tenacia con cui si lavora per attuarle, Altrimenti finiscono per essere autobiografie adatte alle selezioni di “Uomini e donne”. Molti slogan, è vero, sono ‘vuoti’ di contenuti in senso stretto, ma allora per essere vincenti devono contenere un pizzico di genialità, come il “we change” di Obama che grazie a quella terza persona plurale ci coinvolse in un progetto in costruzione.

  13. GIOVANNA credo che sicuramente nello slogan di Merola non vi fosse lo scopo di destare curiosità ma a me ha colpito così come a molti altri. Riguardo poi ai vecchi espedienti la pratica mi soccorre e non credo siano pretestuosi ma hanno dimostrato di essere spesso molto efficaci al contrario di certe campagne montate e preparate da grandi “professoroni” e che alla fine ti lasciano con un pugno di mosche oltre all’amaro in bocca.
    Come giustamente dice UNIVERSITYPE sta a Merola dargli contenuti, idee e qualità, non a colui che cura l’aspetto comunicativo.
    Per quanto riguardo la risposta data a BEN non ti pare sia un poco semplicistica e superficiale?

  14. Forse lo slogan scelto da Aldrovandi si rivolge più allo schieramento del centro destra che ai potenziali elettori, forse vuole convincerli che è l’unico candidato che il centro destra riuscirà a tirar fuori dal cappello. Ma anche su questo si sbaglia.
    Lo slogan scelto per la campagna di Merola non è un granchè fluido, concordo, si poteva trovare di meglio, ma il messaggio credo sia chiaro e per niente casuale: è il tentativo di non far finta che va tutto bene, un certo coraggio nel dire che è ora di cambiare, da parte di uno che non si può certo presentare come outsider.
    Infine, non trattandosi né di passate di pomodoro né di compact disc, la constatazione che i politici locali hanno ancora molto da lavorare per migliorare la loro comunicazione non deve distrarci da quella che è la sostanza, dalla complessità di una campagna che si fa sul campo, con gli incontri nei quartieri e con i cittadini, come sta facendo Merola – non so cosa faccia Aldrovandi, mea culpa. Non sanno comunicare, pazienza, mi aspetto che sappiano governare.

  15. Ma che esperti di comunicazione d’Egitto che siete tutti quanti!!! 🙂

    Eccola l’origine della stella a 5 punte di Merola, blu e bianco, con la firma dentro in bella grafia:
    http://ilsimplicissimus2.wordpress.com/2011/01/10/la-stella-a-cinque-punte-dei-salami/

  16. …scherzavo eh!!! :-))

  17. Stefania Antonioni

    A suo modo il penultimo commento di Ben è centrato, nel senso che dimostra quanto le immagini e l’immaginario creati dai e legati ai marchi commerciali (così ben presenti nella nostra memoria visiva e non solo) siano “potenti”. Questo, però, dimostra anche quanto i rimandi di queste forme simboliche siano molteplici e assolutamente soggettivi. Perché la stella rossa, prima che San Pellegrino (che tra l’altro ne contiene una bianca più piccola) e Virgin Radio, per qualcuno potrebbe evocare altre stelle rosse, di significato più pregnantemente politico. C’è poi una stella bianca bordata di rosso anche nello stemma della Repubblica Italiana e via di questo passo a ricordare altre possibili e visibilissime stelle rosse. Ma anch’io non credo che il problema sia tanto questo, ovvero l’aver scelto un logo in qualche misura ambiguo, oppure un claim con troppe negazioni (nel caso di Merola), oppure l’aver scelto il colore arancione che era stato utilizzato dal candidato della parte avversa nelle elezioni precedenti (nel caso di Aldrovrandi), quanto piuttosto fare campagna elettorale parlando di qualcosa con le persone. E non solo attraverso le affissioni o i loghi, che sappiamo essere l’armamentario che ciascuno dei candidati, volente o nolente, in maniera più o meno professionale ed avveduta, sa di dover utilizzare. Sappiamo anche che questo è l’avvio vero e proprio della campagna elettorale, una sorta di fase teasing (come dicono i professionisti), ovvero un inizio che in qualche modo incuriosisca rispetto ai passaggi comunicativi futuri che, soprattutto nel caso della politica di dimensione locale, non sono rappresentati solo dalle affissioni (per fortuna!), ma anche dagli incontri con i cittadini, i quartieri, le associazioni professionali e culturali, ecc.
    Ecco, magari facciamoci un’idea sui candidati in base alla loro disponibilità al dialogo e all’ascolto dei cittadini e alle parole da loro spese in queste occasioni.

  18. Forse è un’interpretazione macchinosa, ma quello slogan mi sembra un tentativo di dire che chi vota per Merola non sta semplicemente scegliendo il “meno peggio” (che poi è il criterio della stragrande maggioranza degli elettori di sx da 15 anni a questa parte, come fece notare anche ElleKappa in una storica striscia: “Compagni, un radioso meno peggio ci attende…”), sta invece scegliendo un’idea (non è dato sapere quale). Da elettrice del centro-sinistra, a me sa proprio tanto di ‘excusatio non petita’: insomma, proprio un messaggio sbagliato.

  19. giorgio: la mia risposta a Ben non è affatto superficiale. La casualità è un effetto che emerge dalle scelte visive che ho visto fare. Non mi invento né suppongo nulla. Certo, ci scherzo un po’ su, ma che devo fare? Quando esco per strada e vedo certe porcherie di affissioni, come comunicatrice mi metto di cattivo umore. Tanto vale riderci poi sopra. 🙂

    Roberta: dici “non sanno comunicare pazienza, mi aspetto che sappiano governare”. D’accordo, ma come faccio, io cittadina, ad aspettarmelo, se non me lo comunicano in qualche modo? Una persona può avere tutti i migliori pensieri del mondo, tutte le migliori capacità e competenze del mondo, ma se non le fa capire agli altri, se non le trasmette, come fanno gli altri a capire che le ha? È questa la sostanza della comunicazione, ben diversa da chi pensa che la comunicazioe sia come un po’ di cipria sul naso (e dico “cipria” non a caso, perché non si usa più…).
    😀
    Ciao!

  20. @Giovanna: da elettrice di centro-sinistra, per capire come intende governare Merola vado agli incontri, e lì ho colto in che senso si cerca di segnare uno scarto rispetto al passato. Per questo trovo lo slogan non casuale.
    Come studiosa di comunicazione, come te, concordo che si poteva (doveva?) fare di meglio e che una cultura della comunicazione politica è ben lungi da venire, ma ormai direi che ci siamo tristemente abituati. Ma non è colpa solo dei politici, la responsabilità è anche dei professionisti della comunicazione.
    Ben vengano queste riflessioni!

  21. Lo slogan di Merola: qualche volta la difficoltà (leggera, non troppo ostica) può portare il pubblico a soffermarsi quell’attimo in più e far sì che rimanga impresso, regalando loro un po’ di autocompiacimento per la difficoltà risolta e creando un minimo di rapporto con l’emittente (strizza l’occhio col gioco di parole).
    La grafica è fatta bene, nulla da dire, ma naturalmente ha ragione Giovanna: si tratta di patinatura sul vuoto.

    Perché tali minimi contenuti testuali? Allora è vero che le parole non servono più a nulla? Forse nel mondo di profumi e vestiti, ma in politica..
    Ho il sospetto che stiamo a farci troppe domande: non sarà che nel richiamo alla Virgin non c’entrano nulla stelle, giovanilismo o altro, ma semplicemente è stato scelto perché si chiama Virginio?

    Già me li vedo:
    “cosa scriviamo qui?”
    “O così o pomì”
    “e ora pensiamo a una grafica d’effetto”
    “Sì dai, facciamo qualcosa come l’intervista doppia delle Iene…”
    (l’ultima parte era naturalmente comune a entrambi)
    …mah…

  22. cara Giovanna,
    e io invece mi chiedo, passi pure (bof) lo slogan di Merola, ma perché “se vi va tutto bene, io non vado bene” piuttosto che “se vi va bene tutto, io non vado bene”?
    non sarebbe più corretto?
    la sua versione sembra, ” se sei felice della tua vita, allora non sono il tuo candidato”…
    Complimenti per il blog!
    Maria Chiara

  23. Cara professoressa Cosenza,

    mi trova in tutto d’accordo con la sua analisi. Negli esempi che porta c’è la voglia narcisistica di far parlare di sé e l’interiorizzazione di un bisogno sentito come imprescindibile: bisogna fare una campagna pubblicitaria, pagando grafici e copywriter alla moda, perché non si può non fare. Quanto alla componente narcisistica, faccio notare anche da un lato (Merola) la presenza del pronome “io” e dall’altro (Aldrovandi) quella del cognome, come a ribadire che la scelta riguarda la persona, non lo schieramento e i valori che esso veicola [c’è l’elezione diretta del sindaco dal ’93, ma questa non è una buona scusa]. E nemmeno i valori che quella persona, in quanto tale, esprime.

    Ma se la personalizzazione non è accompagnata dalla citazione di un punto del programma, da un valore caratterizzante, l’intero processo democratico ne viene screditato: che scelta è quella tra il più simpatico? Eppure la “simpatia”, in un’epoca in cui il principio unificante dei valori viene meno e la dialettica destra-sinistra perde qualsiasi senso, diviene l’unico metro di paragone anche fra gli stessi politici. Ricordo che Debora Serracchiani, “mulier nova” del Pd, “motivò” la sua decisione di stare con Franceschini alle primarie con la “simpatia” che questi le suscitava.

    L’alternativa a questo vuoto di significato è la menzogna eretta a sistema, menzogna che però sa sfruttare sapientemente i meccanismi più semplici della comunicazione e, soprattutto, descrive sempre un valore, per quanto rozzo, per quanto banale, scontato, già sentito. L’alternativa del diavolo, insomma. Ah, ci sarebbe poi la scopiazzatura, moscia e inefficace ovviamente, che ho descritto in un articolo sul mio blog (->http://scribee-comunicazione.blogspot.com/2010/08/come-tradurre-uno-slogan-politico.html), ma in questo caso siamo addirittura oltre l’insignificanza e ci avventuriamo nelle perigliose lande del ridicolo.

  24. La stella a 5 punte e’ di origine “botanica” Prendete una mela. Tagliatela in modo trasversale e troverete la stella a 5 punte.
    Ciò premesso, credo che nel caso del candidato sindaco sia un caso.
    La cosa intessante e’ invece che un investimento in comunicazione qui c’e’ stato, ma fatto in modo inutile, probabilmente vincerà la Lega o il Commissario attuale s’e decide di candidarsi. I due moschettieri qui hanno veramente idee poche ma confuse. E la comunicazione che stanno esprimendo e’ in linea con le loro capacita’.
    Filippo Z.

  25. Filippo: il commissario Cancellieri ha già detto che non si candida da tempo. Vincerà Merola, non certo per la campagna, ma per le ragioni che ho detto in due commenti a questo post.

  26. Giorgio: pensare che un claim, o in generale le scelte di comunicazione politica, debbano rappresentare il contenitore vuoto che sta poi al candidato riempire mi pare una visione quantomeno discutibile.
    In campagna elettorale, per forza di cose, la “politica che verrà” viene infatti “ridotta” alla sua comunicazione. E siccome bisogna essere rapidi, efficaci, incisivi e così via, ogni singolo aspetto (slogan, lay-out, font, colori, simboli, foto etc. etc.) va curato per esaltare i contenuti politici dei messaggi che il candidato vuol lanciare, in modo da creare un immaginario di riferimento che renda la comunicazione politica (e dunque “la politica che verrà”) più forte e credibile. Quindi, secondo me almeno, il contenitore non può funzionare a prescindere dai contenuti…

    Questa cosa ci sembra talmente vera, che si potrebbero già fare delle considerazioni squisitamente politiche sulla base non delle proposte di comunicazione politica, ma sulla base dei loro “contenitori” appunto.

    Certo Merola sta facendo moltissimo sul territorio e questo è l’aspetto forse più importante della campagna ma si avverte chiaramente una certa disgregazione, o mancanza di coordinamento, chiamala un po’ come vuoi, fra i suoi collaboratori. E’ come se chi ha concepito il claim (Andrea Ruggeri poteva sforzarsi un po’ di più non trovi? – la responsabilità di tanta vacuità e inconsistenza del messaggio è anche di
    questo “fior” di professionisti come ha detto Roberta Bartoletti), chi la stella (la vittoria della primarie avrà convinto che sia stata un’idea felice anche se certo non lo è) e chi ha realizzato il sito non si parlino o non si capiscano. E se lo staff è messo così in fase pre-elettorale non oso immaginare che succederà a Palazzo.
    A proposito del sito: meriterebbe un articolo a sé. E in una lezione di semiotica del web dedicata agli errori da non fare progettando un sito, dovrebbe avere un posto d’onore.
    Non tutti i bolognesi hanno incontrato Merola nei mesi scorsi o non tante volte da essersi fatti un’idea chiara e complessiva del suo programma. Sul sito mi aspetterei di trovarlo, anzi mi aspetterei che occupasse un posto centrale, e invece? O lo hanno nascosto proprio bene… oppure non c’è: di nuovo il candidato prima del programma. Continuiamo a farci del male…

    In conclusione, la comunicazione politica è qualcosa di complesso che intreccia inevitabilmente tutti gli aspetti di un processo di comunicazione: contenuto e contenitore, candidato avversari e contesto, aspettative e prospettive, la propria storia e quella di tutti, ecc. E per farla bene è necessario un team di persone preparate che condividono la stessa missione.
    E secondo me la missione di chi fa comunicazione politica è qualcosa che somiglia a “lasciare immaginare quel che il candidato non può dire”, non incorniciare una frase…

  27. Asterione hai ragione, permettimi di puntualizzare una cosa solo in merito al programma. C’è da dire che Merola finquando non avrà incontrato tutti i rappresentanti dei partiti che lo sostengono (idv,sel, civiche?, pd) non può inserire il programma elettorale. Tra l’altro per la realizzazione di temi specifici inerenti al programma si sta avvalendo della collaborazione Banda Larga, 200 persone che si incontrano settimanalmente. Da quello che io so… il programma dovrebbe essere lanciato a inizio aprile, quando finalmente si saprà quali sono le liste che appoggeranno merola e con quale simbolo si presenteranno.

  28. Concordo con molte delle osservazioni lette sul blog a proposito delle campagne dei candidati Sindaci di Bologna, in particolare la genericità dei claim e la poca sostanza. Mi permetto di far notare (se i codici cromatici hanno un senso) che il giallo e il nero sono colori tendenzialmente evocatori di potenziale pericolo ( in natura così sono gli animali potenzialmente pericolosi come la vespa, il crotalo, l’ape ecc.) e il rosso di emergenza e pericolo imminente. Non li ho trovati pertanto particolarmente idonei nè all’obiettivo della campagna nè allo slogan, contorto , come qualcuno ha sottolineato. Quel “non” rosso poi che sottolinea una negazione lo trovo quasi autolesionista. Complessivamente la campagna ricorda anche la catena commerciale tre stelle. Sono un po’ troppi i rimandi, le “citazioni” per un candidato che volesse distinguersi. Ma già, come dice Giovanna la mancanza di alternative credibili indica Merola come il più probabile vincitore. Tutto sommato non mi pare che l’agenzia abbia fatto un gran lavoro anche se la qualità del lavoro dell’agenzia dipende anche dal brief e dalla qualità del committente. E forse una carenza è anche qui. Vorrei a questo proposito evidenziare che, nel convenire che il programma di un candidato si definisce di pari passo al formarsi della coalizione che lo sostiene, tuttavia nulla vieta che il candidato medesimo possa presentarsi comunicando qualcosa di più sostanzioso ed efficace. Per es. a proposito dei valori che egli potrebbe indicare come riferimento del proprio modo di governare e di attuare il programma; per es. a proposito della sua idea di città e delle relazioni che ne costituiscono il sistema sociale ai vari livelli. Insomma un’idea che sia di riferimento (e qui la stella avrebbe avuto un suo senso) alle azioni concrete e alle politiche contenute in un programma. Non c’è nulla di tutto questo (almeno per ora). In questi casi si dovrebbe comunicare un’identità che non è solo del candidato ma di quello che il candidato si candida a rappresentare e ad incarnare nel suo progetto (è stato scelto attraverso primarie indette da un partito ) politico per la città. Da tempo la politica si è affidata alla personalità dei candidati ma è pur sempre vero che la democrazia rappresentativa implica che il livello della personalità sia funzionale a realizzare al meglio il mandato di chi la vota. Questi passaggi, o meglio relazioni, paiono oggi un po’ confuse. Forse anche per questo la comunicazione ne risente. Ma una comunicazione fatta bene richiede un pensiero, un’elaborazione, una sintesi dei contenuti da comunicare anche complessi che poi nella semplicità del messaggio si percepiscono e si sentono. Non mi sembra questo il caso. Infine una camapagna elettorale deve raccogliere i consensi di chi si riconosce nel candidato e nella validità del suo programma ma deve altresì persuadere i disorientati e gli indecisi con una capacità di attrazione e di intercettazione di aspirazioni latenti. del resto da anni non mi capita di vedere belle campagne da parte della sinistra.

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